Rivista di Cavalleria - Volume VII/IV/Considerazioni sull'equitazione

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Ettore Varini

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Considerazioni sull’Equitazione




La Rivista di Cavalleria nel dare ospitalità all’opuscolo del tenente Caprilli, oltre avere mantenuta la promessa che fece quando invitò gli ufficiali dell’arma ad esporre liberamente le loro idee, ha dimostrato anche d’essere disposta a riconoscere ciò che la lunga pratica ha consacrato in fatto di equitazione. E di ciò me ne compiaccio grandemente, poichè parmi un salutare prodromo all’avviamento a quella riforma del nostro regolamento in ciò che più particolarmente concerne l’equitazione e l’istruzione delle nostre rimonte; riforma ch’è altamente reclamata sia dalle brevi ferme che dall’impiego che avrà la cavalleria nelle guerre future.

Incoraggiato poi dall’ospitalità concessa al pregiato scritto del Caprilli, mi accingo anch’io ad esporre sulla Rivista alcune mie considerazioni sull’equitazione militare e ad accennare in quali punti io dissenta dalle idee propugnate dal valente collega.

Anzitutto debbo avvertire che nessun altro sentimento mi muove a scrivere, fuorchè l’amore intenso che ho per l’arma ed il convincimento, radicato in me da non breve esperienza, di esporre idee sane e pratiche, nonchè dal vivo desiderio di vedere bandito fra non molto dalla nostra arma, tutto ciò che ancora pecca di formalismo e d’artistico in fatto di equitazione.

Aggiungo ancora che parlando su quanto ebbe a dire il Caprilli, non è mio intendimento confutarlo nè tampoco [p. 406 modifica]disconoscere la bontà delle sue idee, poichè collimano colle mie, ma solo riempire alcune lacune, ch’egli, trascinato dalla forza del suo convincimento, ha lasciate, lacune tanto più appariscenti quando vuolsi dal campo degli ammaestramenti dell’equitazione di caccia e di corsa scendere ad applicare gli stessi principii, in una scala più modesta, ai nostri soldati negli squadroni.

E poichè il Caprini condanna giustamente il metodo vecchio a base di riunione, pieghi e gradi di elevazione della testa del cavallo nella equitazione militare, mi sia permesso ricordare qui quanto io scrissi in un mio opuscolo che vide la luce sulla Rivista delle corse l’anno 1896, dal titolo: Le due scuole, la vecchia e la nuova.

Molti articoli son venuti alla luce in materia di sport militare dal 1888 al 1897, ossia dal giorno in cui il Ministero, con lodevole iniziativa, istituì i militaries.

Questa benefica istituzione, che non sarà lodata mai abbastanza, doveva, naturalmente, segnare nella nostra cavalleria un’èra nuova e creare, specialmente fra i giovani ufficiali, un modo di vedere tutto diverso in fatto di equitazione militare.

Ed è appunto da questo diverso modo di vedere le cose in equitazione ch’è sorta fra una considerevole parte di ufficiali di cavalleria una nuova scuola, o meglio un sistema differente dall’antico nell’adoperare e sentire il cavallo.

Da qui il cozzo evidente del vecchio sistema col nuovo. E dei due, quest’ultimo, lo dichiaro a priori, a me pare, il più logico, il più pratico e consentaneo ai tempi ed alle guerre moderne.

Ed eccomi a parlare della riunione e delle andature laterali, tenute in tanta considerazione e stima dai fautori del vecchio sistema, al punto da dire: che non si può diventare un buon cavaliere militare senza essere prima passato per tutta la trafila dei pieghi e contropieghi, delle spalle indentro, delle mezze anche, delle groppe indentro ed in fuori, ecc. ecc., senza [p. 407 modifica]prima cioè avere sfruttati i cavalli inutilmente ed ottenuto il contrario di ciò che si voleva: un cavallo militare.

La spalla indentro, posizione in cui il cavallo cammina colle gambe anteriori indentro di un passo della pista del maneggio e colle posteriori sulla pista, col piego dalla parte opposta a quella in cui cammina, è ritenuto dallo stesso Baucher e da Jame Fillis pericolosissima, stantechè getta il cavallo sulla spalla opposta al piego; e ciò è dannosissimo perchè lo logora anzi tempo.

La spalla indentro, dice il Baucher, come tutte le andature laterali, è una lezione di riunione, e come tale è quella che prepara meglio il cavallo al galoppo e lo ginnastica nelle gambe. Altri non sono concordi su questo punto, e ritengono che tale andatura è utile soltanto quando il cavallo abbia già intraprese le lezioni di galoppo.

