Storia della geografia e delle scoperte geografiche (parte seconda)/Capitolo III/Le navigazioni degli Arabi

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[p. 57 modifica]18. Le navigazioni degli Arabi. — Già parecchi secoli prima dell’arrivo delle navi portoghesi nelle acque dell’Oceano Indiano, gli Arabi frequentavano questo mare per ragioni di commercio, e si erano resi famigliari coi paesi che lo limitano ad occidente e a settentrione. Lungo tutta la costa orientale africana, dal capo degli Aromati (capo Guardafui) al capo Corrientes dirimpetto alla grande isola di Madagascar, essi fondarono numerose colonie, tra cui quelle fiorentissime di Magadoxo, Melinda, Mombaz, Sofala e Mozambico. Altre ne fondarono pure in Madagascar, che essi chiamarono Isola Grande, e ancora in oggi si incontrano colà, a lato della popolazione malese dominante, i discendenti di quelle antiche famiglie di coloni arabi. Col paese di Sofala, ricco di oro, terminano le cognizioni geografiche degli Arabi nella Etiopia orientale: il mare che si estendeva a mezzodì di quella regione era ritenuto come non navigabile, ed i popoli della costa erano conosciuti col nome generale di Cafri (Infedeli), il quale rimane tuttora nella [p. 58 modifica]nomenclatura geografica per designare una delle più estese famiglie dell’Africa australe.

Già nei primi tempi del Califfato, dai porti di Moca nello Yemen, di Bassorah alle bocche dell’Eufrate e di Siraf nel golfo Persico, mettevano alla vela ogni anno numerose imbarcazioni arabe, dirette alla foce dell’Indo, alla costa del Malabar, all’isola di Ceylon, alla costa del Coromandel. In tutti questi paesi, specialmente nell’ultimo, sorsero numerosi stabilimenti commerciali. E anche ad oriente di Ceylon gli Arabi si spinsero più oltre attraverso la sezione meridionale del golfo del Bengala, approdando così a Malacca, Sumatra, Giava, Borneo, alle piccole isole della Sunda ed alle Molucche o Isole delle Spezie, e introducendo presso quelle famiglie, di origine malese, la religione di Maometto.

L’insieme delle acque oceaniche che limita a mezzogiorno e ad oriente il continente asiatico era dagli Arabi diviso in sette bacini o mari secondari. Il primo, detto Bahr Fars cioè mare di Fars, corrisponde al Golfo Persico della geografia moderna. Ad esso succede il Bahr Larewi, il quale incomincia allo stretto di Ormus: con vento favorevole, dice il celebre Masudi (sec. X), lo si può attraversare in un mese, mentre in caso contrario abbisognano da due a tre mesi. Lo stesso autore aggiunge che questo secondo bacino è detto altrimenti Mare di Habesch (di Abissinia), per cui siamo condotti a ritenere come corrispondente al Bahr Larewi il mare che i geografi moderni chiamano Mare Arabico. Nella direzione del sud-est lo stesso Bahr Larewi (Mare di Lar) termina ad una lunga serie di isole (in numero di ben 1900), nelle quali allignano le palme a noce di cocco, ma non le palme a dattero. Esse sono designate da Masudi col nome di Dahibat (corruzione del sanscrito Dvipa), e formano, insieme colla grande isola Serendib (Ceylon), la separazione tra il Bahr Larewi ed il terzo bacino, detto Mare di Herkend, corrispondente alla parte dell’Oceano Indiano situata a mezzogiorno di Ceylon e ad oriente delle Maledive. Navigando ad oriente di Ceylon, si giungeva alle isole Lanka (isole Nicobar), e quindi alla grande isola El Ramni (Sumatra), [p. 59 modifica]il cui circuito era di 800 parasanghe, poco diverso dal circuito vero (2300 miglia geografiche). Al nord delle isole Lanka e della rotta comunemente tenuta dagli Arabi erano le due isole del Mare Andaman, abitate da neri selvaggi e antropofagi; e più a settentrione si estendeva, secondo quei navigatori, una regione montagnosa ricca di miniere d’argento (Arakan delle carte moderne).

