Satire di Tito Petronio Arbitro/6

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Capitolo sesto - Nuovi furti e baratterie

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Petronio Arbitro - Satire (I secolo)
Traduzione dal latino di Vincenzo Lancetti (1863)
Capitolo sesto - Nuovi furti e baratterie
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CAPITOLO SESTO

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nuovi furti e baratterie.



Allora Ascilto, ripreso fiato, diè sfogo alla sua grande allegrezza di aver saccheggiata la casa di Licurgo uomo avarissimo, della cui stitichezza a ragion si lagnava, perchè nessuna mercede avea ricevuto delle sue notti, e assai parcamente il trattava a mensa; poichè tanto sordido era colui, che ad onta d’immense ricchezze risparmiava persin le cose che gli erano necessarie alla vita.


Non può tra l’acque bere1
    Tantalo sciaurato,
    Nè i frutti ritenere
    Che si rimira a lato,
    Mentre aguzzan sue brame
    6E la sete e la fame.

Tal ricco avaro in mezzo
    A’ suoi tesori geme,
    E d’ogni cosa il prezzo
    Con tanto affanno teme,
    Che a dente inaridito
    12Mastica l’appetito.

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Voleva Ascilto entrare in Napoli lo stesso dì; ma gli è imprudenza, diss’io, metterci in luogo, dove per quanto si può supporre, sarem ricercati: meglio è che infrattanto peregriniamo, giacchè non ci manca di che star bene. Fu accettato il consiglio, e andammo ad un borgo per la bellezza delle case giocondissimo, dove molti de’ nostri amici godevansi la bella stagione: ma appena eravamo a metà del cammino, una pioggia grossissima ci obbligò di rifugiarci in un vicino villaggio, dove entrati in una locanda, molti altri vidimo raccolti per evitare il mal tempo. La folla fu cagione che non fummo osservati, e potemmo così più facilmente cogli avidi occhi indagare se nulla potevamo ghermire, quando Ascilto senza che altri si avvedesse, raccolse di terra un sacchetto, in cui trovò assai monete d’oro. Di questo primo felice augurio assai lieti noi fummo, e temendo che alcun reclamasse, noi zitti zitti uscimmo per la porta de’ carri, e qui vedemmo uno schiavo che insellava certi cavalli; il quale sendosi dimenticato non so cosa, lasciati i cavalli rientrò in casa: perlocchè io, lui partito, sciolte le fimbie, una egregia valdrappa levai: poi tenendoci lungo le botteghe ci salvammo in un bosco vicino.

Nel più folto del bosco, e dove ci tenevam più sicuri, molto pensier ci demmo del modo di nasconder quell’oro, sì per non essere del furto redarguiti, sì per non venir noi stessi rubati: e infin risolvemmo di cucirlo nel soppanno di un vecchio abito, che io poscia mi accavallai sulle spalle; e data la valdrappa in cura ad Ascilto, ci avviammo per obliqui sentieri verso la città: nell’uscire udimmo a man manca un che dicea: non isfuggiranno, e’ son venuti nel bosco, cerchiamli per tutto, e ci sarà facile d’attrapparli.

A queste parole tanto timor ci prese, che Ascilto e Gitone fuggironsi per mezzo agli spini alla città, ed io sì precipitosamente nel bosco tornai, che non [p. 21 modifica]m’avvidi essermi il prezioso abito dalle spalle caduto; sino a che stanco e incapace a ir più oltre, mi adagiai all’ombra di un albero, e qui della smarrita veste mi accorsi. Allora il dolore mi rese le forze, e rialzatomi mi posi in traccia di quel tesoro: ma lungamente e in vano mi aggirai, tanto che di fatica e di pena abbattuto, nel più folto del bosco mi ascosi, ove dimoratomi quattr’ore, infastidito di quell’orror solitario, cercai la via di sortirne. Feci pochi passi, e vidi non so qual villano. Allora sì che mi fu d’uopo di tutta la mia franchezza, la qual non mancommi; perchè arditamente ver lui avanzatomi, il richiesi per qual sentiero si andasse in città, lagnandomi del lungo tempo, che io stava gironzando pel bosco. Egli impietosito dello stato mio, dappoichè io era più pallido di morte, e tutto coperto di fango, m’interrogò se nessuno avessi visto nel bosco. Nessuno, io risposi; ed egli gentilmente allor mi condusse sulla strada maestra, dove incontrossi in due suoi compagni, che gli riferirono di avere scorsi tutti i viottoli del bosco, e nulla avervi trovato, fuorchè una veste, la qual mostrarono.

