Storia di Reggio di Calabria (Spanò Bolani)/Libro quinto/Capo primo

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Libro quinto - Capo primo

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CAPO PRIMO

(Dall’anno 1381 al 1414.)

I. Lodovico d’Angiò viene nel Regno. I Sindaci Venuto Moleti e Roberto Paparone. Carlo III conferma a’ Reggini i loro privilegi. Sedizione in Reggio a favor di Lodovico d’Angiò. Morte di Lodovico. Carlo fa indulto a’ Reggini ribelli. II. Cose di Ungheria. Carlo è chiamato alla successione di quel trono. Sua morte violenta. È proclamato re di Napoli il picciolo Ladislao. III. Reggenza di Margherita. Consiglio del Buono Stato del Regno. I Sei del Buono Stato di Reggio. Concessioni di re Ladislao a’ Reggini. IV. Lodovico II. Turbolenze del Reame. Tumulto in Reggio. Zuffe tra Lodovico e Ladislao. V. Notizie di Sicilia. Scorrerie de’ Mori nelle vicinanze di Reggio. Essi sono perseguitati e sconfitti da Artale d’Alagona. Saline de’ Reggini. Pagamento delle collette fiscali in tre quote. Ladislao torna signore di Napoli. VI. La Calabria per maneggio di Niccola Ruffo si ribella a Ladislao. Il Ruffo s’impadronisce di Reggio. Atti di Lodovico II a prò de’ Reggini. Ladislao viene in Calabria, e batte il partito angioino. Lodovico fugge in Provenza. Benefizii di Ladislao a’ Reggini. VII. Distretto di Reggio, e sue appartenenze. Bagnara, Santagata, e Motta San Quirillo ottengono di aver Capitanti speciali. Morte di Ladislao.


I. Non era ancor giunta in Provenza la notizia della morte di Giovanna (1381), quando Lodovico d’Angiò moveva per l’Italia a liberar questa regina dall’aggressione di Carlo di Durazzo. All’entrata di Lodovico molti baroni del Regno si chiariron per lui, il quale quasi senza opposizione si addentrò sino a Caserta. Per tre anni consecutivi il Reame di Napoli fu allora palestra di continui azzuffamenti tra Carlo e Lodovico; ma il primo restò sempre padrone di Napoli, e della maggior parte dello Stato.

Con sua Lettera Patente Carlo avea sin dal 1381 confermati alll’università di Reggio i privilegi accordatile da’ precedenti Sovrani. E nel 1382, quando l’università medesima mandò a Carlo i suoi sindaci Venuto Moleti e Roberto Paparone, questo re, tra le altre cose, riconfermò a’ Reggini la fiera franca di Agosto già concessa da [p. 203 modifica]Lodovico e Giovanna. Circa questo tempo medesimo i Sindaci divennero il primo magistrato ordinario e periodico dell’università di Reggio, ed i Giurati, che poi furon detti Mastrigiurati, ebbero il carico di vegliare all’esecuzione immediata ed esatta degli ordini sindacali.

Dopo, nel 1383 Carlo dispose a favore de’ Reggini:

1.° Che i Giudici ed i Notai degli atti nell’esame de’ testimoni non potessero ricevere altro che due grani per ogni testimone.

2.° Che ogni pubblico uffiziale fosse sindacato dal suo successore, e da una persona a ciò delegata dall’università.

3.° Che niun Reggino potesse tenere in città alcun regio uffizio.

4.° Che fosse permesso a’ Sindaci e Capitanii di Reggio, per il buon esercizio del loro uffizio, mantenere un serviente a loro scelta.

5.° Che nessuno uffiziale o Capitanio di essa città potesse procedere contro persona alcuna ex officio Curiae, se non dopo essersi presentato un denunziatore, che si obbligasse a provar la cosa denunziata, e desse idonei fidejussori a portar la pena del taglione, ed a rifar i danni al denunziato, nel caso che il denunziatore non ne avesse sostenuta la prova, anche nelle circostanze dalla legge previste.

6.° Che fosse restituito a’ Reggini il sale sequestrato loro dal dottor Aniello Arcamoni di Napoli, regio commissario delle nuove gabelle in provincia di Calabria.

