Rime (Bembo)/Ben ho da maledir l'empio signore

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Ben ho da maledir l'empio signore

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Ben ho da maledir l'empio signore
Speme, che gli occhi nostri veli e fasci O rossigniuol, che ‘n queste verdi
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LV.

Ben ho da maledir l’empio signore,
che d’ogni mio penser vi fece obietto,
e quante voci in procurarvi onore
m’uscir da indi in qua giamai del petto,
e i passi, sparti voi seguendo, e l’ore,5
spese a vostr’uso piú che a mio diletto,
e ‘l laccio, ond’io fui stretto,

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quando ‘l ciel non potea d’altro legarme:
poi che di tanta e così lunga fede
ognior più grave oltraggio è la mercede.10

Ahi quanto aven di quello, onde si dice:
chi solca in lito, perde l’opra e ‘l tempo.
Ogni frutto si trae da la radice,
ma non aprono i fior tutti ad un tempo.
Già fu, ch’io m’ebbi caro e gir felice15
sperai solo per voi tutto ‘l mio tempo;
né giamai sì per tempo
a ripensar di voi seppi destarme,
né Febo i suoi destrier sì lento mosse,
che ‘l giorno al desir mio corto non fosse.20

Or veggo e dirol chiaro in ciascun loco:
oro non ogni cosa è, che risplende.
Un parlar finto, un guardo, un riso, un gioco
spesso senz’altro molti cori accende.
Mal fa, chi tra duo parte onesto foco25
e me del vezzo suo nota e riprende,
e chi l’amico offende
coprendo sé con l’altrui scudo et arme,
e chi, per inalzar falso e protervo,
mette al fondo cortese e leal servo.30

Alcun è che de’ suoi più colti campi
non miete altro che pruni, assenzo e tosco
e gente armata, ond’a gran pena scampi;
altri si perde in raro e picciol bosco;
ad altrui ven ch’ad ogni tempo avampi,35
e altri ha sempre il ciel turbato e fosco.
Non sia del tutto losco,
chi d’esser Argo a diveder vol darme.
Mal si conosce non provato amico,
e mal si cura morbo interno antico.40

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Ma sia che pò: dopo ‘l gelo ritorna
la rondinetta e i brevi dì sen’vanno;
in ogni selva egualmente soggiorna
libero augello, e tal par grave danno,
che poi via maggiormente a pro ne torna.45
È gran parte di gioia uscir d’affanno.
Più che dorato scanno,
può la stanchezza un bel cespo levarme;
né di diletto i poggi e la verd’ombra
men che logge e teatro il cor m’ingombra.50

Poi che ‘l suon tace, è tolto a gran vergogna
per breve spazio ancora essere in danza.
Ebbi già per ben dire agra rampogna;
or altri in mal oprar se stesso avanza.
Odesi di lontano alta sampogna,55
e nulla teme, chi non ha speranza.
Fuggir è buona usanza,
s’uom non è mago o non sa il forte carme,
fera, ch’a rimirar dolce e soave
lo spirto e ‘l dente ha venenoso e grave.60

Di nessun danno mio molto mi doglio:
godo la buona sorte, e se la ria
m’assale, i desir miei sparsi raccoglio
e me ricovro a la virtute mia.
Né vostra pace più, né vostro orgoglio65
dal suo dritto camin l’alma desvia.
Chi vòle in mar si stia,
e ‘l legno suo di speme non disarme;
ch’io, del mal posto tempo e studio accorto,
fuggo da l’onde ingrate e prendo il porto.70