Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/5
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Anno di | Cristo v. Indizione viii. Cesare Augusto imper. 49. |
Consoli
Gneo Cornelio Cinna Magno,
Lucio Valerio Messalla Voluso.
Di Cinna, console nell’anno presente, abbiam favellato nel precedente. L’altro Voluso taluno ha creduto che fosse piuttosto cognominato Voleso, perchè una iscrizione rapportata dal Fabretti1 fu posta L. VALERIO VOLESO, CN. CINNA MAGNO COSS. Il Grutero, riferendo la stessa iscrizione, lesse VOLSEO, ma con errore. Certamente un marmo, veduto co’ suoi occhi dal Fabretti, bastar dovrebbe a stabilire il cognome di Voleso. Ma mi ritiene una medaglia pubblicata da Fulvio Orsino e dal Patino2, dove è la figura d’Augusto, e nel rovescio VOLVSUS VALER. MESSAL. III. VIR. A. A. A. F. F. Questi par certamente lo stesso che fu poi console o almeno della stessa casa. Abbiamo da Vellejo3, che nell’anno secondo oppure terzo dell’Era nostra, s’era suscitata in Germania una gran guerra, la qual durava tuttavia. Dappoichè nell’anno precedente Augusto ebbe adottato Tiberio, e volendo accreditarlo maggiormente nel mestiere delle armi e nel comando delle armate, nel quale si era egli anche molti anni prima esercitato con molto onore, poco stette a spedirlo in Germania. Andò Tiberio, e con esso lui era Vellejo Patercolo generale della cavalleria. Soggiogò i Caninefati, gli Attuari e i Brutteri, e fece ritornare all’ubbidienza i Cherusci. Terminata poi con reputazione la campagna, nel dicembre se ne ritornò a Roma per visitare i genitori. Quindi nella primavera di quest’anno di nuovo si portò in Germania. Le prodezze ivi fate da Tiberio si veggono descritte ed esaltate da esso Vellejo istorico. Per attestato di lui sottomise gran parte di quei feroci popoli, de’ quali nè pur dianzi si sapeva il nome. Fra gli altri domò i Longobardi, gente la più fiera e valorosa dell’altre: il che è ben da avvertire: perchè dopo alcuni secoli vedremo questa medesima nazione dominante in Italia. Le conquiste di Tiberio arrivarono sino al fiume Elba; cosa non mai tentata in addietro nè allora sperata da alcuno. Venuta poi la stagion de’ quartieri, volò Tiberio a Roma a ricevere i complimenti de’ genitori e il plauso del[p. 18] popolo, per così vantaggiosa e gloriosa campagna. Circa questi tempi, o pur nell’anno precedente, vennero a Roma gli ambasciadori de’ Parti, padroni allora della Persia, per chiedere un re ad Augusto4. Volle egli che andassero anche in Germania ad esporre la stessa dimanda a Tiberio Cesare, per avvezzar la gente al rispetto e alla stima di questo suo figliuolo. Era stato ucciso Fraate re dei Parti da uno scellerato suo figlio, per iniqua voglia di regnare, benchè egli poi non solo non conseguì il regno, ma vi perdè la vita. Gli altri figliuoli di Fraate stavano in Roma da qualche tempo, mandati colà per ostaggi della sua fede dal padre. Aveano chiesto i Parti per loro re ad Augusto Orode, uno de’ figliuoli di Fraate; ma ottenutolo, fra poco l’uccisero. Richiesero poscia un altro d’essi figliuoli, cioè Venone; e questi andò a prendere il possesso di quella corona, per restare anche egli dopo alcuni anni vittima del furore di quella barbara nazione. Ma non è certo, se all’anno presente appartenga l’andata di esso Venone colà. Abbiamo varii regolamenti fatti da Augusto in questo anno5. Difficilmente s’inducevano allora i nobili a lasciar entrare nel collegio delle vergini Vestali le lor figliuole, perchè presso i Gentili non era in pregio, anzi era in dispregio il celibato; nè mancavano disordini succeduti fra le stesse Vestali. Necessario fu un decreto, per cui fosse lecito alle fanciulle discendenti da liberti di entrarvi. Molte di queste si presentarono e furono elette a sorte; ma niuna d’esse vi entrò. Lamentavasi anche la milizia romana della tenuità della paga. Augusto, per animare i soldati a sostenere il peso della guerra, e molto più per conciliarsi l’affetto loro, siccome preventivamente accennai, volle che si accrescesse lo stipendio tanto alle legioni mantenute in varii siti dell’imperio, quanto ai pretoriani destinati a far la guardia dell’imperadore e del palazzo pubblico. Colla sua propria borsa supplì egli per ora, e nell’anno prossimo vi provvide con un altro ripiego. Dione ci dà il registro di tutta la fanteria e cavalleria che allora continuamente era mantenuta in piedi dalla repubblica romana; e questa andò poi crescendo e calando, secondo la diversità de’ bisogni, o pur della pubblica felicità. Il pagamento allora de’ soldati era ben superiore a quel d’oggidì.
- Testi in cui è citato Ariodante Fabretti
- Testi in cui è citato Jan Gruter
- Testi in cui è citato Fulvio Orsini
- Testi in cui è citato Charles Patin
- Testi in cui è citato Velleio Patercolo
- Testi in cui è citato Cassio Dione Cocceiano
- Testi in cui è citato Gaio Svetonio Tranquillo
- Testi in cui è citato Flavio Giuseppe
- Testi SAL 100%