7.° Finalmente che i Reggini fossero tutelati e difesi contro le violenze minacciate o fatte a’ lor poderi dagli abitanti di San Nuceto.

Lodovico d’Angiò intanto per mezzo de’ suoi aderenti faceva cose di fuoco perchè le provincie si sollevassero contro Carlo III; e perciò varie gravi turbolenze erano avvenute in Calabria. Ed in Reggio ancora una parte di cittadini volle levarsi a rumore; ma il tumulto non fece presa, perchè la maggioranza de’ Reggini stette ferma nella fede del Durazzo. La sedizione de’ partigiani dell’Angiò fu compressa, e la quiete tornò prontamente alla città. Morì finalmente Lodovico in Bisceglia, e re Carlo assicuratasi la corona ricostruì l’ordine pubblico in tutte le sue moltiplici attenenze. Visitò in persona le provincie per provvedere con antiveduta ragione ad ogni lor bisogno, e per rifermarle nella sua potestà. E si porse poi così clemente a quei Reggini che gli si eran fatti ribelli, che nell’ottobre del 1385 da Cotrone ove dimorava, promulgò di sua propria mano un indulto a tutti i colpevoli, e perdonando loro gli eccessi ed i reati commessi, li restituì agli onori, dignità, stato, fama, e beni che prima godevano. Per compensar poi la città de’ danni da lei patiti nella guerra [p. 204 modifica]contro l’Angioino, e per renderle merito delle sovvenzioni da lei date con lealtà e prontezza alle regie necessità, fece buone all’università reggina once trenta, che questa doveva per contingente della somma delle collette dovute per settembre ed ottobre di quell’anno.

II. Sin dal 1382 era già morto Lodovico re d’Ungheria; e la nobiltà ungherese aveva consentito che Maria, la maggior figliuola di lui, potesse trasferir la corona a Sigismondo, marchese di Brandeburgo (secondogenito dell’imperator Carlo IV) a cui era costei fidanzata. Fu quindi ella incoronata col titolo di re, ma siccome era ancor di tenera età, prese il governo sua madre Elisabetta, con intenzione di tenerlo sinchè la figliuola non avesse contratte le nozze col detto Sigismondo. Ma i nobili, mal sofferenti del comando donnesco, deliberarono di chiamare a quel trono Carlo III di Durazzo; il quale per essere stato figliuolo adottivo di Lodovico, ed allevato in quella corte, era assai conosciuto e prezzato dagli Ungheri.

Carlo III, malgrado le istanze della moglie Margherita, la quale desiderava ch’ei si contentasse del Reame di Napoli e non se ne dipartisse, come subito ebbe l’offerta della corona d’Ungheria dal Vescovo di Zagabria, s’imbarcò in novembre del 1385 alla volta dell’Ungheria, lasciando reggente dello Stato di Napoli la regina Margherita. Ma Elisabetta non dormiva, e si preparava ad una cupa e terribil vendetta. Infingendosi e facendosi tutta cortesia, ella accoglieva Carlo di buon grado, e rimetteva in lui tutta spontanea la corona della figliuola, senza dar ombra di sentirne rammarico. Poi in un bel giorno di febbrajo del seguente anno, apparecchiata una solenne festa nel suo appartamento, mandava preghiera al nuovo re di recarvisi per farla lieta di sua real presenza. Carlo vi andò incauto senza alcun sospetto; ma quando vi fu entro, un mazziere della regina, cacciandoglisi addosso a tradimento, gli diede una violenta mazzata in sul capo, e spaccandogli il cranio, il fece cadere stramazzoni e privo di sensi sul pavimento. Pure il re non morì di quel colpo, ma rinchiuso in Visgrado fu fatto finir di veleno nel giugno del medesimo anno.

Dopo tal morte caddero in preda alla più orribile anarchia i due reami di Ungheria e di Napoli. La regina Margherita, appena saputa in Napoli la morte del marito, dove era rimasta co’ suoi figliuoli Ladislao e Giovanna, fece proclamare in re Ladislao. Ma siccome questi non aveva che la tenera età di dieci anni, lo Stato continuò ad esser governato da lei.

