Pagina:Zola - Il paradiso delle signore - 1936 - Mondadori.pdf/431

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guto che di tanto in tanto gl’illuminava la larga faccia d’alsaziano.

— Sempre tra i cenci! — mormorò sorridendo.

Poi, come familiare della casa, si permise di aggiungere:

— Che graziosa ragazza c’è nell’anticamera!... Chi è?

— Oh! nessuno! — rispose la Desforges con la sua voce maligna. — Una ragazza del magazzino che aspetta.

Ma l’uscio restava socchiuso; il domestico serviva il tè. Usciva, rientrava, posava sul tavolino le tazze cinesi, poi piatti di sandwiches e di biscotti.

Nel vasto salotto una luce viva, raddolcita dalle piante verdi, accendeva le dorature, carezzando allegramente la seta dei mobili: ed ogni volta che l’uscio s’apriva, si scorgeva un angolo oscuro dell’anticamera, che non aveva luce se non per vetri opachi. Dionisia era là in piedi: c’era una cassapanca coperta di cuoio, ma, per un senso d’orgoglio, non ci si voleva sedere. Da una mezz’ora era là, senza un gesto né una parola: le signore e il barone l’avevano squadrata, passando. La voce del salotto le giungeva ora a soffi leggieri, tutto quel lusso amabile la schiaffeggiava con la sua noncuranza; ed ella non si moveva. A un tratto, traverso l’uscio, riconobbe il Mouret; anch’egli alla fine aveva indovinato ch’era lei.

— È una delle vostre ragazze? — domandò il barone con la sua aria bonacciona.

Il Mouret era riuscito a celare il suo gran turbamento: soltanto, la voce gli tremava per commozione.


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