Alcippo (1834)/Atto quinto

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Atto quarto Alcippo (1834)
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ATTO QUINTO


SCENA PRIMA

Tirsi e Montano.

Tir. L’avvenimento inteso,
     Montano, ha dimostrato, i tuoi consigli,
     Siccome più pietosi,
     Esser miglior de’ miei,
     Però come più saggio
     Volgi la mente a trarmi
     Di questi casi rei;

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     Io già condotto a l’ultima vecchiezza
     Con fama d’uomo giusto
     Apparirò diverso a me medesimo
     Per propria tenerezza?
     Romperò quella legge,
     Ch’io dicea per altrui rompersi a torto,
     Per proprio mio conforto?
     Materia d’altrui detti
     Farò mostrarmi a dito
     Qui, dove da ciascuno
     Stato son reverito?
     Lasso me, cui non lice
     Uscir da le miserie
     Senza essere infelice!
Mon. Ne i propri nostri affari,
     Tirsi, le passioni
     Ci turbano soverchio il cor nel seno;
     E di qui spesso nasce, che ’l più saggio
     Mostra di saper meno, ed al presente
     Per sì fatta ragione
     Teco non tacerò: nessuna via
     Parmi più corta per uscir di questi
     Nojosi pensamenti,
     Che ripregar ben Clori,
     Acciò voglia sposarsi
     Col ritrovato Alcippo;
     Sposa che fia di lui, farà suoi preghi
     Appresso l’altre ninfe,
     Acciò per lor pietate al suo conforto
     Salute non si neghi, in cotal modo
     Di lei favellerassi,
     Che sforzasse la legge,
     E di te tacerassi.
     Ed eccola apparir con Aritea,
     Fa tue preghiere, ed io
     Non sarò teco indarno,
     Quanto fia il poter mio.

SCENA II

Aritea, Clori, Tirsi e Montano.

Arit. Secondo il tuo volere,
     Tirsi, trovai le ninfe,
     E lor feci palese ogni ventura,
     Ch’oggi ti venne incontra,
     Hanno di te pietade,
     E se Clori perdona, elle son pronte
     A conceder perdono al tuo figliuolo,
     Ho brevemente espresso,
     Quanto per me si dee,
     E da lor fu commesso.
Tir. Clori, quel vero amore,
     Che tra me durò sempre, e tra Dameta
     Tuo padre infin ch’ei visse,
     Oggi, si come è degno,
     Vaglia tanto con te, che tu m’ascolti
     Senza disdegno, e certo
     L’error di mio figliuolo
     Era contra la legge, ed era colpa,
     Se pure è colpa amare,
     Contra tutte le ninfe, e se le ninfe
     Per lor bontade, ed anco per pietade
     Di questi anni dolenti, han perdonato,
     E tu dei perdonare,
     Benchè, se si riguarda, il mio figliuolo
     Altro non ebbe in cor, salvo condurre
     A fin un suo desire, ogni altra cura,
     Che potesse turbar gli animi vostri,
     Ei non pensò, nè devi, o Clori,
     Adirarti con lui, perch’ei t’amasse,
     Amor non è dispregio, anzi ei ti pregia,
     Con tanta forza, che ostinatamente
     Senza te fa rifiuto della vita,
     La paterna pietà non lo commove,
     Disprezza i miei sospiri, ed è fermato
     Senza le grazie tue correre a morte,
     Come a fin de’ martirj;
     Onde io movo a pregarti, e le mie voci
     Escono più dal cor, che dalla bocca;
     Clori, sposati seco, o sempre mai
     A me cara e diletta,
     E guardata da me come figliuola,
     Come padre m’accetta, in tua balía
     E che sia fortunata, o sfortunata
     Tutta la vita mia;
     In questi monti, o Clori,
     Esser posso beato,
     Non voler ch’io ci viva
     Esempio di dolori;
     Omai lascia piegarti,
     A te le mani io tendo, ecco io ti prego,
     Ne son solo a pregarti, te ne prega
     Questa chioma canuta, e questo petto
     Tribolato d’affanni, e questo pianto,
     Che disgorga dagli occhi, e questa faccia
     Già smorta divenuta: ah non guastare
     La mia felicità, non far contrasto
     A mie venture, e fa ch’oggi ti provi
     Siccome un chiaro Sole
     A mie giornate oscure.
Clo. O Tirsi, qui venendo
     Mi diceva Aritea,
     Come tu poco dianzi
     Contrastavi a Montano,
     E che la sua clemenza
     A te pareva rea, ed io non veggio
     Il fin de’ tuoi consigli,
     Quando le leggi nostre
     Debbano forza aver contra ciascuno
     Ma non contra’ tuoi figli,
     Se col dolor paterno
     Vuoi scusare le colpe, alcune al mondo
     Non fia mai condannato,
     Perchè ciascun vivente
     Pur d’alcun padre è nato.
Mon. Ciò che disse Aritea, Clori, fu vero,
     Tirsi guardando a’ vostri rischi, e solo
     Pensando a divietare
     L’altrui forte ardimento, e desiando
     Farvi affatto secure, era rivolto
     A tal rigor, che drittamente dirsi
     Poteva crudeltà, la cui durezza,
     Come creder dobbiam, non approvata
     Là suso in ciel, noi la veggiam punita
     In lui con grave affanno, e con la forza
     D’infinita tristezza, e certamente
     Non pur per questo, ma per molti esempi,
     De’ quali il mondo parla,
     Scorgesi, la pietate esser diletta,
     E molto cara a Dio, per conseguenza
     Deon qua giuso gli uomini apprezzarla,