III. La reggenza di Margherita però, offendendo in varii modi le garenzie del popolo napolitano, aveva eccitato malumori e solleva[p. 205 modifica]menti. In Napoli, contro la volontà di lei, fu creato un Consiglio provvisionale di otto cittadini che reggessero la città; ed in ogni provincia del Reame fu stabilito in simil modo un Consiglio di sei cittadini che amministrassero ragione, e non da altri dipendessero che dal Consiglio degli Otto di Napoli. Questo magistrato supremo si domandò Consiglio del Buono Stato della Città e del Regno di Napoli. Ed il gran Contestabile Tommaso Sanseverino, in nome di Lodovico II d’Angiò, vi diede la sua adesione nel Parlamento convocato in Ascoli.

In Reggio, dove moriva in quel tratto il Capitanio e Castellano Cirillo Ajossa (1387), fu formato il Consiglio de’ Sei del Buono Stato a cui vennero eletti i cittadini Venuto Moleti, Giovanni Blasco, Mario Suppa, Domenico Ciriaco, Giovanni Arrigo Malgeri, ed Antonio de Musolino. Ma i Reggini contuttociò non avevano trascurato di far nota a Margherita la formazione del Consiglio de’ sei cittadini. Ed in prova della lor fedeltà verso di lei e di Ladislao, domandavano la conferma de’ loro privilegi, e nuovi ne chiedevano. Ladislao e Margherita, approvando lo spediente preso da’ cittadini, concessero loro:

1.° Che in avvenire nell’università di Reggio non potessero più riunirsi in una stessa persona gli uffizii di Castellano e di Capitanio, e che a tali uffizii non potessero esser chiamati nè conti, nè baroni, nè Fiorentini o Lombardi, ma solo regnicoli.

2.° Che il capitanio ed il castellano avessero la durata di un anno, ed in fine del loro uffizio stessero a sindacato, con pena di once cinquanta di oro ai trasgressori.

3.° Che questi uffiziali non dovessero prendere a stipendio, per servigi loro o della regia Corte, persone che fossero cittadini di Reggio.

4.° Che gli uffiziali successivi fossero i sindacatori de’ passati, coll’aggiunta sempre di un sindacatore eletto dall’università.

5.° Che la tassa delle imposizioni per il prossimo anno fosse applicata alla riparazione e ricostruzione delle mura della città, a cura di cittadini eletti dall’università medesima.

6.° Che i Sei cittadini, che per la morte dell’Ajossa furono eletti a governar la città, durassero in tale uffizio per un anno.

Si lamentavano oltre a questo i Reggini (1387) che i Castellani delle Motte circonvicine facessero loro molte oppressioni, devastandone i poderi, e togliendosi i frutti delle terre che i cittadini possedevano nel territorio delle Motte, ove essi castellani avevano giurisdizione; e ciò con massimo danno e detrimento delle private pro[p. 206 modifica]prietà. Il re, minacciando severe pene, ordinò che tali oppressioni fossero impedite, e non avessero più a riprodursi, e che i danni fatti dovessero esser pagati da’ Castellani medesimi.

IV. Intanto Maria di Blois, vedova di Lodovico d’Angiò, teneva la fantasia a conquistare il regno al suo figliuolo Lodovico II, che era pure di tenera età. Tale impresa fu addossata ad Otone di Brunsvichio, vedovo di Giovanna I. Il quale nell’ottobre del 1387 partendo da Provenza si avviava alla volta di Napoli. Giunto che fu nel Regno, i baroni di parte angioina si spinsero fin sotto le mura della capitale, e la regina Margherita, seco traendosi Ladislao e Giovanna, ritirò la sua corte in Gaeta. Tutto il reame andò a scompiglio e tramazzo. Si vedevano due femine. a pro di due re fanciulli alimentar la ricrudescenza delle brighe civili. E lo scisma della Chiesa, e lo stato mal fermo in cui si dibatteva la sede pontificia, dava tempo e stimolo alle reciproche offese. Ogni città e terra del reame si scomunò in partiti; nè Reggio stette tranquilla, essendovisi molte bande di cittadini sollevate in favor di Lodovico II. Ma preponderarono i Durazzeschi, e de’ sediziosi, parte fu imprigionata, parte fuggì. I loro beni furono quindi confiscati, e donati a persone benemerite del partito vittorioso.

