Zeusi

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Luciano di Samosata Antichità 1862 Luigi Settembrini Indice:Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini - Tomo 2.djvu racconti Letteratura Zeusi Intestazione 27 aprile 2023 75% Da definire

Questo testo fa parte della raccolta Opere di Luciano voltate in italiano da Luigi Settembrini


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XXII.

Z E U S I,

o

ANTIOCO.



Giorni fa poi ch’io vi diedi quel saggio d’eloquenza, e me ne tornavo a casa, mi si accostarono parecchi che mi avevano udito (oh! credo che posso liberamente parlar di questo con voi che già mi siete amici), mi si accostarono, e presomi per mano si congratulavano meco, e se ne mostravano maravigliati. Accompagnandomi per molto tempo, chi di qua chi di là, esclamavano e mi lodavano, sino a farmi arrossire di quelle lodi che erano troppe, ed io non le meritavo. La più gran cosa per loro, ed alla quale tutti applaudivano, era una, la maniera di scrivere tutta nuova e bizzarra. Anzi voglio ripetervi proprio le loro parole: Che novità! Per Ercole, che mirabile diceria! Che facile inventore! Chi potria dire cose più bizzarre! E molte altre simiglianti ne dicevano, secondo che ciascuno era stato colpito nell’ascoltare: che quale altra cagione avriano avuto di mentire, e di adular così un forestiere, che per loro non è un uomo di gran conto in tutt’altro? Ma io, a dirvi il vero, sentivo non poco dispetto a quelle lodi; e poi che in fine se n’andarono ed io rimasi solo, pensavo tra me: Dunque questo solo è di bello nelle cose mie, che non sono ciarpe vecchie, che non è roba usata? e di parole acconce e collocate secondo la regola degli antichi, e di acutezza di pensieri, e di certo fine accorgimento, e di grazie attiche, e di armonia, e di ogni altro artifizio non ce n’è nulla affatto? se no, costoro non avrebbero tralasciato questo, e lodata la maniera nuova e bizzarra. Io, sciocco me! credevo che quando si sbracciavano a lodarmi erano stati dilettati appunto [p. 54 modifica]da questo: credevo che è vero, sì, il detto d’Omero che Canzone nuova piace sempre, ma sino ad un certo punto: che non si deve attribuire molto nè tutto alla novità, la quale non è altro che un po’ di frangia che pure adorna; ma che le cose lodate ed applaudite dagli ascoltatori erano quelle che dicevo: onde m’ero tutto ringalluzzito, ed ebbi la tentazione di credere alle loro parole, che io sono l’unico e solo scrittore tra i Greci, e cotali altre ciance. Ma, come dice il proverbio, il mio tesoro è stato carboni: e per poco non mi hanno lodato come si loda un cerretano.

A questo proposito voglio contarvi ciò che avvenne al pittore Zeusi. Quel principe dei pittori non dipingeva subbietti comuni e volgari, o almeno pochissimi, ma eroi, dei, battaglie: sempre tentava di far cose nuove, e quando aveva formato qualche nuovo e peregrino concetto, l’incarnava con tutta la cura e la perfezione dell’arte. Fra le altre sue ardite invenzioni Zeusi dipinse una centaura che latta due centauretti gemelli. Una copia di questo quadro è in Atene, ed è ritratta con esattissima diligenza: l’originale si dice che da Silla generale romano fu mandato con altre opere d’arte in Italia; e che presso la Malea la barca affondò, si perdette ogni cosa, ed anche quel quadro. Io ho veduto l’immagine di quella immagine, e ve la voglio descrivere come posso: non già che m’intenda di pittura io, ma avendola di fresco veduta nello studio d’un pittore in Atene, l’ho ancora innanzi agli occhi: e la gran maraviglia che mi fece allora quell’opera d’arte, forse ora m’aiuta a descriverla meglio.

Sovra un bel prato verde sta la centaura con tutta la parte di cavalla giacente a terra, e i piè di dietro distesi: la parte di donna si solleva e si appoggia sul gomito: i piè d’avanti non sono anche distesi, come sarieno se ella giacesse sovra un fianco, ma l’uno è di scorcio, ed essendo piegato il ginocchio, mostra l’unghia di sotto; l’altro sta teso e penta su la terra, come fanno i cavalli quando si rialzano. Dei due piccini tiene uno fra le braccia, e lo latta a modo umano porgendogli la mammella di donna: tiene l’altro alla poppa di cavalla al modo dei puledri. Nella parte superiore del quadro, come da una vedetta, un centauro, che certamente è il marito di colei [p. 55 modifica]che latta quei due gemelli, s’affaccia sorridente: non comparisce tutto, ma sino alla metà del cavallo: e tenendo nella mano destra un lioncellolo leva in alto, come per ischerzo ad ispaurire i piccini. Le altre parti di questa pittura, che a noi ignoranti dell’arte non compariscono affatto, e che pure ne formano tutto il pregio, come a dire la correzione delle linee, la mescolanza de’ colori, quei tocchi maestri che danno il rilievo, l’ombrare conveniente, la proporzione, la simmetria delle parti, l’armonia del tutto, sieno lodate dai pittori, che debbono intendersi di queste cose. Per me, io lodai specialmente questo in Zeusi, che in un solo subbietto sfoggiò grande e svariata ricchezza d’arte: fece il marito assai terribile e fiero, con la chioma rabbuffata, tutto peloso non pure la parte del cavallo ma quella d’uomo ancora, le spallacce larghe, e un volto, benchè ridente, tutto feroce salvatico e crudele. Così il maschio. La femmina poi ha una metà del corpo di una bellissima puledra di Tessaglia, di quelle non ancora domate ed intatte; e l’altra metà di bellissima donna, tranne le orecchie, che sono come quelle dei satiri: ma l’unione e il mescolamento dei due corpi, dove la donna si congiunge e si confonde con la cavalla, è così dolce ed insensibile, e così l’una si tramuta nell’altra, che l’occhio non si accorge del trapasso. E quei centauretti, che quantunque piccini pure sono salvatici, quantunque tenerelli pure hanno già del terribile, mi parvero mirabili: che mentre bambinescamente riguardano al lioncino, ciascuno si tiene abbrancato alla mammella sua, e si stringe alla madre.