Al mare di Herkend succedono il mare di Salahit (Stretto di Malacca), sulle cui rive orientali era il porto attivissimo di Kalah (Quedda?), ed il Mare di Kadranj (golfo di Siam). A partire dalla estremità meridionale della penisola di Malacca, le navi arabe percorrevano il mare di Kadranj (a sud-est delle bocche del Menam), donde, fiancheggiando le coste sud-ovest del Camboge e della Bassa Cocincina, giungevano prima a Sanf (ad occidente del Gran Capo o Capo Camboge), quindi alle isole Sandar Fulat (Sondur di Marco Polo, Pulo Condor delle carte moderne), ad oriente delle quali si entrava nell’ultimo mare asiatico, detto Mare di Sanij (Mare della Cina), sulle cui rive occidentali erano i porti frequentatissimi di Canton, definitivamente abbandonato nell’anno 795, di Canfù (moderna Hang-ceu), e di Kantu (sulla costa meridionale della penisola di Sciantung), il quale fu per molto tempo il più importante porto della Cina settentrionale. Dirimpetto a Kantu si innalzavano alte montagne appartenenti al paese de’ Sila ricco in oro, saluberrimo e fertilissimo, dal quale si esportavano, in grande quantità, aloe, canfora, sete, porcellane, cannella ed altri prodotti naturali ed industriali. Gli abitanti di Sila vivevano in amichevoli relazioni coi Cinesi, ed appartenevano alla medesima razza di questi. Alcuni autori identificano il paese di Sila col Giappone1, altri, forse con maggior ragione, colla Corea2, paese che dall’anno 668 era [p. 60 modifica]caduto in possesso della dinastia dei Tang, e la cui parte meridionale portava il nome di Sin-lo.

Queste informazioni sui paesi più orientali dell’Asia si trovano raccolte in una relazione araba, la quale consta di due parti, una dell’anno 851 scritta da un tale Soleyman, l’altra dell’anno 920 e scritta da Abu Zeid nativo della città di Siraf, il quale, stabilitosi, dopo l’anno 916, nella città di Basrah, si era procurato molte informazioni interessanti dal Coreiscita Ibn Wahab che aveva visitato quei lontani paesi.

Assai meno importanti che nell’Oceano Indiano e nei mari della Cina furono le navigazioni degli Arabi nell’Oceano Atlantico, da essi comunemente detto Mare Tenebroso. Ai tempi di Ibn Hauqal (secolo X) era appena conosciuta la sezione della costa occidentale d’Africa, compresa tra lo stretto di Gibilterra e il porto marocchino di Safi: verso la metà del secolo XII si aveva notizia eziandio dell’altro tratto di costa che da Safi si estende verso mezzogiorno, per uno spazio corrispondente a quattro giornate di viaggio, ma pare che in nessun tempo le cognizioni geografiche degli Arabi si spingessero, in quella parte del littorale africano, sino al capo Nun. Solo occasionalmente, come racconta Ibn Fatima, una nave era stata cacciata da una furiosa tempesta sino ad un promontorio, cui l’equipaggio aveva dato il nome di Capo Brillante, e che il signor Riccardo Major crede di poter identificare col Capo Bianco.

La conoscenza delle isole Atlantiche, poco lontane dalla costa occidentale d’Africa, andò perduta nel Medio Evo, e a tal punto che la loro esplorazione divenne, in questo periodo, una impresa di nuove scoperte, dopo un intervallo di parecchi secoli. E l’Oceano ebbe nuovamente le sue leggende di isole meravigliose ed incantate, tanto per l’Europa cristiana, quanto per il mondo musulmano dilatatosi sino alle estremità occidentali dell’Africa e dell’Andalusia.

Delle ventisette mila isole, le une popolate le altre deserte, che, secondo Edrisi (secolo XII), si innalzavano nel Mare Tenebroso, diciassette sole erano state visitate. Tra queste primeg[p. 61 modifica]giano le isole Khaledat od Isole Eterne, nelle quali gli astronomi musulmani, seguendo l’esempio di Tolomeo, avevano posta l’origine delle longitudini, a dieci gradi dal continente africano verso occidente. Erano sei isole, vicine le une alle altre, nelle quali le piante e gli alberi crescevano spontaneamente senza coltura, e tutto era buono e gradevole. Vi si trovavano delle torri alte cento cubiti, le quali servivano di faro ai naviganti, e portavano alla cima delle statue colossali accennanti, col braccio disteso, verso occidente, quasi per indicare ai naviganti il pericolo o l’impossibilità di andar più oltre in quella direzione.