Non mi diè il coraggio, come ognun può credere, di reclamarla, benchè io sapessi di quanto valore ella fosse. Allora il dolor mio si fe’ più grave, e gemendo sul rapitomi tesoro, e la mia fiacchezza crescendo, lentissimamente senza che quei mi abbadassero, lor tenni dietro.

Assai tardi giunsi in città, ed entrato in locanda vi trovai Ascilto mezzo morto sul letto, ed io mi gittai sopra un altro, senza potere profferir motto. Turbatosi egli a non vedermi la veste, me ne dimandò incontanente, ed io quasi svenuto, ciò che non potei colla voce, gli manifestai colla languidezza degli occhi: ma a poco a poco tornato in forze, Ascilto della disgrazia informai. Egli pensò ch’io scherzassi, e quantunque con un profluvio di lagrime io giustificassi la cosa, pur [p. 22 modifica]egli ne dubitò, credendo che io frodar lo volessi di quell’oro. Intanto Gitone stavasi tristo al par di me, e il dolor suo accresceva la mia mestizia; ma ciò che più mi pungea, era la perquisizione che di noi faceasi; e avvertitone Ascilto, egli non turbossene gran fatto, perchè si era bellamente cavato d’intrico; oltredichè egli era persuaso che noi fossimo sicuri, sì perchè non eravam conosciuti, come perchè nessun ci avea visti. Tuttavia fingemmo di trovarci ammalati, onde senza sospetto restar qualche giorno all’albergo: ma la mancanza di denaro fe’ sortirci più presto di quel che volessimo, e l’urgente necessità ci costrinse a vendere i nostri furti.

Sull’imbrunir della sera vennimo in piazza,2 dove scorgemmo quantità di cose vendibili, non veramente preziose, ma però tali, che l’oscurità potesse meglio coprirne la mala provenienza. Di sì propizia occasione noi pure ci approfittammo, recando la rapita valdrappa, e appostatici ad un angolo ne esponemmo una falda, acciò la bellezza potesse per avventura attirar compratori.

Poco dopo un villano, ch’io conobbi di vista, in compagnia di una donnicciuola si avvicinò, e attentamente si mise ad osservar la valdrappa. Ascilto dal canto suo fissò gli occhi sulle spalle del compratore, e improvvisamente smarritosi ammutolì. Io parimenti non senza un po’ di commozione osservai costui, poichè parevami esser quel desso, che avea nel bosco trovato l’abito, siccome egli era diffatto. Ma Ascilto non fidandosi agli occhi suoi, e per nulla fare scioccamente, a lui dapprima qual compratore si appressò, e dalle spalle un lembo sollevandogli della veste con maggior diligenza l’esaminò. Vedi strano scherzo della fortuna! L’uom di campagna ancor non avea le curiose mani entro le cuciture introdotto, all’incontro come uno straccio d’accattone, e quasi vergognandosene, la vendea.

[p. 23 modifica] Poichè Ascilto intatto riconobbe il deposito, o il venditore imbecille, tirommi alquanto in disparte, e sì mi disse: sai tu, fratello, che il tesoro cagion de’ miei lagni ci è ritornato? quella è la veste, ancor, come parmi, di tutto l’oro fornita. Che farem dunque, e con qual dritto ricupereremo la roba nostra?

