Sermoni giovanili inediti/Sermone XV

Da Wikisource.
Sermone XV - La Società

../Sermone XIV ../Sermone XVI IncludiIntestazione 24 febbraio 2023 100% Da definire

Sermone XIV Sermone XVI
[p. 143 modifica]

SERMONE DECIMOQUINTO.


LA SOCIETÀ.




Figli d’un padre noi, noi di natura
     Ad egual legge nati, a un sol rivolti
     Irrevocabil fine, oh qual diversa
     Sorte governa! Fra le aurate pompe
     5Questi grandeggia e d’un superbo sguardo
     Appena degna chi nel fango giace.
     Par che di rose all’un tutto s’infiori
     Il cammin della vita, e all’altro il piede
     Sovra i pungenti triboli vacilli,
     10Orme lasciando del suo sangue intrise.
È cieco fato o provido consiglio,
     Che le dovizie, la possanza e gli agi
     Con norme inegualissime dispensa
     All’umana famiglia, in cento parti

[p. 144 modifica]

     15Discordanti divisa? Il denso buio,
     Che la faccia del vero a noi contende,
     Dall’occhio disgombriam. Pari siam tutti
     Dinanzi a lui, che di una sola argilla
     L’uomo compose, e coll’eterno fiato
     20Addentro vi spirò; ma i doni suoi
     Così comparte, che dall’imo al sommo
     Niuno a sè basti, e dove il volgo insano
     L’ingiuria accusa di fatal decreto,
     Ivi della superna arte si pare
     25Il mirabile intento. Agile e pronta
     Ora ci desta la segreta fibra,
     Or tarda e lenta, or vigorosa o molle;
     Come il vibrar delle commosse corde
     Con vario metro a varïate tempre
     30Acuto o grave, placido e soave
     O severo risponde; e tale n’esce
     Armonïoso suon che, a farne fede
     Della celeste melodia, disceso
     A noi quasi diresti. In cotal guisa
     35Se fra gli uffici vari, onde il civile
     E riposato vivere si abbella,
     Ognuno intenda a quel, cui la nativa
     Indol gli détta, e coll’ingegno e l’opra
     A sè giovando altrui giovi, non fia
     40Che disconosca l’alto magisterio,
     Che le sublimi all’umili fatiche
     Ed al privato il comun bene intreccia
     Sì, che l’indissolubile catena
     Prima sciolta cadrà, che un solo perda
     45Nodo spregiato. Ma per quanto salga
     In altezza di stato o in basso volga,
     L’uomo è pur sempre stimolato ai fianchi
     Dal doloroso pungolo, che fuori

[p. 145 modifica]

     Dall’ozio il tragge per donargli pace.
     50Chè di noie e lascivie è l’ozio padre,
     Di miserie e delitti; e con sè porta
     Del male il seme e del fallir la pena.
     Langue l’inerte corpo, e il vital succo
     Si converte in mortifero veleno;
     55Ed alla mente neghittosa è tolta
     La potenza dell’ali, onde secura
     Fuori del paludoso aere s’elevi
     A spazïar ove giustizia e fede
     Splendon di raggio limpido e sereno.
     60Ignoranza ed errore indi l’acerba,
     Or sorda or vïolenta, al mondo guerra
     Fanno, e di colpe e di sventure il mondo
     S’attrista e piange; e la tristezza e il pianto,
     Se il fomite riman, non vengon manco.
65Nel pensiero d’Iddio regna l’idea
     Di giustizia e pietade e in cor ne stampa
     Dei mortali l’imagine, che il passo
     Incerto e stanco ne sostenga e guidi,
     Se da fosca caligine non sia
     70Offeso l’intelletto, e di malnate
     Voglie nol turbi la feral tempesta.
     Quando a giustizia e a carità serbato
     Ognor fosse l’imperio, oh! come aperto
     Anche ad occhio volgar l’ordin sarebbe,
     75Che la divina provvidenza impose
     Alle umane vicende, e che l’umana
     Colpa e baldanza sol rompe e non cura.
Deboli, ignudi e di noi stessi ignari
     In questa entriamo, che di vita ha nome,
     80Oscura selva, alle minacce esposti
     Della fame, del verno e delle belve
     Più possenti di noi. Ma dal materno

