Affronti e Confronti/IX

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IX



Terminata la conversazione salutai Edoardo che, chissà perché, si faceva chiamare ancora Jack. Non feci in tempo a salir la scala che Leandro scese dicendomi:

«E gli altri, dove sono? Dobbiamo far presto, altrimenti arriveremo tardi all’udienza generale del mercoledì». Chiamai Clementina e le chiesi di rintracciare i Dondi. Poi lei mi disse:

«Perché ridi?».

Le raccontai di aver letto I miserabili e ciò che mi faceva ridere era una divertente scena svoltasi nel convento del Petit-Picpus di Parigi che vedeva protagonisti una bambina di sei anni, una di nove ed una madre reverenda. La più piccola piangeva disperatamente e la suora chiese cosa fosse successo ad entrambe le bambine. Quella di sei dichiarava, tra un singhiozzo e l’altro, di conoscere a fondo la storia della Francia e invitò la compagna più grande ad aprire il libro di storia ed interrogarla. Quella di nove insinuava che la sua compagna non conosceva assolutamente la storia e la dimostrazione di quanto asseriva era data dal fatto che la grande aveva aperto il libro su una pagina a caso e, trovata, sempre a caso, una domanda, le chiese: “E cosa accadde, dopo?”.

Intanto erano arrivati i Dondi che avevano sentito tutto e, naturalmente, si misero a ridere. Ma io, che ben conoscevo il motivo, avevo mentito, rimandando ogni spiegazione a più tardi.

Leandro aveva ragione, ancora un po’ ed avremmo fatto tardi. Mentre eravamo in macchina, pensai alla storia di quel vecchio ed intanto pensai anche al modo di organizzare la sorpresa per Nina.

Arrivammo in Piazza San Pietro che l’udienza non era ancora cominciata. Una guardia vide che Tony ed io eravamo non vedenti e ci fece sedere, gli altri, purtroppo, dovettero rimanere in piedi.

Il nostro amato papa aveva preparato alcune preghiere ed una lunga omelia. Lesse la prima preghiera, ma la sua voce era molto affaticata, così un vescovo aveva accettato di proseguire l’udienza. Naturalmente, avvicinarsi al papa solo per stringergli la mano fu impossibile ed io non lo chiesi neppure; c’era molta folla ma, soprattutto, un imponente servizio di sicurezza. E poi, il papa non doveva affaticarsi e parlare il meno possibile. Tutto ciò che fece poi, fu quello di allargare le braccia in un gigantesco abbraccio, benedicendo la folla. Alle sedici e dieci era tutto finito. Leandro, da buon cicerone qual era, ci propose un altro giro per la città; ogni tanto, per certi tragitti, dovevamo spostarci in macchina, mentre altre volte bisognava fare un po’ di fila ai parcheggi ed ai luoghi da visitare, ma tutto andò meravigliosamente bene. Poi, alle diciotto e un quarto, ci informò che dovevamo rientrare in albergo. Fortunatamente non eravamo così lontani. Durante la nostra assenza era accaduto un fatto nuovo e fu Jack a dirmelo. Edda era arrivata da Treviso, si sarebbe fermata otto giorni. Agata (la figlia di Edda) avrebbe raggiunto sua madre in albergo. Agata, infatti, studiava a Roma e, per mantenersi agli studi, era riuscita ad aprire una profumeria e ad assumere alcuni commessi. Intanto, si fece avanti Nina per le presentazioni; poi, verso le diciannove meno dieci arrivò anche Agata, che non ebbe bisogno di presentarsi a Jack, lo guardò solo smarrita, dicendogli che si erano già incontrati in profumeria, quindi si scusò e andò da sua madre.

«La ragazza ha una fretta del diavolo», dissi.

Jack, il quale aveva udito questa frase, mi venne incontro; quindi mi tirò in disparte e mi chiese se avessi riflettuto su quanto mi aveva raccontato e, di conseguenza, se avessi preso qualche soluzione. Gli dissi di sì, e che la cosa andava fatta per venerdì mattina. Lui mi parlò all’orecchio, ma io avevo detto quella frase ad alta voce. Agata sentendo quella frase chiese:

«Venerdì mattina, che cosa?».