Ladislao nondimeno, dopo due mesi del sedato tumulto, condonò a’ ribelli Reggini il reato, li ripose nel possesso de’ loro averi, e dimenticando il trascorso, abolì per que’ fatti qualunque procedimento penale. Ladislao intanto era pervenuto all’età di anni quattordici; ed in Gaeta, ove si stava ritirato colla sua corte e colla madre, contraeva maritaggio con Costanza di Chiaramonte. E papa Bonifazio IX, dichiarandosi a favor suo, gli mandava un Legato ad incoronarlo. In questo stesso anno Lodovico II d’Angiò moveva per Napoli; e dopo molti ostacoli gli riusciva d’impadronirsi della città, e di sollevare per sè una gran parte del Regno. Ladislao allora non tollerò di tenersi più oltre chiuso ed inoperoso in Gaeta, ma uscitone pieno di giovanil coraggio, mise ogni studio a rialzare il suo partito dal vile e basso stato in cui era caduto. Nuovi e potenti partigiani acquistò; solo figlio legittimo della Chiesa lo predicava Bonifazio IX, ed il popolo napolitano cominciava a riguardarlo come l’unico avanzo del sangue de’ suoi re. Ladislao, disconosciute le prime sue nozze con Costanza, ivi ad alcuni anni passò a nuovi sponsali colla principessa Maria figliuola del Re di Cipro. La Calabria, non ostante tutto lo sforzo di Lodovico II, rimase fedele a Ladislao.

V. Già dicemmo nel precedente libro che morto in Messina re Federigo d’Aragona, restava erede della Sicilia la sua figliuola Ma[p. 207 modifica]ria, sotto la cura ed il baliato di Ariate d’Alagona. Ma costei, rapita in Catania da Raimondo Moncada (1390) per ordine di Manfredi Chiaromonte, fa condotta in Catalogna, ove le si diede a marito Martino figliuolo di Martino il vecchio Duca di Alba e re d’Aragona: il quale nel seguente anno venne in Sicilia col figliuolo e colla nuora. Tutti i Siciliani riconobbero il nuovo re; tranne Andrea Chiaromonte, che aveva occupato Palermo, ed altre città. Ma costui preso a tradimento ivi a pochi giorni ebbe tagliata la gola per ordine di re Martino. Artale d’Alagona, imbarcatosi sopra una nave genovese, uscì di Sicilia, e fuggì alla corte di Ladislao in Gaeta. I Palizzi ed i Chiaromonte furono da Martino perseguitati e distrutti del tutto.

Avvenne a questi tempi (1391) che cinque fuste di Mori, a cui eransi uniti molti rinnegati cristiani, infestassero il litorale di Sicilia e di Calabria, mettendo in preda le terre attorno di Reggio, e facendo prigioni un quattrocento terrazzani, senza osar nondimeno di molestar la città. Queste fuste però, avvenutesi in tre navi genovesi, tra le quali era quella che menava a Gaeta l’Alagona, furono vigorosamente inseguite e prese per virtù di Artale medesimo, e gran parte de’ Mori, e tutti i rinnegati vi restarono uccisi.

Nel 1391 sopraintendeva alle saline di Calabria Paolo Gattula da Gaeta, quando l’università di Reggio esponeva a Ladislao che parecchi Reggini possedevano da antico tempo sino a quell’anno alcune saline, ossiano gorne di sale presso un pantano sito nel tenimento di San Nuceto, per il quale pagavano alla regia Corte una annua prestazione. Intanto i regii uffiziali non solo si usurpavano il diritto della Corte, ma altresì quello di essi cittadini. Ladislao, dando corso al richiamo, ordinò che per via di periti fosse determinato il diritto reciproco e nulla si detraesse di quel che a’ Reggini apparteneva. Confermò poscia loro il privilegio accordato da Giovanna I, circa l’introduzione franca del frumento da tutta la provincia in Reggio, sia per mare o per terra. E con sua lettera Patente del 1394 stabilì che il pagamento delle collette, e delle altre funzioni fiscali dovesse farsi in tre quote: la prima il giorno di Natale, la seconda in quello di Pasqua, e la terza a tutto agosto; e che nessun cittadino potesse esser costretto a pagar prima della scadenza indicata.