[p. 146 modifica]

     Petto ci piove il nèttare soave,
     E l’influsso di amor che non perdona
     85Alle protratte notti, e nulla oblia
     Fuori che il senso del dolor: cotanto
     Vegliar ne giova sull’amata prole.
     A cui più tardi il genitore accorto,
     Dalla fida compagna avvalorato,
     90Più che alle membra, a facili e gagliarde
     Prove cresciute, all’animo ministra
     Salutar nutrimento. Alfin per lungo
     Volgere d’anni dell’adulta pianta
     Matura il frutto, con gentil fragranza
     95Ed eletto sapore i pigri giorni
     Consolando dei tremoli parenti,
     Ed il nativo suol lieto rendendo
     D’ombra benigna e di fecondi altero
     Ben intrecciati rami. A che natura,
     100Quasi proterva ed invida matrigna,
     Fa l’un dell’altro al soccorrevol braccio
     Segno, e alla vista del fratel che langue
     A fraterna pietà move, se nato
     Al par di bruto l’uomo a condur fosse
     105Il passo in cerca di selvaggia preda?
     A che la piena de’ soavi e cari
     Affetti e l’incantevole parola,
     Che l’affetto e il pensiero apre e trasfonde?
Oh! falso immaginar, che delle viete
     110Usanze schivo a nuovi sogni dietro
     Errando vola, e sciogliere presume
     ricomporre a suo talento i nodi,
     Onde a convitto socïal ci lega
     Nostra condizïon, più che l’alterno
     115Mutabil patto. Indomita speranza
     Del ben non paga al meglio invita, e porge

[p. 147 modifica]

     Lena al salir pel faticoso calle,
     Ove l’un l’altro ad appressare aiuta
     L’alta perfezïon, che unica e sola
     120L’impazïente desïare acqueta.
     A chi si toglie di toccar la cima,
     Se con valide penne ad essa il varco
     Libero si dischiuda, e intera serbi
     La signoria dell’alma? Arduo cimento,
     125Ove la pura coscïenza dona
     Ardire e forza, e di vittoria il certo
     Premio mertato. Se nimica mano
     A noi tarpi le penne o il varco neghi,
     Forse in colpa chiamandole faremo
     130Mozzate l’ali e la via tronca? A questo
     Badi chi rampognare osa l’arcana,
     Che gli uomini e le cose agita e incalza
     Assidua lotta. Temerario e stolto
     I consigli di Dio danna e corregge
     135Con fantastiche fole, e s’argomenta
     Edificar su nove basi il mondo!
Or mano all’opra: più del mio non suoni
     O del tuo l’esecrato ed empio nome,
     Che di guerre, di sangue e di rapine
     140Contaminò la terra. Uguali tutti
     Sediamo intorno della parca mensa;
     Senza che il lusso insultator contrasti
     Colla squallida inopia, a cui negato
     Fu il nero e scarso pane. Alle scïenze,
     145Ambizïosa e molle cura, il bando
     S’indíca eterno; e sol grazia ritrovi
     L’arte, cui fu necessità maestra,
     Prima che ai veri i falsi, ai pochi i molti
     Succedesser bisogni. Un dì penoso,
     150Colla lusinga del piacere attragga

[p. 148 modifica]

     A sè le allegre genti, or fatto ameno
     Il varïato e rapido lavoro,
     Onde la scelta, il modo, il tempo spetti
     Dettare all’infallibile e supremo
     155Nume terrestre, ch’entro a folta nube
     Ascoso, a un cenno del crollato capo,
     Vedrà prostrarsi le soggette turbe.
Nè qui della stupenda opra compiuto
     È il mirabile intreccio. Infeste gare
     160Non sorgeranno a disturbare i sogni
     Del fortunato eliso, ove ciascuno
     Vivrà contento alla gioconda manna,
     Che il benefico nume equo comparta.
     Non più sui letti maritali infauste
     165Tede risplenderan con fosca luce;
     Chè il lascivetto amor di loco in loco,
     Lieve agitando la volubil face,
     Caccerà in fuga le gelose larve
     E le cure pungenti. Alle felici
     170Madri, deposto di lor grembo il pondo,
     Pur si risparmi il vigilar molesto
     Sugl’importuni figli, a cui provveda
     Il portentoso Dio, che Stato ha nome.
All’alte maraviglie, oh! come umíle
     175Il dispregiato vero incontro appare.
     Chi primo di sudor bagna l’inculto
     Terreno, che per lui di bionda mèsse
     Ondeggia e ride, se ne coglie il frutto,
     Delle fatiche sue degna mercede;
     180Qual reca offesa all’invido compagno,
     Che vive colle man sotto le ascelle?
     D’ispidi dumi e di morte acque ingombra
     Sarà di nuovo la deserta gleba,
     Se alle rapaci voglie il fren si allenti

