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Er prete (1833)

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Giuseppe Gioachino Belli

1833 Indice:Sonetti romaneschi VI.djvu sonetti letteratura Er prete (1833) Intestazione 11 dicembre 2022 75% Da definire

Nun mormorà La serva e l'abbate
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti dal 1828 al 1847

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ER PRETE.

     Jeri venne da mé ddon Benedetto,
Pe’ ffamme1 arinnaccià cquattro pianete;
E vedenno un rïarzo drent’ar letto,
Me disse: “Spósa,2 cqua cche cce tienete?„

     Io j’arispose che cciavévo er prete3
Pe’ nnun stamme4 a addoprà llo scallaletto;
E llui sce partì5 allora: “Eh, ssi6 vvolete,
So’ pprete io puro:„ e cqua fesce l’occhietto.

     Capite, er zor pretino d’ottant’anni
Che stommicuccio aveva e cche ccusscenza
Cór zu’ bbraghiere e cco’ li su’ malanni?

     Ma ssai che jje diss’io? “Sora schifenza,
Che ccercate? La fr..... che vve scanni?
Io non faccio peccato e ppinitenza.„

Roma, 15 gennaio 1833.

Note

  1. Farmi [rinnacciare: rammendare. Da accia.]
  2. Pronunciata con la o chiusa.
  3. Utensile di legno, mercè il quale si sospende un caldanino fra le coltri del letto. [E prete si chiama anche a Firenze.]
  4. Starmi.
  5. Partirci, vale quasi: “prendersi una libertà di dire o di fare;„ e simile verbo si pronuncia con un tal suono di ironia.
  6. Se.