Tanto poi la fortuna andò mostrandosi favorevole a Ladislao, che i grandi baroni Raimondo del Balzo, e Tommaso Sanseverino, i quali sino a quel tempo eransi dimostrati i più caldi partigiani della casa d’Angiò passarono alla parte di Ladislao, e Napoli gli aprì le [p. 208 modifica]sue porte. Allora Carlo d’Angiò fratello di Lodovico II, ridotto a chiudersi nel Castel Nuovo, vi fu tosto assediato; e lo stesso avvenne a Lodovico, che da’ nemici fu messo alle strette in Taranto, ove dimorava. Laonde questi Principi, dopo una non breve resistenza furono finalmente costretti (1400) a consegnar la fortezza ai loro avversarii, ed a ritirarsi in Provenza.

VI. Era morto Bonifazio IX, e Ladislao, per trar frutto da tale avvenimento, e dalle turbolenze insorte per l’elezione del successore alla Sede pontificia, lasciava i suoi Stati (1404) correre alla conquista di Roma. Ma molti baroni del regno colsero cagione dalla sua assenza per sollevargli contro il partito angioino. Nicola Ruffo Conte di Catanzaro conquistava in Calabria molte città e castella in nome di Lodovico d’Angiò; e con cinquecento de’ suoi più risoluti uomini a cavallo era corso a Reggio, e l’aveva occupata. Nè questa città, dove il partito angioino aveva pigliato terreno, stette molto a venire nelle mani del Ruffo; il quale si diede ad esortare i cittadini che volessero togliersi dalla servitù di una donna e di un giovinastro insolente, e passare a Lodovico II, ch’era il legittimo successore della corona del Regno. Mentre che questo avveniva, il capitanio e gli altri uffiziali di Ladislao erano fuggiti dalla città, ma raggiunti presso Calanna da’ cavalli del Ruffo, vi furono ricondotti per forza. Dopo la presa di Reggio tutti i vicini paesi caddero ancora nella potestà del Conte di Catanzaro; il quale tenne per parecchi anni molta parte della Calabria nell’obbedienza di Ludovico II. Questi stando in Marsiglia volle aggraduirsi i Reggini concedendo loro larghissimi privilegi. E con diploma dato da quella città il ventotto novembre del 1409, facendo considerazione alle calamità sofferte dalla medesima in quelle guerre minute e continuate, rimise all’università di Reggio e suo distretto le sovvenzioni generali e le collette dovute sino a quel tempo, e per quindici anni successivi: facendola per questo spazio libera, esente ed immune. Concedette parimenti a’ Reggini che navigando per mare con mercanzie e cose proprie di qualsivoglia specie, fossero franchi ed esenti in perpetuo da ogni soluzione di gabella, o di diritto alcuno di dogana in tutti i porti e terre demaniali del Regno. E per simil modo che i medesimi potessero esportare liberamente per tutti i luoghi dello Stato qualunque arme proibita, però a loro difesa, non ad altrui offesa.

Lodovico II poi tornò nel reame con una flotta sufficiente, e trasse alle coste di Calabria per tener fermi i suoi partigiani, e spingersi col Ruffo ad altre conquiste (1411). Come Ladislao, già tor[p. 209 modifica]nato da Roma, ebbe notizia della venuta di Lodovico in Calabria, vi venne anch’egli per terra con un buon nerbo di fresca fanteria a domar la sollevazione, ed a combattere in persona il suo competitore. Nè tardò molto a rivocare alla sua obbedienza le commosse popolazioni; ma Reggio e Cotrone, ove il Ruffo aveva le maggiori forze, resistettero buon pezzo agli sforzi di Ladislao. E solo riacquistò tali città quando, rimaso vittorioso contro Lodovico II, il costrinse a ritornarsi precipitoso in Provenza; ove poscia fu raggiunto dal Ruffo. A cui Ladislao fece confiscare i beni, e tolsegli la contea di Catanzaro, ed il marchesato di Cotrone.

