Pagina:Vasari - Le vite de' piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 3-2, 1568.djvu/332

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risposta non piacendo al Papa, andò pensando di allogare il tutto al Salviati, onde Daniello, ingelosito, fece tanto col mezzo del cardinale di Carpi e di Michelagnolo, che a lui fu data a dipignere la metà di detta sala e l’altra metà, come abbiamo detto, al Salviati, nonostante che Daniello facesse ogni possibile opera d’averla tutta, per andarsi tranquillando senza concorrenza, a suo commodo. Ma in ultimo la cosa di questo lavoro fu guidata in modo, che Daniello non vi fece cosa niuna più di quello che già avesse fatto molto inanzi, et il Salviati non finì quel poco che aveva cominciato, anzi gli fu anco quel poco dalla malignità d’alcuni gettato per terra. Finalmente Daniello dopo quattro anni (quanto a lui apparteneva) arebbe gettato il già detto cavallo, ma gli bisognò indugiare molti mesi, più di quello che arebbe fatto, mancandogli le provisioni che doveva fare di ferramenti, metallo et altre materie il signor Ruberto; le quali tutte cose essendo finalmente state provedute, sotterrò Daniello la forma, che era una gran machina, fra due fornaci da fondere in una stanza molto a proposito che aveva a Monte Cavallo, e fonduta la materia, dando nelle spine il metallo, per un pezzo andò assai bene, ma in ultimo sfondando il peso del metallo la forma del cavallo, nel corpo tutta la materia prese altra via, il che travagliò molto da principio l’animo di Daniello, ma nondimeno, considerato il tutto, trovò la via da rimediare a tanto inconveniente. E così, in capo a due mesi gettandolo la seconda volta, prevalse la sua virtù agl’impedimenti della fortuna, onde condusse il getto di quel cavallo (che è un sesto, o più, maggiore che quello d’Antonino che è in Campidoglio) tutto unito e sottile ugualmente per tutto. Et è gran cosa che sì grand’opera non pesa se non venti migliaia. Ma furono tanti i disagi e le fatiche che vi spese Daniello, il quale, anzi che non, era di poca complessione e malinconico, che non molto dopo sopragiunse un catarro crudele che lo condusse molto male, anzi dove arebbe dovuto Daniello star lieto, avendo in così raro getto superato infinite difficultà, non parve che mai poi, per cosa che prospera gl’avenisse, si rallegrasse. E non passò molto che il detto catarro in due giorni gli tolse la vita a dì quattro d’aprile 1566; ma inanzi avendosi preveduta la morte si confessò molto divotamente e volle tutti i sacramenti della chiesa, e poi, facendo testamento, lasciò che il suo corpo fusse sepellito nella nuova chiesa stata principiata alle Terme da Pio Quarto ai monaci certosini, ordinando che in quel luogo et alla sua sepoltura fusse posta la statua di quell’Angelo che aveva già cominciata per lo portone di Castello. E di tutto diede cura (facendogli in ciò essecutori del suo testamento) a Michele degl’Alberti fiorentino et a Feliciano da San Vito di quel di Roma, lasciando per ciò loro dugento scudi. La quale ultima volontà essequirono ambidue con amore e diligenza, dandogli in detto luogo, secondo che da lui fu ordinato, onorata sepoltura. Ai medesimi lasciò tutte le sue cose appartenenti all’arte, forme di gesso, modelli, disegni e tutte altre masserizie e cose da lavorare, onde si offersono all’ambasciadore di Francia di dare finita del tutto fra certo tempo l’opera del cavallo e la figura del re che vi andava sopra, e nel vero essendosi ambidue esercitati molti anni sotto la disciplina e studio di Daniello, si può da loro sperare ogni gran cosa. È stato creato similmente di Daniello