Messo adunque in mostra questo quadro, Zeusi si pensava di fare gran colpo negli spettatori con un tale miracolo d’arte. E veramente subito levarono un grido. E come no, so era uno spettacolo bellissimo? Ma tutti lodavano, come testè facevano anche a me, l’invenzione peregrina, e la maniera tutta nuova e sconosciuta agli antichi. Onde Zeusi vedendo che badavano solamente alla novità, e non all’arte, ed alla squisitezza del lavoro: Via, o Miccione, disse al discepolo, ricopri il quadro: pigliatelo e portatelo a casa; perchè costoro lodano soltanto la creta dell’arte nostra: delle vere bellezze dell’arte non tengono conto, e stimano più novità che bontà. — Così Zeusi: e forse gli montò troppo la stizza. [p. 56 modifica]

Ad Antioco, cognominato il Salvatore, dicesi che avvenne un fatto simile nella battaglia contro i Galati. Se volete, vi narrerò anche questo come fu. Sapendo Antioco che i Galati erano valorosi, e vedendoli in grandissimo numero, e la falange ben compatta, con in fronte gli scudati e loricati di rame, e profonda ventiquattro uomini, alle due ali ventimila cavalli, e nel mezzo postati per iscagliarsi ottanta carri falcati, e due tante bighe; vedendo tutto questo apparato disperava del fatto suo, e li teneva per invincibili. Giacchè egli, raccolto in fretta un esercito, senza i preparamenti necessari a sì gran guerra, conduceva pochissime genti, la più parte armati di targhe, e fanti leggieri; anzi più che mezzo l’esercito era di questi, fanti mezzo nudi; ond’ei già pensava di venire a patti, e trovare un modo di uscir della guerra onoratamente. Ma essendo con lui Teodoto di Rodi, uomo prode e pratico di guerre, gli diede animo e consiglio. Antioco aveva sedici elefanti: Teodoto comandò di tenerli nascosti quanto era possibile, sì che il nemico non li vedesse soprastare all’esercito; che quando si darebbe negl’istrumenti e si verrebbe alle mani, e la cavalleria nemica si lancerebbe all’assalto, e la falange dei Galati s’aprirebbe per lasciar passare i carri falcati, allora quattro elefanti e quattro anderebbero contro la cavalleria alle due ali, ed otto contro i carri e le bighe. Se questo sarà eseguito a punto, ei diceva, i cavalli si spauriranno, e fuggendo si rovesceranno su i Galati. E così avvenne. Che non avendo mai veduto elefanti nè i Galati nè i loro cavalli, tanto atterrirono a quella nuova vista, che ancora da lungi udendoli barrire, e vedendo quei neri bestioni coi denti digrignati, venir con le proboscidi levate per percuotere, prima di scagliare! dardi, ripiegandosi disordinatamente fuggirono. I fanti si ferivano tra loro medesimi, ed erano calpestati dai cavalli chea furia gl’investivano: i carri rivolti anch’essi e traportati in dietro menavano non poca strage, e come dice Omero, facevano gran fragore e rovina: che i cavalli sviati e spauriti dagli elefanti, gittati giù i cocchieri, andavano qua e là sbattendo i vuoti cocchi, i quali tagliavano e stracciavano con le falci quanti de’ loro incontravano; e in quello scompiglio ci capitarono molti. Inseguivanli gli elefanti calpestando, afferrando gli uomini [p. 57 modifica]con le proboscidi e lanciandoli in alto, lacerandoli coi denti: insomma essi con quel che fecero diedero la vittoria ad Antioco. La strage fu grande: e dei Galati molti morirono, alcuni furono presi, pochi scamparono con la fuga nelle montagne. I Macedoni di Antioco cantarono vittoria, ed affollandosi intorno al re gli offerivano corone, e lo gridavano gran capitano. Ma egli con le lagrime agli occhi disse loro; Vergognamoci, o commilitoni, che dobbiamo la nostra salvezza a queste sedici belve. Se i nemici non si fossero atterriti del nuovo spettacolo, che eravam noi per loro? E volle che sul trofeo si scolpisse non altro che un solo elefante.

Ora io considero che il caso mio è simile a quello d’Antioco: per vincere la battaglia non ci vuole altro che pochi elefanti, spauracchi strani, gettar polvere negli occhi: le cose in cui io fidavo non sono tenute in nessun conto. È una centaura dipinta: questo solo fa colpo, questo pare, come è, una novità, una maraviglia. E tutt’altro adunque è fatica persa per Zeusi? Persa no: che voi siete pittori, avete l’occhio dell’arte, e niente vi sfugge. Oh, fossero le cose mie pur degne d’essere recitate in teatro.