Anima sola/XXI

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Si tornava ieri dall’aver fatta una escursione fuori delle mura, alcuni artisti ed altri. Presso alle porte della città quattro o cinque buoi cacciati innanzi da un bifolco si avviavano al macello. C’era con noi un romanziere, sapete, quel piccolino grasso che parla tanto di arte e si ubbriaca così spesso, che annuncia ogni po’ di voler dare la scalata al cielo, ma che è sempre trattenuto dal peso del suo ventre; ebbene, egli parve riflettere profondamente e poi disse: — Povere bestie, camminano colle proprie gambe alla morte! [p. 209 modifica]

Ma forse che noi non camminiamo tutti i giorni, tutte le ore alla morte?

Io venivo un mattino d’aprile a raggiungervi in un paesaggio delizioso; odoravano per l’aria le primule in fiore, la gioia mi aspettava, ero felice, eppure dentro di me pensavo: Vado alla morte; su questi sassi che il piede sfiora leggero, portato dall’illusione, altri piedi non ancora nati ed altre illusioni passeranno calpestando le orme di coloro che sono passati prima di noi. Io le cerco sempre, queste orme, le interrogo con una curiosità sacra. Nulla di essi sopravisse dunque? Ma sì, vivono ancora le loro gioie e i loro dolori, vivono le loro ebbrezze, vivono le loro lagrime. Noi siamo loro, un po’ più malinconici. La tristezza che opprime i nostri cuori così giovani, così vivi, non è che l’ombra del loro rimpianti; noi sentiamo [p. 210 modifica]gravare la cenere di tanti morti ed è per questo che ci facciamo silenziosi talvolta in mezzo alla gioia.

Voi eravate ad aspettarmi; nessuna realtà era più vera del vostro sorriso. Avevate scritto dei versi allora e me li leggeste domandando il mio giudizio. Invece di rispondervi subito, mi indugiai a scrutare la vostra allegrezza, sentendo che non avrei potuto mettermi a paro, che anche quell’ora era già trascorsa di cinque minuti, che il minuto volava e che vi avrei perduto. Gravava su me la tristezza dei giorni felici, di quei giorni che si sa non torneranno.

Più siamo forti e ardenti, più è la potenza d’amore che teniamo dentro di noi e più ci attacchiamo alla vita. Non è vero?

Noi della vita amiamo tutto, la nostra parte e quella degli altri, e il futuro e il passato. [p. 211 modifica]

Qualsiasi nostra sensazione, piacere o dolore, si riallaccia al palpito unico dell’universo; noi non facciamo come l’asse della ruota che credesse per avventura di girare solo; noi sappiamo che intorno a noi, sopra e sotto di noi gira tutto un’ingranaggio di meraviglioso lavoro e noi partecipiamo tanto della polvere e del fango che si avvoltola sotto come della messe lussureggiante e dei floreali trionfi che salgono alla cima.

Per questo noi amiamo i morti. Nessuno di essi è perito o cancellato dalla nostra memoria. I grandi eroismi, i grandi ingegni si perpetuano, risorgono sotto un’altro nome. Chi credete che fosse Dante? Dante era Omero. E quando vedete sorridere il raggio della bellezza nel volto di una donna, pensate: Ecco Elena! Non in polvere [p. 212 modifica]caddero le divine braccia, nè il seno, nè le chiome, nè i soavissimi occhi. Elena vive, Elena vivrà.

Amiamo il passato, amiamo il futuro se non vogliamo morire. Siamo noi il mondo!

E fu quel giorno che si venne a parlare di gelosia. Vi affermai che non sono gelosa, un po’ come Santa Teresa diceva: “muoio perchè non muoio„ la gelosia è di sua natura sensuale, per questo si dice geloso come una tigre, come una iena; ma quando l’amore si eleva ad una grande altezza di sentimento, la gelosia non ha più ragione d’essere. Si ama Dio senza esserne gelosi.

Se io dovessi esser gelosa lo sarei prima del seno che ha portato e che ha nutrito il mio diletto e poi dei primi oggetti che colpirono la sua [p. 213 modifica]immaginazione; i suoi balocchi, i suoi abitini di bimbo, i compagni che primi amò; e poi della casa che abita, dei sentieri che egli percorre, dei poeti favoriti, dei morti rimpianti ed infine delle persone che egli non conosce ancora, ma che conoscerà, che entreranno a far parte della sua vita a prendere un posto nel suo cuore, che lo divertiranno o lo interesseranno e lo faranno piangere o sorridere, o benedire o imprecare. Di una donna? Sì, forse, un momento. Ma qual donna potrebbe possederlo tutto e per sempre? Non v’è che la Morte... Oh quella mi renderebbe gelosa!

Eppure l’amore ha vinto qualche volta la morte; l’ha sempre vinta quando un genio altissimo lo portò sopra le sue ali. La morte ha domato i bei corpi di Atala e di Giulietta, l’amore ne ha reso immortali le anime. [p. 214 modifica]

Pensate al trionfo di Saffo. Le sue oscure rivali dormono da secoli nell’oblio, essa sola possiede Faone!

A questo modo comprendo la gelosia. Contendere l’amato non ad una misera donna, ma alla natura, all’eternità. Conoscete voi qualche cosa di più sublime? Ecco: hanno disceso l’amato nella oscura fossa, lo hanno coperto di fiori, gli hanno recitato le preghiere dei defunti, lo hanno salutato per sempre, hanno detto: è morto. La madre piange, i parenti preparano il lutto, gli amici pensano: non lo rivedremo più; tutti si rassegnano. Ma lei — la sublime innamorata — discende nel sepolcro, prende il cadavere, lo stringe al suo seno, gli infonde un’anima nuova e per la fragile vita perduta gli offre una vita di eternità. È suo finalmente, unicamente suo! Essi voleranno nel mondo al di sopra degli amori [p. 215 modifica]umani, al di sopra delle gioie umane, e i posteri, i tardi uomini venturi, parleranno ancora del loro amore e le giovinette trepide ed ansiose ripeteranno con gelosa meraviglia i due nomi immortalmente congiunti.

No non sono gelosa finchè sentirò di poter amare meglio di chiunque. Dare senza chiedere, senza ricevere, senza sperare nulla è la più grande voluttà per un cuore orgoglioso.

Povera Maria Bashkirtseff! Ella si accontentava come meta superiore al suo orgoglio di raggiungere un grado tale di celebrità che facesse voltare tutti gli sguardi quando entrava in un salotto.

Ma quando tutto un salotto e un teatro e una città intera mi acclama, io mi faccio piccina, mi nascondo. No, non è ancora quello che voglio! [p. 216 modifica]

Io vorrei — ve lo dico piano, misteriosamente — vincere Colei che sola riconosco per mia rivale.

Il fragore degli applausi non mi dà neanche la più piccola parte dell’irradiamento divino che proverei se sapessi di essere amata e desiderata oltre la tomba, sempre, capite? Se potessi essere sicura che di qui a cento anni un’anima sentirà tutto quello che io sento, come lo sento, e che la sua simpatia rifacendo il secolo mi verrà incontro attraverso il mistero della morte, ecco il mio amore, ecco il mio orgoglio. Non una platea, non un pubblico, un’anima come la mia. Non è questa la risurrezione?