Regole contro l'imbriacature
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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1835
REGOLE CONTRO L’IMBRIACATURE.
L’imbriacasse1 è ppeggio assai, fratello,2
Che avé addosso er peccato origginale.
Co’ li fumi der vino p’er cervello,
L’omo nun è ppiù omo, è un animale.
Chi ss’accorge ch’er beve3 je fa mmale,
O ha da dismette,4 o ccià d’annà bberbello,5
E nno spiggne6 bbucale co’ bbucale7
E addossà ccaratello a ccaratello.
Ma cc...., eh ffate com’er Padre Santo,
Che in st’affari che cqui, ssenza contrasto,
Pò ddà rregola ar monno tutto quanto.
Sì, vvia, sta cosa è vvera, statte8 quieto:
Lui nun vò cche bbottijje a ttutto pasto,
Ma ll’innacqua però ccór vin d’Orvieto.9
3 giugno 1835.
Note
- ↑ L’imbriacarsi.
- ↑ [Qui vale: “amico, caro mio,„ e simili.]
- ↑ Il bere.
- ↑ Dismettere.
- ↑ Ci ha d’andar bel bello.
- ↑ Spingere.
- ↑ [Il boccale conteneva poco più di due litri.]
- ↑ Statti.
- ↑ [Il vin d’Orvieto, chiaro come l’acqua, godeva allora tanto credito, che per venderlo c’era perfino delle fiaschetterie apposta. Del resto, si diceva anche che Papa Gregorio annacquasse il bordò con lo sciampagna. Cfr. Pianciani, Op. cit., vol. II, pag. 347.]