Dei due, non saprei chi ha ragione. Certo si è che la spalla indentro costituisce pel cavallo una lezione pericolosa, anche se usata dai più esperti in equitazione di maneggio, non solo pel fatto che logora le spalle, ma anche perchè una esagerata obliquità del cavallo fa sì che le gambe interne, invece di accavalcare le esterne, le urtano, oppure rimangono indietro e passano sotto. Se dunque la spalla indentro è dannosa anche se usata dai più provetti in equitazione di maneggio, si pensi cosa diverranno le gambe del cavallo sotto l’inesperta mano di un soldato ignaro d’equitazione raffinata.

Ciò che ho detto per le spalle indentro si estende alle altre andature laterali, le quali hanno tutte un lato debole, o, per meglio dire, dannoso pel cavallo militare, malgrado il vantaggio, secondo i loro fautori, di ginnasticare e preparare il cavallo al galoppo, come se questa andatura non fosse ad esso naturale.

Le andature laterali poi, oltre ai difetti già accennati, difetti che hanno la loro origine dalle andature stesse e che influiscono direttamente sulla buona conservazione del cavallo, ne hanno un altro grandissimo per un cavallo militare e che intuisce sul carattere di quest’ultimo, ed è che lo mettono [p. 408 modifica]indietro della mano e gli tolgono quella spontaneità e generosità di avanzare che ha naturale e che deve essere la prima dote di un cavallo militare.

E questa mia asserzione non è gratuita, ma confortata dai fatti, poichè tanto il Baucher quanto il Fiilis e tutti coloro che li precedettero o vennero dopo, sono unanimi nel dirvi: che dopo una lezione di riunione e quindi di andature laterali, fa d’uopo far seguire una buona trottata per conservare spigliatezza e generosità nell’avanzare al cavallo, generosità che viene attutita dalla riunione e più ancora dalle andature laterali.

Ma se dunque voi stessi, conservatori ostinati ed ammiratori soltanto delle vecchie discipline, consigliate rimedi ai difetti od inconvenienti derivanti dalle andature laterali e dalla riunione, difetti che implicitamente ammettete, e nello stesso tempo vi mostrate incerti nel riconoscere se i vantaggi che ne derivano siano maggiori o minori degli svantaggi, tanto vale allora rinunciarvi per fare cavalli militari, e servirsene soltanto per cavalli da circolo o dalla scuola; e di quest’ultimi, l’esercito non sa che farsene.

L’alta scuola prescrive il modo di sollevare il cavallo al principio del salto, di lasciarlo completamente libero durante il salto, e di riceverlo sulle redini alla fine dei salto, quando cioè il cavallo tocca il terreno.

Ora ciò è possibile e può esser fatto con cavalli perfettamente addestrati in alta scuola ed abituati a passare la barriera per mezzo della lanciata. Ma chi volesse fare dell’equitazione pratica all’aperto con simili procedimenti farebbe certamente falsa via, sopratutto se non è uno scudiero e non monta un cavallo di alta scuola. Non farebbe altro che incagliare il cavallo nella libertà dei suoi movimenti.

La maggior parte degli ufficiali di cavalleria non ha appreso metodicamente l’alta scuola, ma tutti ricorderanno nelle prime lezioni d’equitazione d’aver appreso l’impiego degli aiuti dell’alta scuola per il salto. Io credo che nessuno avrà mai potuto mettersi nella mente la successione di questi tre aiuti in un solo salto. [p. 409 modifica]

E saranno sempre stati rimproverati, poichè, talvolta avranno sollevato il cavallo troppo presto, o troppo tardi, talvolta non avranno dato abbastanza libertà al cavallo durante il salto, talvolta avranno ricevuto troppo tardi il cavallo dopo il salto. Io sono convinto, che un simile metodo non è pratico per le ragioni sovraesposte e che debba essere abolito dall’equitazione militare se si vogliono evitare numerose panaches ed avere cavalli amanti del saltare.

Oltre alle andature laterali nei maneggi, si parla ancora di 1°, 2° e 3° grado di elevazione da dare alla testa del cavallo.

Istruzione questa lunghissima e nella quale occorre la più grande attenzione sia per parte dell’istruttore che del cavaliere; poichè la più piccola disattenzione di un momento, dicono, è suscettibile di distruggere ciò che di buono s’era ottenuto antecedentemente.