Mi inventai che Jack aveva intenzione di stipulare un’assicurazione sulla vita e che venerdì mattina gli avrei mandato in albergo un assicuratore amico di Leandro. Nel giro di poche ore avevo saputo mentire due volte di seguito, ma nessuno ci badò.

Poi, a tavola, ci si trovò con Jack, ma non con Nina, la quale aveva chiesto, per quella sera, un tavolo a parte per Edda e nipote. Per la sera seguente sarebbe nuovamente venuta assieme a Edda a cenare con noi. La figlia di Edda, infatti, vedendo che la madre era venuta a trovare la nonna, aveva preferito far così.

Il primo a rompere il silenzio fu Tony:

«L’udienza del papa è stata bellissima. Se dovesse morire, dovrebbero subito farlo santo, senza troppo pensarci. In questo momento, però, spero che il Signore gli dia salute e forza, perché di un papa come lui c’è davvero bisogno».

«D’accordo», gli rispose Leandro, «io, come ho già detto, sono ateo; ho sempre criticato preti e vescovi. Eppure, per questo papa provo molto rispetto. Ha fatto davvero tanto, forse si è anche stancato troppo. Forse è meglio che si dimetta, proprio perché ormai è un uomo molto provato». La moglie di Tony intervenne:

«Sì, certo, ma nessuno deve approfittare della sua debolezza per farlo dimettere. In altre parole, deve essere lui a prendere una decisione così importante, la qual cosa non sarà facile».

«Beh, mamma, se si dovesse dimettere saranno costretti ad eleggere un nuovo pontefice, ma è pur vero che, in questo caso, ci sarà un pontefice uscente. In breve, avremo due papi».

«Io non credo proprio», dissi. «Io sono dalle parte del papa. In altre parole, se si dovesse dimettere, significherebbe che proprio non ce la fa più. Non dimentichiamo, poi, che il nostro amato pontefice ha fatto tantissimo, ha riunito credenti e non credenti; soprattutto ha lavorato in modo instancabile. Quindi, se si dimettesse, prenderebbe una decisione giusta, perché più di ciò che ha fatto non può più fare. Ha già superato i limiti e, quindi, si ritirerebbe senza rimpianti ed il mondo intero lo ricorderebbe come un grande pontefice.

Qualora invece non si dimettesse, prenderebbe comunque una decisione giusta. Dimostrerebbe al mondo intero che ce la può ancora fare, ma, soprattutto, di non indietreggiare di fronte alla croce».

A questo punto intervenne Jack il quale disse:

«Io, Enea, condivido pienamente la sua opinione, come pure quella – scusate questo termine – di quel signore non vedente che è seduto di fronte a me. A proposito, io so che lei si chiama Enea, ma non conosco il nome degli altri». Jack (o Edoardo, che dir si voglia) aveva ragione, perché non ci eravamo ancora presentati tutti quanti. Il tempo era tiranno e qualche omissione involontaria la si poteva anche commettere. Quindi, dopo le presentazioni, Edoardo (d’ora in poi lo chiamerò con il suo vero nome), riprese ciò che stava dicendo:

«Dunque, stavo dicendo che condivido queste opinioni. Io non so se lei, Tony, si ricorda dei papi che lo hanno preceduto».

«Perdio, se me li ricordo! Ormai sono quasi vicino alla sessantina. Ricordo a malapena papa Pacelli, perché ero troppo piccolo quando morì nel 1958. Poi venne papa Roncalli e, lasciatemelo dire, fu un grande papa. Non so se tu, Enea, ricordi. Forse no, perché, mi pare, tu sei nato nel 1964, e lui morì l’anno prima; comunque dicevo che qualche anno prima della tua nascita, papa Giovanni fece il famoso discorso della luna, durante il quale si rivolse ad una folla gremita nella piazza con queste parole: “...cari figlioli, tornando a casa, troverete i vostri bambini: date una carezza ai vostri bambini e dite loro: Questa è la carezza del papa!”. Ve lo ricordate?». «Lo ricordo benissimo», gli risposi, «perché ho già avuto modo di ascoltarlo attraverso qualche filmato televisivo».