Io consolatomi, non solo in rivedere il bottino, ma sì pure per essere dalla fortuna liberato di un vergognoso sospetto, dissi che non conveniva operar con raggiro, ma apertamente e in via giudiziaria, cosicchè s’ei negasse di rendere l’altrui roba al padrone, venisse citato a comparire.


    Che giovan leggi, ove sol regna l’oro,
    Nè il pover uom vi può mai prevalere;
    3Vendon persino a prezzo i voti loro
    Quei che a cinica mensa usan sedere;
    Son le sentenze un pubblico mercato,
    6E i traffici ne approva il Magistrato.


Ascilto all’incontro avea timor delle leggi, e diceva: chi è che qui ci conosca? Chi ci crederà? A me piace comperare addirittura, benchè la sappiam cosa nostra, e con pochi soldi ricuperare un tesoro, anzi che esporci alla incertezza di una lite. Ma appena due lire, e qualche monetuccia avevam noi da prenderci quattro lupini. Acciò adunque non ci sfuggisse la preda, trovammo meglio di vendere la valdrappa a minor prezzo, acciò il minor guadagno da un lato compensasse la perdita dall’altro.

Appena tuttavia la merce nostra ebbimo esposta, che la donna dal capo velato venuta col villano, osservatine attentamente i contrassegni, ne afferrò a due mani la frangia, e ad alta voce gridò, che avea trovato i ladri.

Noi dall’altra parte turbati, e per non parere [p. 24 modifica]storditi, afferrammo noi pure la logora stracciata veste, e colla stessa forza gridammo che quella anzi era proprietà nostra e non sua. Ma troppo ineguale era la causa, e la gente che era accorsa al romore, rideva, secondo il solito delle nostre querele; imperocchè riclamavan coloro un drappo ricchissimo, e noi un cencio, nè manco buono a far schiavina. Ma Ascilto fe’ cessare le risa, e chiesto silenzio disse: noi vediamo che tien cara ciascuno la roba sua; rendanci essi il nostro abito, e riprendansi la valdrappa.

Sebben quel cambio al villano ed alla donna piacesse, tuttavia gli avvocati notturni3 che voleano lucrare sulla valdrappa, insistevano che ogni cosa fosse in lor mano deposta, e che il dì vegnente il giudice ne avrebbe deciso; tanto più che non solo trattavasi del merito della quistione, ma quel che è più, dì conoscere in chi cadesse il sospetto del furto.

Già il pensier del sequestro piacea, quando non so chi tra que’ schiamazzanti, calvo e di fronte assai rilevata, che facea talvolta il procuratore, s’impadronì della valdrappa, e disse, che l’avrebbe resa all’indomani. Del resto egli era chiaro, che altro non cercavan costoro, se non che depositato una volta quel drappo, ingoiarselo tra loro ladroni, e che noi per timor del delitto non avessimo a comparire alla citazione. Questo volevamo noi pure; cosicchè il caso giovò ad ambe le parti; onde il villano sdegnato che noi tanto instassimo per quello straccio, buttollo nel viso ad Ascilto, e volle che tolta di mezzo la quistione, deponessimo la valdrappa, solo oggetto di tanta lite. Riacquistato così, come ci credevamo, il tesoro, corremmo all’albergo, e chiusi gli usci, risimo della finezza sì della comitiva, che degli accusatori, i quali con tanta scempiaggine ci avean reso il danaro.



Note

  1. [p. 290 modifica]Questo Epigramma trovavasi prima tra i frammenti di Petronio, appartenenti ai Satiricon, che non sapevasi ove collocare. Ma il Codice di Belgrado trovato dal signor Nodot lo pone in questo luogo, e par che ci calzi.
  2. [p. 290 modifica]Credono alcuni, che qui si alluda al luogo, dove Nerone mandava a vendere quanto egli nel furore delle sue notturne pazzie, e per una invincibile inclinazione al furto, come avverte Tacito nel libro 15, andava rubacchiando.
  3. [p. 290 modifica]Forse specie di sgherri, o d’imbroglioni, che stavano sullo spiar le occasioni di buscar danaro alle altrui spalle.