1923. |
A Monaldo Leopardi. |
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Mio cmo Papà.
Col solito inesplicabile ritardo, la sua de’ 19. Dicembre,1
benché per quanto pare, non aperta, non mi è stata renduta dalla
posta, che ai primi di questo mese. Ringrazio caramente Lei e
la Mamma del dono dei dieci scudi, del quale ho già profittato
nel solito modo. Mi è stato molto doloroso di sentire che la legit-
timità si mostri così poco grata alla sua penna di tanto che essa
ha combattuto per la causa di quella. Dico doloroso, non però
strano: perchè tale è il costume degli uomini di tutti i partiti,
e perchè i legittimi (mi permetterà di dirlo) non amano troppo
che la loro causa si difenda con parole, atteso che il solo con-
fessare che nel globo terrestre vi sia qualcuno che volga in dub-
bio la plenitudine dei loro diritti, è cosa che eccede di gran lunga
la libertà conceduta alle penne dei mortali: oltre che essi molto
saviamente preferiscono alle ragioni, a cui, bene o male, si può
sempre replicare, gli argomenti del cannone e del carcere duro,
ai quali i loro avversarii per ora non hanno che rispondere.
Mi sarebbe carissimo di ricevere la copia che Ella mi esibi-
sce completa della Voce della Ragione; e se volessi, com’Ella
dice, disfarmene, potrei far piacere a molti, essendo il suo nome
anche qui in molta stima. Ma non posso pregarla di eseguire
la sua buona intenzione, perchè l’impresa di ricevere libri esteri
a Napoli è disperata, non solo a causa del terribile dazio (3 car-
lini ogni minimo volume, e 6 se il volume è grosso) il quale è
difficilissimo di evitare, ma per le interminabili misure sanita-
rie (ogni stampa estera, che sia legata con filo, sta 50 giorni in
lazzaretto) e di revisione, le quali sgomentano ogni animo più
risoluto. Più volte mi è stata dimandata la sua Storia evange-
lica, di cui dovetti disfarmi a Firenze, e il libro sulle usure:5
scrivendone a Lei, facilmente avrei potuto procurarmi4 i volu-
mi, e il soddisfarne i richiedenti mi avrebbe fatto molto pia-