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     Però placati, o Clori, il nostro Alcippo
     Se pure egli ha peccato,
     Commise error, che sempre, e ’n ogni loco
     Quasi a la gioventù fu perdonato,
     E se la colpa suol per pentimento
     Scusa impetrar, non la negare a lui,
     Il quale oggi si pente, e così duolsi
     Con angoscia infinita
     D’averti unqua spiaciuto, ch’egli abborre
     La sua medesma, vita,
     E s’ostinata chiedi,
     Ch’ei s’affoghi ne l’onde d’Erimanto,
     Ei non s’oppone a’ tuoi desiri, il padre
     È che ti prega, e che ti piagne a’ piedi,
     Miralo, o Clori; quei sembianti afflitti,
     Quegli occhi lagrimosi, e quei singhiozzi
     Non saran degni ritrovar mercede
     A tanti suoi dolori?
     Vorrai, ch’un sol momento
     Gli sia donato il figlio,
     E sol per suo tormento?
     A tanto di miseria
     Alcippo sia venuto,
     Che sol per darsi a morte
     Sia da’ suoi conosciuto? arà provata
     Ogni strana provincia a sè pietosa,
     E la patria spietata? se Dameta,
     Che ti produsse al mondo, oggi vivesse
     Per sua bontà da noi ben conosciuto,
     Non pure a perdonare,
     Anzi ti stringerebbe
     A volerti sposare.
     Ora egli è morto, e quando
     Ei si morì, commise a nostra fede
     La tua persona, onde esser dei secura,
     Che noi ti consigliam come duo padri:
     E riguarda, ch’a noi tutte le ninfe
     Han ceduto il governo di sè stesse.
     Non dei dunque tu sola aver temenza
     D’incontrare alcun biasmo
     Con la nostra sentenza.
Clo. Poi che ciascun in fra le nostre selve
     Vi riverisce, come padri, e lascia
     Regger al vostro senno i nostri affari,
     Io non vo contrappormi
     A le vostre sentenze,
     Onde questa provincia oggi si regge,
     Salvisi Alcippo; e si riguardi a Tirsi,
     Più ch’a la legge, io non ne fo contrasto,
     E vi voglio contenti;
     Ma non sia chi di lui mova parola,
     Nè più me lo rammenti.
Tir. Ah Clori, ah Clori,
     Deh non esser ritrosa,
     Mira, che ’n verità mi togli a morte,
     Ma non sai già ch’io viva,
     Apprendi intieramente esser pietosa,
     Tu benigna Aritea,
     Non mi venire a men del tuo soccorso,
     Darà forse a’ tuoi preghi
     Nostra felicità, che mai sventura
     Vuol, ch’al mio pianto neghi.
Arit. Clori, come compagna
     Favellerò con te con molta fede,
     Pensa sul fior degli anni,
     E su la vaga tua bellezza, e pensa
     Ch’avendoti la morte dispogliata
     E di padre e di madre
     È mestieri appoggiar tua giovinezza,
     E darle scorta, onde giojosamente
     Tu possa camminar per questa vita,
     Nè men securamente,
     E ciò per ogni parte
     Altro non è, che divenire sposa,
     E poscia madre, e se sposarsi è senno,
     Come tutti siam certi,
     Sposarti con Alcippo
     Certo non dee spiacerti,
     Primieramente tu guadagni un padre
     Sì fatto, quale è Tirsi, e molta schiera
     D’onorati parenti,
     Ti verranno alle man tante ricchezze
     E di gregge, e d’armenti che maggiori
     Per questi monti alcun non le possiede.
     Qual delle nostre ninfe
     Saprebbe disiare a sè conforto
     In queste nostre parti
     Miglior d’Alcippo? ed egli
     Non sa per altra ninfa
     Vivere in questo mondo, e solamente
     Viver vuol per amarti.
     Clori non ti negare alla ventura,
     Ch’oggi ti viene incontra;
     Tu non odi parole di nemici,
     Sei da costor sinceramente amata;
     lo teco son cresciuta, ogni tuo male
     Sarà mal di me stessa, e ti consiglio
     Perchè ti vuo’ beata.
Clo. Ah che tu mi fai forza, nel mio core
     Sento un forte contrasto;
     Non posso consentire,
     E disdir non vorrei:
     Io rimango confusa, e non so dire
     Gl’interni affetti miei.
Arit. Orsù dammi la man, non più pensare;
     Entriamo dentro, e ritroviamo Alcippo;
     Incomincia ad amare.
Mon. Su, Clori, omai disponti,
     Rallegra i nostri monti, in queste selve
     Non sarà mai ritorno,
     Che per te non si canti
     Un sì felice giorno.
Clo. Che più dirvi deggio io?
     Sia nelle vostre mani,
     E voi reggete il freno
     Di ciascun mio desío.