Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/213

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Anno 213

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Anno di Cristo CCXIII. Indizione VI.
ZEFIRINO papa 17.
CARACALLA imperad. 16 e 3.
Consoli

MARCO AURELIO ANTONINO CARACALLA AUGUSTO per la quarta volta e DECIMO CELIO BALBINO per la seconda.

Per alcune ragioni da me altrove1781 accennate, sufficiente motivo abbiamo di dubitare se il secondo console fosse Balbino o pure Albino. Che Marco Antonino Gordiano, il qual fu poi imperadore, venisse nel presente anno sostituito console a Balbino, pare che si ricavi da Capitolino1782. Ma un’iscrizione scorretta del Grutero1783 ci fa veder Balbino tuttavia console nel dì 3 di novembre; e però resta dubbiosa la cosa. Che Elvio Pertinace, figliuolo del fu Pertinace Augusto, fosse anch’egli promosso in quest’anno al consolato, come stimarono il Panvinio1784 e il Relando1785, molto più dubbioso, per non dir falso, a me comparisce. Debbo io qui ora accennare le immense crudeltà esercitate dall’inumano Caracalla nel precedente anno, e parte ancora in questo; ma quasi mi cade di mano la penna per l’orrore: tanto fu il sangue innocente sparso da quel mostro Augusto. Vanno concordi gli antichi storici1786 in asserire ch’egli sfogò la bestiale sua rabbia contro chiunque era stato o domestico o amico o in qualsivoglia maniera parziale allo ucciso fratello. Quanti nella numerosa corte di esso Geta, o liberti, o schiavi, o cortigiani d’altra specie, si trovarono, tutti furono messi a fil di spada; nè si perdonò a donne e fanciulli. Fino gli atleti, gl’istrioni, i gladiatori e qualunque altra persona che avesse servito al divertimento degli occhi o degli orecchi di Geta, e fin que’ soldati che stettero alla sua guardia, perderono la vita. Questo macello si andava facendo di notte, e, venuto il dì, si portavano i lor cadaveri fuori della città. Dione conta venti mila persone sacrificate in questa maniera dal furore tirannico di Caracalla. Sparziano aggiugne che furono innumerabili. Bastava che s’indicasse un qualche filo di attaccamento avuto con Geta, vero o falso che fosse, perchè si desse la sentenza di morte. Nè i suoi fulmini si fermarono senza percuotere anche l’alte torri. Era in que’ tempi riputato l’arca del sapere legale il celebre Papiniano, stato già prefetto del pretorio, verso il quale poco fa vedemmo usate tante finezze da Caracalla. Non altro reato di lui si trovava che il glorioso di aver fatto il possibile per rimettere la concordia fra i due fratelli Augusti. V’ha nondimeno chi scrive1787, esser egli caduto in disgrazia di Caracalla, perchè, chiestagli un’orazione da recitare in senato per sua discolpa, egli generosamente rispondesse che non era tanto facile lo scusare un fratricidio, come il commetterlo; ed essere un secondo delitto l’accusare un innocente, dopo avergli tolta la vita. Sparziano1788 crede ciò un sogno de’ politici. Fuori bensì di dubbio è che Papiniano fu ammazzato per ordine di Caracalla, il qual poi riprese l’uccisore, perchè, nell’ucciderlo, si fosse servito della scure in vece della spada, strumento di morte riservato per la gente nobile. Un figliuolo di esso Papiniano, che era allora questore, e tre giorni prima avea fatto grande spesa in alcuni magnifici spettacoli, fu anch’egli tolto dal mondo. Abbiam veduto ancora Lucio Fabio Cilone, stato due volte console e prefetto di Roma, in auge di gran credito e fortuna. Caracalla il chiamava suo padre, perchè lo avea avuto per suo aio in gioventù; era [p. 723 modifica]anche creduto il suo braccio diritto; ma niun si potea fidare del capo stravolto di un tale imperadore1789. Perchè anch’egli avea persuasa l’union de’ fratelli, Caracalla mandò un tribuno con alcuni soldati per tagliargli il capo. Costoro nol trovarono tosto; e si perderono a svaligiar le argenterie, i danari e gli altri preziosi mobili delle sue stanze. Coltolo poi al bagno, così com’era in camicia e in pianelle, il menarono per mezzo la città con disegno di ucciderlo nel palazzo, maltrattandolo intanto con pugni sul viso per la strada. La plebe e i soldati della città, al vedere in sì compassionevole stato un personaggio di tanta stima, alzarono un gran rumore e fecero sedizione. Avvisatone Caracalla, per quietare il tumulto, avendo paura di peggio, gli venne incontro, e, cavatasi la sopravveste militare, la pose indosso al quasi nudo Cilone, gridando: Lasciate stare mio padre; non vogliate toccare il mio aio. Fece poi morire quel tribuno co’ soldati ch’erano iti per ucciderlo, fingendoli rei, per avere insidiato alla vita di un sì degno personaggio, ma con essersi comunemente creduto che li gastigasse per non averlo ucciso. Di altri nobili e senatori uccisi parlano Dione, Erodiano e Sparziano, facendone un fascio; ma verisimilmente non tutte quelle stragi appartengono ai due suoi primi anni. E qui non si dee tacer quella di Quinto Sereno Sammonico, uno de’ più insigni letterati uomini di questi tempi, compositore di moltissimi libri, che son quasi tutti periti1790, e che possedeva una biblioteca di sessantadue mila volumi, donati poi da suo figliuolo al secondo dei Giordani Augusti. Forse perchè Geta si dilettava forte della lettura dei di lui libri, Caracalla la prese con lui. Si trovava l’infelice Sammonico a cena quando gli arrivarono i sicarii che gli spiccarono la testa dal busto.