A questo punto mi viene spontanea una obbiezione. Se la equitazione dì maneggio dunque è da voi ritenuta così difficile, così complicata, sarà dato soltanto a pochi privilegiati dalla natura di poterne applicare con buon senso e correttezza le discipline.

L’equitazione di maneggio poi, e più specialmente l’Alta Scuola, se è atta a formare cavalieri da tornei, che fanno consistere la loro abilità equestre nel giuoco della rosa od in altri consimili ed antiquati esercizi, insufficienti certamente a formare un forte carattere equestre, è incapace però di creare arditi cavalieri di campagna, ufficiali dal fegato sano, sprezzanti del pericolo e che, anche alle più veloci andature, sappiano conservare la calma, prima dote di un ufficiale di cavalleria, e la presenza di spirito davanti alle numerose difficoltà del terreno.

Or dunque essa è una equitazione incompleta, poichè non si può estendere alla massa degli ufficiali, ed, a più forte ragione, a quella della truppa, che, costretta al servizio da brevi ferme, non solo difetta di tempo per apprendere le discipline tutte di maneggio, ma manca assolutamente di quel tatto, di quella leggerezza di mano, di quell’armonia di gambe e mani [p. 410 modifica]necessaria, per avere cavalli da maneggio che galoppino su di un soldo e facciano tutto ciò che desidera l’istruttore.

Ora, se ciò è piacevole a vedersi e può appagare più facilmente l’amor proprio di un istruttore, non è utile, nè tanto meno pratico, poichè in equitazione fa d’uopo mostrare coll’esempio più che affermare colla parola; ed in campagna non avremo bisogno di cavalieri che ci pratichino la riunione e le andature laterali, ma avremo bisogno invece di cavalieri arditi, intelligenti, capaci di affrontare e superare le difficoltà tutte di una campagna di guerra.

Ora io dico: qual’è l’equitazione che infonde queste doti preclari, quella di maneggio o di campagna? Ed ognuno, per poco che conosca di equitazione risponderà: quella di campagna.

Ed ora veniamo alla discussione di alcune affermazioni del Caprini, in quanto riguardano l’istruzione delle reclute, affermazioni che a mio avviso guastano la bontà del contenuto del suo scritto.

Egli afferma che dopo 15 giorni di solo maneggio le reclute sono in grado d’intraprendere l’equitazione di campagna.

Lo avere stabilito un limite di tempo così piccolo di permanenza nei maneggi, invece di affermare un principio fondamentale, informatore d’indirizzo nella istruzione, è stato, a mio avviso, un errore.

Errore tanto più appariscente se si consideri che il Caprilli vuole che durante i 15 giorni l’istruttore insegni subito al giovane cavaliere il lavoro individuale.

Ora ciò non è possibile. Pretendere da sì deboli cavalieri, la maggior parte dei quali vengono sotto le armi privi d’ogni dimestichezza col cavallo, un tale sforzo, non è pratico, nè ragionevole.

Il maggior nostro contingente in cavalleria è rappresentato dal contadino, e noi sappiamo benissimo quanta fatica costi ai comandanti di squadrone ed agli istruttori per renderlo sciolto [p. 411 modifica]e spigliato nei movimenti. Come è dunque possibile sottoporre l’intera classe delle reclute agli esercizi dell’equitazione di campagna se prima non l’abbiamo messa in grado di trarre tutti i grandi benefici che essa equitazione di campagna apporta al giovane cavaliere?

Io non escludo che in una classe di 50 reclute ve ne siano 10, le quali, data la loro grande disposizione per gli esercizi a cavallo e un fisico eccellente unito ad una buona dose di coraggio, possano anche dopo soli 15 giorni di maneggio intraprendere l’equitazione di campagna e trarne grandissimi vantaggi.

Ma non posso essere così assoluto nell’affermare che bastino soli 15 giorni, nè mi regge il cuore di sottoporre degli inesperti e debolissimi cavalieri, come possono essere le nostre reclute dopo sì breve tempo d’istruzione a cavallo, agli esercizi della campagna, la quale presuppone un discreto assetto in sella, ed una certa quale saldezza nel cavaliere; saldezza che non possono avere certamente le nostre reclute dopo un sì breve periodo d’equitazione in maneggio.

Non sono mai stato molto tenero per l’istruzione di maneggio, benchè anch’io abbia fatto il Corso magistrale, anzi ho sempre combattuto con tutte le mie deboli forze la dannosa deleteria credenza di vedere nell’istruzione di maneggio il coronamento finale della equitazione militare. Sono invece convinto del contrario, tanto che subito dopo il corso magistrale, dove ebbi a stupire pel modo con cui si trattavano i cavalli, scrissi Le due scuole: la Vecchia e la Nuova dalla quale trascrivo il seguente brano:

«I fautori della vecchia scuola anch’essi tendono allo scopo finale: la guerra; ma dove siamo discordi si è sui mezzi da adoperare per raggiungere lo scopo.

