Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/89
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medesimo Domiziano contro ai Daci, essendo noi accertati da Svetonio1, che due volte egli andò in persona a quella guerra. Ma se non è possibile il ben dilucidare i tempi delle azioni di Domiziano, a noi bastar deve almeno la certezza delle medesime. Tornò dunque Domiziano alla guerra2, ma perchè facea più conto della pelle che dell’onore, nè gli piacea la fatica, ma sì bene il godersi tutti i comodi, siccome uomo poltrone, e perduto tra le femmine e in ogni sorta di disonestà: non osò giammai di lasciarsi vedere a fronte dei nemici. Fermatosi dunque in qualche città della Mesia, spedì i suoi generali contra di Decebalo. Seguirono vari combattimenti, ne’ quali, per testimonianza di Dione, perì buona parte delle sue armate. Tuttavia, perchè la fortuna delle guerre è volubile, e i suoi riportarono talvolta de’ vantaggi, e specialmente Giuliano diede una considerabil rotta a Decebalo: Domiziano di continuo, ed anche allorchè andavano poco bene gli affari, spediva l’un dietro all’altro i corrieri a Roma, per avvisare il senato delle sue felici vittorie. Pertanto, a cagione di questi creduti sì gloriosi successi, il senato gli decretò quanti onori mai seppe immaginare, e per tutto l’imperio romano gli furono alzate statue d’oro e d’argento, se pur non erano dorate ed inargentate. Con tutto il suo valor nondimeno Decebalo cominciò a sentirsi assai angustiato dalle forze de’ Romani; e però inviò degli ambasciatori a Domiziano per ottener la pace. Non ne volle il poco saggio Augusto udir parola; ma in vece di maggiormente incalzare il vacillante nemico, venuto nella Pannonia, rivolse l’armi contro ai Quadi e Marcomanni, volendo gastigarli, perchè non gli aveano dato soccorso contra dei Daci. Due volte que’ popoli gli fecero una deputazione, per placare il suo sdegno; non solo nulla ottennero, ma Domiziano[p. 344] fece anche levar la vita ai secondi lor deputati. Si venne dipoi ad una battaglia, in cui dai Marcomanni, combattenti alla disperata, fu sconfitto l’esercito romano, ed obbligato l’imperadore alla fuga. Allora fu, che egli diede orecchio alle proposizioni di pace con Decebalo, il qual seppe ben profittare della debolezza, in cui, dopo tante perdite, si trovavano i Romani. Contentossi dunque egli di restituir molte armi e molti prigioni, e di ricever anche dalle mani di Domiziano il diadema del regno; ma si capitolò, che anche Domiziano pagasse a lui una gran somma di danaro, e di mandargli molti artefici in ogni sorta d’arti di guerra e di pace; e, quel che fu peggio, di pagargli in avvenire annualmente una certa quantità di danaro a titolo di regalo. Durò questa vergognosa contribuzione sino ai tempi di Trajano, il quale, siccome vedremo, avendo altra testa e cuore che Domiziano, insegnò ai Daci il rispetto dovuto all’aquile romane. Tutto boria Domiziano per questa pace, quasichè egli l’avesse fatta da vincitore, e non da vinto, scrisse al senato lettere piene di gloria, e fece in maniera ancora, che gli ambasciatori di Decebalo andassero a Roma con una lettera di sommessione, a lui scritta da Decebalo, se pur non fu finta, come molti sospettarono, dallo stesso Domiziano. Per altro Decebalo non fidandosi di lui, si guardò dal venire in persona a trovar Domiziano, e in sua vece mandò il fratello Diegis a ricevere da lui il diadema. Quanto durasse questa guerra sì perniciosa ai Romani, e quando cessasse, non abbiamo assai lume per determinarlo; ma v’è dell’apparenza, che si stabilisse la pace nell’anno presente, e che Domiziano se ne tornasse a Roma nel dicembre per prendere il consolato nell’anno seguente. Nè si dee tacere ciò che Plinio il giovane osservò, cioè che Domiziano3 andando a queste guerre, per dovunque passava sulle terre dell’imperio, non pareva il principe ben venuto, ma un nemico ed un assassino: tante erano le gravezze che imponeva ai popoli, tante le rapine, gl’incendi, ed altri disordini che commettevano le sue milizie, braccia cattive di un più cattivo capo.