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Pagina:Zola - Il paradiso delle signore - 1936 - Mondadori.pdf/550

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zola

pienza d’una furba consumata, e che giocava ora l’ultima partita intimando: O sposami, o me ne vado.

Eppure Dionisia non ci pensava affatto: non aveva avuto mai pensieri nascosti. Se n’andava appunto per quei giudizi che la perseguitavano. Quando mai aveva voluto ciò che le attribuivano? s’era mostrata furba, civetta, ambiziosa? Era venuta semplicemente, e si meravigliava piú d’ogni altro di poter essere amata cosí. Ed ora, come e perché vedevano un’astuzia volpina nella sua risoluzione d’andarsene dal Paradiso? Era tanto naturale, invece! Non ne poteva piú, tra le chiacchiere che rinascevano di continuo, tra le ardenti preghiere del Mouret, tra i combattimenti che doveva combattere contro se stessa: preferiva andarsene, temendo di cedere una volta o l’altra e di avere poi quel rimpianto per tutta la vita. Era una tattica sapiente? non lo sapeva né lo voleva sapere; ma si domandava disperata come potesse fare per non parere una che vuole, a ogni costo, marito. Il matrimonio, anzi, l’irritava, ed era pronta a dire di no, sempre di no, anche se egli spingesse la sua pazzia fino a quel punto. Lei sola doveva soffrire. Il pensiero di separarsi da lui la faceva piangere: ma, col suo gran cuore, diceva a se stessa che bisognava facesse cosí, e che non avrebbe avuto piú un momento di pace e di gioia, se avesse fatto diversamente.

Quando il Mouret n’ebbe la dimissione, rimase muto e quasi freddo, nello sforzo che faceva per frenarsi. Poi dichiarò seccamente che le dava otto giorni di tempo perché ci pensasse bene, prima di fare una tanta e tale sciocchezza. Quando, passati gli otto giorni, ella tornò a


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