Essi credono e s’illudono miseramente che il maneggio sia il solo mezzo a disposizione della cavalleria per adempiere alla sua missione, e fanno falsa via; ed io dimostrerò più avanti come i maneggi siano la rovina di tutte le cavallerie, poichè tolgono ogni spirito all’arma e le sue prerogative che sono la velocità e l’arditezza nelle mosse....» [p. 412 modifica]

Ho voluto citare questo brano, perchè il Caprìlli non creda ch’io cogli anni mi sia ricreduto od abbia cambiato bandiera, come si fa in politica, ed ora voglia, rifugiandomi dietro l’usbergo del comodo maneggio, marcire e morire d’inedia fra quattro mura, mentre fuori l’aria ossigenata m’invita a lunghe e piacevoli galoppate attraverso la campagna.

No, si rassicuri il Caprilli, io sono sempre rimasto sulla breccia, e ne fanno fede i non pochi steeple-chases vinti e 14 anni di campagna romana.

Se in questa speciale circostanza, dissentendo su alcune affermazioni del Caprilli, sono costretto a riconoscere che il limite di 15 giorni di permanenza nel maneggio sia troppo breve, o meglio sia stata un’affermazione erronea, è perchè, come già dissi al principio di queste mie considerazioni, avrei desiderato che il Caprilli non avesse posto dei limiti, ma avesse invece affermato un principio fondamentale informatore.

Avrei desiderato ch’egli avesse detto ed affermato che il maneggio non è che un mezzo per raggiungere lo scopo e che perciò, considerato come tale, non deve occupare soverchiamente la mente degli ufficiali.

Stabilito questo principio scaturirebbe di conseguenza che la permanenza nei maneggi sarebbe limitata al puro necessario, cioè a quel tanto indispensabile che occorre per dare un conveniente assetto alla recluta e porla in grado di affrontare, con suo maggior vantaggio e con vantaggio dell’istruzione in genere, gli esercizi dell’equitazione di campagna.

Poichè è cosa nota e risaputa che l’equitazione di campagna perchè sia veramente utile presuppone nel cavaliere una discreta saldezza in sella; se questi non è stato convenientemente preparato si scoraggia.

Ad intraprendere così presto l’equitazione di campagna, quando i cavalieri non hanno ancora un conveniente assetto, anzi quando sono ancora così poco fermi in sella, si va incontro a dei gravi inconvenienti, come le numerose cadute su terreno non sempre morbido, le quali hanno poi sempre una influenza grandissima nell’animo della recluta, tanto più quando [p. 413 modifica]arrecano conseguenze spiacevoli. Senza tener calcolo poi che la recluta non sentendosi sicura in sella, non potrà assolutamente guidare il suo cavallo, che, disturbato dagli spostamenti involontarii, chiamati tagliarini nel nostro gergo cavalleristico, e da chiamate non volute, farà ciò che vuole. Ne nascerà così gran confusione ed avverranno numerose tombole, con grande scapito dell’istruzione e della conservazione del materiale.

Invece partendo dal principio di formare l’assetto del cavaliere tenendolo a cavallo, anche al passo, il più lungamente possibile, compatibilmente col tempo disponibile e l’esigenza delle altre istruzioni, facendolo galoppare nei maneggi appena sia in grado di farlo, si otterrà nella recluta dopo un periodo di tempo, ch’io non preciso, perchè di ciò dovrà essere giudice il comandante di squadrone, ma che certo sarà superiore ai quindici giorni del Caprilli, un discreto assetto in sella. Soltanto allora sarà giunto il momento di beneficare le reclute degli utilissimi ed indispensabili esercizi della equitazione di campagna. Il farlo prima costituirebbe un difetto d’istruzione.

Intesa l’equitazione di maneggio in questo senso, cioè come uno dei mezzi per raggiungere lo scopo, o meglio come esercizio preliminare alla equitazione di campagna, allontanata dalla nostra mente l’idea di richiedere dai nostri cavalieri la parte artistica, cadrebbero di conseguenza tutte le andature laterali e di riunione, le quali sono la fonte di mille inconvenienti.

Si cercherebbe anzitutto un assetto forte, elastico, e profondo nel cavaliere, abituandolo fin dal principio a fare poco uso delle redini, solo di quel tanto che gli occorra per essere padrone in ogni circostanza del cavallo.