[p. 149 modifica]

     185Che imposero le leggi, affin che ognuno
     Del braccio e del volere accresca il nerbo.
     Con securtade a faticare intento
     Per sè, pe’ figli, onde la cara imago
     Nelle lunghe vigilie il riconforti;
     190Ben ripensando all’avvenir, cui lieto,
     Anzi che sperperare, aduna e serba
     La ricca vena che in diversi rivi
     L’aride zolle a ristorar poi scenda.
Sotto la sferza del cocente raggio
     195L’adusto agricoltore i campi miete;
     E il duro fabbro alla sonante incude
     Il ferro batte in vomere converso.
     Delle recise biade a questo manca
     La desïata parte, a quello il pregio
     200Dei rusticali arnesi; e l’un dell’altro
     Soccorre all’uopo con servigio alterno.
     A tutti giova chi vigile in guardia
     Del comun dritto siede; o sulle dotte
     Carte cercando pallido dischiude
     205Di sapïenza l’immortal sorgente;
     O di natura le segrete cose
     Indaga, scopre ed applica per mille
     Guise, men aspra a fare e più gentile
     Nostra carriera rapida, che solo
     210Dal pensiero e dall’opra si misura.
     L’umile canna e la frondosa quercia
     Non contendon fra lor; ch’utili entrambe
     Al fine sono a cui sortille Iddio.
     Ma se di tralignato arbore vedi
     215Ingombro il suolo, onde sottragga il succo
     Alle fertili piante, invan ne speri
     Dono cortese di benigna tempra;
     Come lo speri invan dalla superba

[p. 150 modifica]

     Di splendid’oro ornata, e dall’abbietta
     220Turba di panni laceri coperta,
     Che neghittosa a comun danno i giorni
     Lenti consuma. A povertade spesso
     Ignavia è madre; ma da rea ventura
     Nasce talvolta e maggior forza acquista,
     225A belle di virtù prove, che sacro
     Il dolor fanno e il beneficio degno.
     Forse la scuola del dolore è muta
     A cui l’ignaro volgo invidia porta?
     Oh vano giudicar, che alla corteccia
     230Bada e non cura l’intimo midollo!
Non a prezzo di facile pecunia
     Pace si compra; e se la dura inopia
     Combattere dobbiam, perchè nel sano
     Corpo la mente libera s’indonni,
     235Forse presumi cancellar dal mondo
     Ogni distinzïon, che da natura,
     Dall’umano consiglio e dall’arcano
     Ordine delle cose a noi procede?
     Finchè nell’un la vigoría prevalga
     240Dell’ingegno e degli organi, e nell’altro
     Alla ragion predomini il talento,
     Opre vedrai diverse a cui diverso
     Frutto risponderà. Dai padri ai figli
     Delle industri fatiche e dei lodati
     245Esempi si trasmettono i tesori
     In serbo posti; e che più tardi in vane
     O pazze imprese temerarie o vili
     Disperderanno immemori nipoti.
Nè rado avvien, che le turrite moli,
     250Che i secoli sfidar parean sublimi,
     Quasi nembo di polve al vento in preda,
     Dalla celeste folgore squarciate

[p. 151 modifica]

     Ti spariscan dinanzi, e un mucchio informe
     Di squallide reliquie il fin ricordi
     255Delle umane grandezze. Il volgo accusa
     La ruota dell’istabile fortuna;
     Ma il saggio adora l’immortal decreto,
     E a terra il capo reverente inchina.