La voce di Edoardo tremava dalla commozione. Disse:

Anch’io vorrei che il papa mi asciugasse queste lacrime. La vita è stata molto crudele. Ma non parliamo di cose tristi, perché ho avuto anche grandi momenti di gioia».

Io mi sentii in dovere di replicargli:

«E chissà quanti ne avrà ancora. Magari, perché no, anche tra qualche giorno».

«Le sue parole mi consolano».

«Mi auguro che sia così. Organizzeremo le cose per il meglio dopodomani. Leandro conosce un assicuratore fidato...». «Enea», esclamò Tony stupefatto. «Questa me la devi. Sembri contento che quest’uomo stipuli un contratto di assicurazione sulla vita. Ma perché dici che per lui sarà un momento di gioia, fra qualche giorno? A volte, credimi, non ti capisco, soprattutto, le assicurazioni fregano un sacco di soldi. A meno che per te non sia un atto di convenienza, sei forse pagato da qualcuno?».

«Tony, io non intasco nulla, nemmeno un centesimo di euro, credimi! Comunque, venerdì alle dieci arriverà l’assicuratore».

«Lo stai dicendo in modo così deciso, come se si trattasse di una cosa importante. Ma noi, senza la macchina di Leandro o, eventualmente, il pulmino del direttore – ammesso che Jack e Nina vogliano aggregarsi a noi con il resto della comitiva – dove andremo?».

«Da nessuna parte. Rimarremo tutti qui con l’assicuratore, con il quale potremmo parlare. Non si sa mai! Può darsi che qualcun’altro abbia bisogno di stipulare una polizza».

«Ma insomma di quale assicuratore stai parlando?».

Edoardo, che durante quella strana conversazione non era mai intervenuto, mi aveva fatto quella domanda, senza che ne sapesse nulla.

Io gli feci soltanto: «Sssssssssssst».

Leandro parve capire e di assicurazioni non si parlò più. Intanto, tra una parola e l’altra, consumammo la nostra cena, allietata da brani di musica che ben conoscevo.

Dopo cena, filai in camera per sistemarmi e Leandro venne con me per darmi una mano a assestare giacca e cravatta. Il profumo me lo misi io. Mancavano dieci minuti prima che arrivasse Aldo. Nina mi fermò, scusandosi per non essere stata al nostro tavolo; l’indomani sarebbe venuta con Edda.

Poi raggiunsi Clementina e le dissi che avevo immediatamente bisogno di lei. Quindi le chiesi a che ora facessero la festa di benvenuto. Rispose:


«Venerdì, a mezzogiorno. Sai, domani mattina arrivano il figlio e la nuora del signor... del signor... aspetta, come si chiama?».

«Chi?».

«Quel signore anziano che è a tavola con voi».

«Giacomo, detto Jack».

«Sì, ma perché mi interroghi sulla festa di venerdì?».

«Clementina», ripresi, «ora ascoltami. Ho intenzione di organizzare una rappresentazione per venerdì, alle dieci. La festa, perciò, deve essere anticipata all’incirca verso quell’ora. C’è bisogno di mazzi di fiori e di addobbi. La festa verrà fatta nella sala fumatori, non in quella dell’altra volta. Poi, per domani, ho bisogno che tu mi mandi due persone esperte in fuochi d’artificio».

«A che ora?».

«Alle due del pomeriggio di domani. Devo dar loro alcune istruzioni per venerdì. Ma dov’è Tony?».

«Nella sala fumatori. Vieni che ti ci porto. Devi dirgli qualcosa?».

Poi, trovato Tony, gli dissi rapidamente:

«Tony, venerdì ci sarà una rappresentazione con festa. Leandro non ha nessun amico assicuratore, ho inventato tutto. A un certo punto, accenderò la pipa. Tanto siamo in sala fumatori! Quando canterò le parole “Adesso tocca te” – ricordatelo bene – tu accenderai una sigaretta. Per il resto, non devi saper più nulla».

Poi venne Leandro a cui dissi che per venerdì avevo bisogno che portasse la telecamera. Nessuno sapeva circa le istruzioni che avevo dato.