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Avarchide/L'editore a chi legge

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L'editore a chi legge

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Luigi Alamanni - Avarchide (XVI secolo)
L'editore a chi legge
Avarchide Canto I

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L’Editore a chi legge



Ad essere ingenuo, tacere non posso che il poema che or ti presento, fu dagli storici assai censurato, siccome privo di estro e di calore, non essendo che una imitazione pressochè servile dell’Iliade. Ma il vederne eseguite varie edizioni, ed il riscontrarlo impresso nella raccolta de’ più celebri poemi fatta per cura del chiaro abate Pierantonio Serassi, mi è pruova, che se mancano invenzione e calore, il trovarvi sparse per entro ottime massime di morale, il sentirlo dettato con pura lingua, e assai volte con armonico verso e leggiadro, il fece, più che non crede il Ginguenè, gustare e leggere da chi ama occupare qualche ora di ozio in grate letture.

È per ciò che io te l’offro, o cortese; è per ciò che il corredai di nuovi argomenti ad ogni canto e di nuovo indice delle materie.

Pensa che questo poema fu l’opera della vecchiezza di quel celebre, che aveva dettato l’altro classico della Coltivazione; pensa che l’Alamanni, è uno de’ poeti che diedero maggior lustro all’Italia, e pensa che il lavoro che t’offro è testo di lingua.

E per dirti qualche cosa intorno alla tessitura di esso, sappi che l’Autore prese il titolo d’Avarchide dall’antico nome della città assediata, come il nome dell’Iliade deriva da quello d’Ilio. Avarcum o piuttosto Avaricum, e’ l’antico nome della città di Burges nel Berrì. Gli eroi del poema sono Artù, Lancilotto Tristano, e gli altri cavalieri della Tavola ritonda, e l’Alamanni operare li fa e discorrere come Agamennone, Achille, Ajace e gli altri eroi della Grecia. [p. - modifica]

Tutti gli avvenimenti particolari dell’assedio sono foggiati sulle particolarità dell’assedio di Troja; caratteri per caratteri; discorsi per discorsi; battaglie per battaglie. È vero ciò dice Ginguenè, che manca il nerbo e la vita, che i nomi oscuri e barbari sono opposti all’armonia del verso; ma le altre notate qualità, non possono far dannare questo poema, come egli porta sentenza.

I fatti son fatti, ed e’ vero quello, che per la bontà del verso, l’opera si legge con piacere, e con istruzione di chi vuol apparare la propria lingua.