Le sei isole Eterne erano uniformemente distribuite nei tre primi climi, dei sette che, secondo i geografi arabi, si succedevano dalla linea equinoziale al polo nord. Non conosciamo i nomi delle due isole situate nel primo clima: quelle del secondo clima erano dette Masfahan e Laghus; quanto alle due altre poste nel terzo clima, non ci è dato di distinguerle con certezza in mezzo alle tredici che ci sono descritte dai geografi arabi in quei paraggi occidentali3, e delle quali è difficilissimo, per non dire impossibile, determinare la sinonimia geografica sia antica sia moderna. Pare tuttavia che due o tre di queste sinonimie si possano determinare mediante ciò che Edrisi ed Ibn el-Wardi ci raccontano della navigazione degli El-Magrurin, circa la data della quale si può solo asserire che è anteriore all’anno 1147 e posteriore all’ottavo secolo, in cui ebbe principio l’occupazione di Lisbona per parte degli Arabi. Ecco succintamente la narrazione di Edrisi: «È da Lisbona che partirono otto marinai, tutti cugini germani, per una spedizione il cui fine era di conoscere ciò che contiene l’Oceano, e quali ne siano i limiti. Provvisti di acqua e di vettovaglie per alcuni mesi, misero alla vela con un favorevole vento di est: dopo undici giorni di navigazione trovarono un mare denso, fetido, [p. 62 modifica]seminato di scogli, per cui, cangiando di direzione, navigarono al sud per lo spazio di dodici giornate; giunsero così all’isola di El-Ghanam, così detta dai numerosi greggi di bestiame minuto (pecore). Ma la carne di questi animali era tanto amara da non potersi mangiare. Ripreso il mare, navigarono ancora per dodici giorni verso mezzodì, e giunsero in vista di un’isola che pareva abitata e coltivata: avvicinatisi ad essa, furono fatti prigionieri e condotti ad una città situata sulle rive del mare: scesi a terra, si videro attorniati da uomini rossi, di alta statura, e dalla liscia capigliatura. Condotti, dopo parecchi giorni, in presenza del re di quell’isola, ed informatolo del loro disegno, egli disse loro che anche suo padre aveva molti anni prima mandato gente ad esplorare l’Oceano, la quale, dopo avere navigato per un mese nella direzione di occidente, era stata colta da tenebre densissime e costretta a ritornarsene. Colta quindi l’occasione che il vento si era cangiato all’ovest, il re li fece nuovamente imbarcare cogli occhi bendati. Dopo una navigazione che i nostri avventurieri calcolarono a tre giorni e tre notti, furono deposti sulla riva, ma sempre cogli occhi bendati e colle mani legate dietro il dorso: tutto era silenzio intorno ad essi; ma avendo finalmente sentito alcune voci lontane, gettarono alte grida che fecero accorrere ad essi alcuni Berberi, dai quali riebbero la vista e la libertà. Seppero allora che si trovavano a due mesi di distanza da Lisbona; e siccome il capo di quei Berberi, mosso a compassione dal racconto delle loro disgrazie, gridava Wasafi (ahimè), essi credettero che questo nome fosse quello del luogo, il quale difatti d’allora in poi continuò ad essere chiamato così. Gli otto cugini ritornarono quindi a Lisbona, assai confusi per non essere riusciti nel loro progetto, e furono designati col nome di El-Magrurin (i delusi), il quale rimase alla strada di Lisbona in cui era la loro abitazione».

Quali conclusioni si possono trarre da questo racconto? Undici giorni ad occidente di Lisbona, quindi dodici giornate a mezzodì, dovettero condurre all’isola di Madeira, la quale sarebbe adunque l’isola El-Ghanam degli El-Magrurin, il cui [p. 63 modifica]nome ha un singolare rapporto di consonanza colla denominazione italiana d’isola del Legname, inscritta sui portolani neolatini assai tempo prima che i Portoghesi lo traducessero letteralmente con quello di isola Madeira. Nella serie delle 13 isole di cui si è detto più sopra, quella di Raka è, secondo i geografi arabi, nelle vicinanze di El-Ghanam: molto ragionevolmente la si può adunque identificare con quella di Porto Santo. Notiamo in fine che nella loro navigazione di dodici giorni da Madera (El Ghanam) verso mezzodì, gli El-Magrurin dovettero essere condotti in vista delle Canarie, una delle quali sarebbe quella in cui vivevano gli uomini rossi, di alta statura e dai capelli lisci, di cui nella relazione di Edrisi. L’isola di quel gruppo che meglio risponde alla condizione della distanza di tre giorni e tre notti dal parto di Safi è Lancelote, nella quale si riconoscerebbe inoltre l’isola dei due fratelli maghi, essendochè Lancelote è fiancheggiata, alla sua punta settentrionale, da due scogli, quello dell’est e quello dell’ovest, ai quali pare alludere la favola Araba della trasformazione dei due fratelli Sceram e Sciabram in roccie sporgenti dal mare4.

Note

  1. Peschel, Abhandlungen zur Erd- und Völkerkunde, II, pag. 28.
  2. Richtofen, Ueber den Seeverkerhr nach und von China in Alterthum und Mittelalter, nelle Verhandlungen della Società geografica di Berlino, III, pag. 94.
  3. Sabah, Saaly, Ilhasarat, El-Ghur, Mostaschin o isola del Drago, Galhan, El-Akhwayn el-Sahhabayn o isola dei due fratelli maghi, El-Ghanam, Raka o isola degli Uccelli, Sahhalyah o isola littorale, Lagah, Nouryah e Gades.
  4. Questi due fratelli erano pirati, assalivano le navi, si impadronivano dei carichi, e conducevano schiavi gli equipaggi. Dio, irritato dalle loro depredazioni, li trasformò in due scogli che si veggono ancora sorgere dal mezzo delle onde. D’allora in poi l’isola si è di nuovo popolata. Essa, dicono i geografi arabi, è situata dirimpetto al porto di Safi, e, quando il cielo è sereno, si può dal continente vedere il fumo che si solleva dall’isola.