Veneratissimo Amico e Signore,
Non essendo mai uscito di casa, e poche volte di letto, prima
della mia partenza, che sarà domani, non ho potuto venire in
persona, come avrei dovuto e desiderato, a prender congedo
da Voi e da Madama vostra consorte, e a chiedere i vostri
comandi per Firenze. Desidero che questa vi sia testimonio del
dolore ch’io provo partendo, perchè le mie indisposizioni mi
abbiano impedito di godere della dotta ed amabilissima com-
pagnia vostra quanto avrei voluto, e che vi ricordi altresì la vivis-
sima gratitudine che io vi professo e vi professerò mentre io
vivo. Credetemi, degnissimo ed ottimo amico, che nessun altro
dispiacere sento io nel partir da Roma così vivo, come quello
di allontanarmi da Voi.
La storia del giovane Ranieri ch’io avrei voluto che egli vi
raccontasse, in sostanza è questa. Non per alcuna sua colpa, ma
per molte strette relazioni avute con un letterato italiano che
Voi conoscete (il Sig. Carlo Troya) col quale egli allora si tro-
vava a viaggiare per l’Italia, Ranieri fu esiliato dagli Stati di
Napoli sua patria; ed ebbe il dolore di ricevere la prima notizia
di ciò nel momento che chiedeva a Firenze il suo passaporto
per volare a rivedere sua madre moribonda, che poi morì. Ri-
chiamato nel Gennaio del 1831, egli sarebbe tornato a Napoli,
se avesse avuto la certezza, o almeno la probabilità, di poterne
poi riuscire. Ma accertato anzi del contrario, per l’esempio di
tutti gli altri richiamati, e vedendosi costretto, se ritornava, ad
abbandonare per sempre il corso di vita intrapreso nei cinque
anni che aveva menati fuor della patria, cioè ad abbandonare
i suoi studii, e tutte le sue più care e più utili relazioni, egli
ottenne dal padre, dopo breve renitenza, di rimaner fuori. Pas-
sati però pochi mesi, il padre, uomo di natura inferma e total-
mente passiva, circondato ora e dominato da acerbissimi nemici