Pagina:Mattielli - Della vita e degli scritti di Gian Giacomo Mazzolà, Padova, Sicca, 1846.pdf/12

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fu festa alle domestiche mura; e lieto de’ sogni dorati e delle gioconde illusioni con cui l’innocenza rallegra l’albeggiar della vita, il suo vergine cuore schiudeva, irradiato dal materno sorriso, custodito dall’amore materno, dalla materna voce allettato, dal materno latte nudrito; chè la tenera sua genitrice, donna d’illustre famiglia, e perciò doppiamente degna d’essere quì ricordata, non curando le superbie del secolo, ed il soverchio desiderio, per cui molte delle madri nell’indegna paura di vedere appassite le loro fresche bellezze, negano ai figli ciò che nessuna delle fiere negò, l’alimento del proprio seno, essa stessa nudriva e curava il fanciullo suo; e come lo si spiccò dalla mammella, sollecita, pia, di bella mente e di forte sentire, cresceva alla Fede ed alla patria Jacopo suo! E Giacomo, testimonio costante della generosa pietà della sua genitrice, le parole dolcissime di lei stampavasi in cuore, e agli esempj di lei educavasi, vedendo cessare per essa il fioco lamento della miseria, spuntarsi il dardo del dolore, e le lagrime e le preghiere del tapinello alapparire di lei volgersi in voci di benedizione. Tanto frutto egli colse per sì eloquenti lezioni, che quì ci vien dolce, anticipando gli eventi, il richiamare una delle opere belle del nostro Mazzolà, affinchè sia sempre più manifesto come da una buona madre, e dalle prime felici disposizioni dei figli, la patria debba promettersi dei cittadini probi ed onorati. Toccava il dodicesimo anno della sua età, quando un giorno avyenutosi in non sò quale infelice,