Vai al contenuto

Pagina:Il libro dei versi (1902).djvu/137

Da Wikisource.
Versione del 24 giu 2020 alle 14:11 di Candalua (discussione | contributi)
(diff) ← Versione meno recente | Versione attuale (diff) | Versione più recente → (diff)
126 LEGGENDA PRIMA

(Ma la Giudea non beve. - Plaudon le turbe pazze,

Re Orso empie e tracanna - tre tazze e poi tre tazze.
Stridono le mascelle. — la cervogia Sicambra
Torbidamente spuma — nelle lagène d’ambra.
È un traboccar di calici, — un rotëar di lame.
Ciarlano i Conti e rodono; — sì rozza è in lor la fame
Ch’essi alternano il morso — del dente a quel dell’ugna.
Trema il desco repente — sotto le salde pugna
E all’urlo trïonfale — delle celie impudiche
Le immonde labbra stillano — il miel sulle loriche.
Squillano ancor le trombe - per più eletto ristoro;
Son murene che in bocca - chiudon anelli d’oro.
Ma il Re fa cenno al boja, - gli favella un istante
A bassa voce; ognuno - è livido e tremante.
E’ scomparso Papiolo.)

Il Re: Dunque messeri,
Cessar le risa? or tutti - vi siete fatti seri?
Ridi tu, bella sposa.

(Ed alla sposa bella
Dona un monil d’epistide. — Tranquillamente quella
Sorride e da un corimbo — una mela solleva
E la porge a Re Orso, — muta e col gesto d’Eva.)

Il Re: T’arrida il cielo!