Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/229

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divertimenti, e amori poco platonici, ecc. 173

adorarti: E perchè tu non creda, che io a mani vuote mi accosti a questo tempio d’Amore, io ti regalo il fratel mio.

Come? ella soggiunse, tu mi regali colui, senza il qual non puoi vivere? dalla cui bocca tu pendi? che tu ami tanto, quanto io ho voglia di te? E così dicendo, ella esprimeasi con tanta grazia, sì bella voce agitava quell’aria, che avresti detto colà diffondersi la melodia delle sirene. Finalmente mirando intorno a lei e vagheggiando non so quale splendore maggior della luce, presi ardimento a chiedere il nome della mia diva.

Dunque la donna mia, rispose, non ti disse che io mi chiamava Circe?141 Non sono a dir vero figlia del sole, nè mia madre lo trattenea a piacer suo quando scendea nel mar d’occidente: ma, se il destino ci unisce, io ne farò pompa in faccia al cielo. Anzi sento un Dio che mi ispira non so quai confusi pensieri; e certo non senza cagione una Circe ama un Polieno. Havvi sempre tra questi nomi una comun simpatia. Prenditi dunque se non t’incresce, un abbraccio; nè aver timore che alcun ci veda poichè il fratel tuo è assai lontano di quì.

Così parlò Circe, e strettomi con braccia più morbide d’ogni piuma strascinommi sopra un sedil di terra sparso d’ogni sorta di erbette.


Come di fior la madre terra sparse
    D’Ida la vetta il dì che al nodo santo
    Scese Giove con quella onde tant’arse
    4E spuntovvi la rosa e l’amaranto,
    E’l vago ramerino e il giglio bianco,
    Che il praticello rallegrava tanto:
    Scender così fè quel terren pur anco
    8Venere in sù l’erbetta, e ’l dì sereno
    Non fu al segreto amor propizio manco.


Egualmente distesi sopra le erbette noi mille baci scoccammo procurandoci un piacer più robusto. Ma