Ladislao riconfermò gli antichi privilegi all’università di Reggio, condonò a’ cittadini qualunque reato che avesser commesso prima e dopo della ribellione del Ruffo, ed a quanti eran fuggitivi dalla città per aver preso parte a tal fatto, promise pieno perdono, purchè rientrassero in Reggio fra sei mesi dal dì che vi si era rialzata l’autorità ed il vessillo di lui. Prima di far ritorno in Napoli, Ladislao lasciò suo Vicario nel Ducato di Calabria il Braga da Viterbo. Provvedendo poi successivamente al migliore ordinamento interno delle provincie, non trascurò di por mente a’ bisogni dell’università di Reggio. Ordinava quindi a Giacomo Caracciolo Capitanio di questa città, che i gaggi stabiliti tanto per il Capitanio, Giudice, ed Assessore degli atti, quanto per il Notaio, e per la gente ordinaria equestre e pedestre dipendente dall’uffizio della Capitania, dovessero pagarsi sopra i proventi dello stesso uffizio; e che la città non fosse mai tenuta a contribuir cosa alcuna a tale oggetto. Permise oltracciò il re all’università nostra di poter imporre nuove gabelle e rivocarle poi come e quando meglio le tornasse, purchè però non fossero invertite ad altro uso che a quello di pagare il contingente della colletta generale del Regno. Erano state tanto dissipate e consunte dalle passate guerre le facoltà de’ Reggini, che ormai più loro non bastavano le ordinarie rendite ed industrie per soddisfare alle imposte regie; ma fu di bisogno che nuove gabelle si gravassero su’ travagliati cittadini.

Con lettera Patente in agosto del 1412 re Ladislao rese valida a’ Reggini e loro distretto qualunque contrattazione scritta che avessero fatta durante l’occupazione di Lodovico II d’Angiò.

VII. Prima di Ladislao la giurisdizione dell’uffizio della Capitania di Reggio e suo distretto si stendeva da Capo Bruzzano sino a Bagnara inclusivamente, come chiaro apparisce da un diploma di Giovanna I del 1372. Le terre, i luoghi, e le Motte dipendenti dalla detta giurisdizione e comprese nel distretto di Reggio, erano [p. 210 modifica]Bagnara, Scilla, Fiumara di Muro, Calanna, Motta Rossa (o Belloloco) Motta Anomeri (o Mesanova) San Nuceto, Montebello, Motta San Giovanni, Pentidattilo, San Lorenzo, Valletuccio, Amendolia, Bova, Palizzi, Brancaleone, Santagata, Motta San Quirillo, e Solano. Ne’ tempi però delle guerre tra Ladislao e Lodovico d’Angiò molte di tali appartenenze si vennero sottraendo alla giurisdizione del capitanio di Reggio, ed ottenuto avevano, quali da Ladislao, quali da Lodovico, di restar divise dal distretto, ed aver capitanii speciali. Così ebbe il suo capitanio Bagnara, così Santagata, così Motta San Quirillo, e varie altre terre. Ma Ladislao ordinò poi (1412) al capitanio Ventura da Faenza che la città di Reggio fosse rintegrata ne’ suoi primi diritti territoriali, e che la giurisdizione del suo capitanio si tornasse a stendere sopra i paesi da noi notati, com’era in antico. E rivocò tutti i capitanii speciali di esse terre, ch’aveva egli nominato negli anni precedenti. Eccettuò soltanto Bagnara, Santagata, e Motta San Quirillo, alle quali permise che conservassero i loro capitanii, e restassero emancipate dalla giurisdizione di quello di Reggio.

Ladislao, avendo già superali da per tutto e disfatti i nemici interni, aveva ridotto tutto il reame alla sua suggezione. Ma quando credevasi al colmo della sua potenza, quando le sue ostilità contro i romani Pontefici l’avevan fatto padrone di Roma, un morbo di malvagia natura, sconosciuto ancora in Italia, gli prendeva la persona, e dandogli appena tempo di recarsi da Roma a Napoli, (1414) conduceva alla morte tra dolori e spasimi violenti.