Pagina:Leopardi - Epistolario, Bollati Boringhieri, Torino 1998, II.djvu/767

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da due sciagurati, furono ridotti a nulla dalla mia negativa, e dall’as- soluta impossibilità di sostenerli in contraddittorio. Avrei pertanto dovuto essere assoluto pienamente; ma noi fui, perchè il parlar libero, la libera professione delle mie opinioni civili al cospetto de’ giudici, il proposito di mantenerle ad ogni costo, e il rifiuto fatto costante- mente fino all’ultimo di non rispondere pure una sillaba ad ogni inter- rogazione, che concernesse le cose d’altri, e non direttamente e asso- lutamente la mia causa propria, attizzò l’odio particolare di chi governava e mi fu imputato a delitto. A queste s’aggiungevano alcune altre cagioni dedotte dai casi antecedenti, le quali non ti posso dichia- rare in questo breve foglio; attesoché già da qualche anno io era ono- rato di una speciale persecuzione del governo, la quale, verso un uomo di così poco affare come sono io, era più ancora ridicola che iniqua. E quest’odio così sciocco ed accanito, mi fa pensare, che con tutta la mia innocenza politica, io sarei forse stato confinato in un forte, se il mio stato di prete da una parte, e gli ordini del paese dall’altra, non avesse imbarazzato chi dovea dar la sentenza. Vedi, che anco le superstizioni, i privilegi, e le rancidezze legali dei bassi tempi sono utili qualche volta? Insomma, dopo il carcere di quattro mesi io fui esiliato a tempo indeterminato, e condotto dai carabinieri fino alle fron- tiere degli stati piemontesi; dove, prima di essere rilasciato, ricevetti le ultime prove della gentilezza e della giustizia del governo piemon- tese a mio riguardo, le quali mi duole assai di non poterti raccontare. Venni in Parigi, dove forse mi fermerò; perchè ad ogni modo, il mio esilio dal Piemonte sarà perpetuo, se non per la deliberazione del mio antico governo, almeno per la mia; e già da qualche anno io ruminava e accarezzava il disegno di un bando volontario. La mia salute è assai buona; e ciò che mi fa meraviglia, non ho sofferto nè della prigione, nè del viaggio, nè delle circostanze che lo accompagnarono; anzi mi par quasi che quel cimento e questo genere di vita nuovo, e per me straordinario, mi abbiano ringiovanito e rifatto. Certo si è, che io sto meglio qui che in patria; benché mi accori eccessivamente il pensiero di averla perduta, e questo mondo francese in cui vivo, non si confac- cia punto alla mia natura. Veggo quasi ogni giorno a mensa il sig. Sin- ner, tuo amico, che ti manda l’inclusa. Riscrivimi e parlami a lungo di te, della tua sanità, de’ tuoi studi; se pure puoi studiare: amami, e credimi che io non cedo a niuno nell’amore, che io ti porto. II tuo Vincenzo Gioberti