L’uso delle staffe fin dal principio dell’istruzione diventerebbe generale e tassativo, e con ciò il cavaliere se ne avvantaggerebbe grandemente; poichè obbligarlo a cominciare dal più difficile per giungere al più facile parmi cosa poco corretta e logica in un sistema d’equitazione. Senza calcolare che l’istruzione a cavallo senza staffe irrigidisce il cavaliere e dà una [p. 414 modifica]posizione in sella, secondo il mio debole modo di vedere, sbagliata e contraria alla vera e forte equitazione.

L’altro punto nel quale discordo intieramente dal Caprilli si è quello dove egli vorrebbe che il cavaliere usasse solo delle redini destre per girare a destra e delle sinistre per girare a sinistra, cedendo di altrettanto le corrispettive opposte.

Senza entrare nel merito s’egli abbia ottenuto buoni risultati con questo metodo, io però non posso dividerlo nè tampoco approvarlo, poichè lo ritengo deleterio per le spalle del cavallo. E benchè tale sistema sia contemplato dal nostro regolamento per quanto riguarda le giovani rimonte sul principio dell’istruzione, è però opportuno farne uso soltanto di quel tanto indispensabile per insegnare al cavallo il modo di girare; abbandonandolo non appena il cavallo abbia capito le chiamate.

Pur ammettendo di guidare il cavallo a due redini per mano, ritengo ch’esso giri molto meglio e più gradatamente se girando a destra sente le redini sinistre appoggiate alla incollatura e se il cavaliere ha l’avvertenza d’invitare il cavallo a girare gravitando col peso del corpo da quella parte, che limitandosi a tirare le sole redini corrispondenti alla parte verso cui gira.

Questi, a mio avviso, erano i due punti dello scritto del Caprilli, i quali ne guastavano sostanzialmente la bontà del contenuto. Emendato in questi due capisaldi dell’equitazione, cioè assetto profondo ed elastico prima ed equitazione di campagna dopo; girare tirando le redini dalla parte in cui si vuol girare, ma appoggiando le opposte contro l’incollatura e gravitando col proprio peso da quella parte, parmi che lo scritto risulterebbe più completo e le idee in esso manifestate dovrebbero chiamare l’attenzione dei nostri superiori e colleghi.

Circa poi all’equilibrio naturale nel cavallo si può asserire senza tema di riceverne smentita che il maggior numero di [p. 415 modifica]cavalli coronati nei reggimenti è dato da quei squadroni in cui molto si equilibra artificialmente il cavallo e quindi dove si fa molto uso del morso, di riunione ed andature laterali.

Dovrebbe essere il contrario, poichè il cavallo così artificialmente istruito a ripartire equamente il suo peso sulle quattro estremità, dovrebbe essere il cavallo più sicuro; ma la pratica dimostra ed ha consacrato che tali cavalli sono invece i primi a commettere i più gravi errori in marcia e attraverso al più facile dei terreni di campagna.

Ed è naturale, poichè l’abitudine che con tale sistema contrae il cavaliere di portare o meglio guidare il cavallo in ogni sua mossa, non gli permette di guardare dove mette i piedi e gli toglie così la facilità che ha di spostare naturalmente il suo peso a seconda delle circostanze.

Ad ogni modo, la riforma del nostro regolamento in tutto ciò che concerne l’equitazione e l’istruzione delle rimonte, a mio avviso, s’impone; tanto più che dalla maggior parte dei reggimenti la parte artistica non è più curata come pel passato.

E tale riforma è tanto più necessaria davanti ai perfezionamenti delle armi moderne ed all’impiego nuovo, improntato a maggiore velocità nelle mosse, che avrà la cavalleria nelle future guerre.

Facciamo in modo di non presentare il fianco a chi ci denigra e ci vorrebbe sopprimere come arma inutile. Se però, noi, non perfezioneremo il modo di usare della nostra arma, il cavallo, certamente le argomentazioni contro la cavalleria nelle guerre future verrebbero ad avere un serio fondamento.

Ed è perciò che è assolutamente necessario dare alla cavalleria un nuovo indirizzo, accrescendo le sue prerogative di velocità e resistenza alle celeri andature, piegando a questo concetto anche l’equitazione.

Chi avrà il coraggio di una tale riforma, avrà il suffragio della maggior parte degli ufficiali di cavalleria e si sarà reso benemerito dell’arma.

Ettore Varini

Capitano nei cavalleggeri di Lodi.