Avventure di Robinson Crusoe/85

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Rimorsi di Guglielmo Atkins

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Daniel Defoe - Avventure di Robinson Crusoe (1719)
Traduzione dall'inglese di Gaetano Barbieri (1842)
Rimorsi di Guglielmo Atkins
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Rimorsi di Guglielmo Atkins.



G
iunto alle case dei coloni inglesi gli adunai tutti insieme d’intorno a me, e preso argomento dalle cose che aveva fatte per essi e per cui mi si mostravano affettuosamente grati (il leggitore già sa che io li avea provveduti di quanto poteva esser necessario a migliorare la lor condizione), preso argomento da ciò, introdussi il discorso su la vita scandalosa che conducevano, giunta anche a notizia del degno ecclesiastico mio compagno di viaggio, le cui osservazioni intorno a ciò ripetei loro parte per parte. Dopo aver dato a capire ai medesimi quanto una tal condotta fosse riprensibile e indegna d’un uomo cristiano, gli interrogai se fossero ammogliati o celibi.

Dalle loro risposte seppi che due di essi erano vedovi, i tre altri celibi o scapoli.

— «E con che coscienza, loro dissi, vi avete tirato in casa quelle donne, fate tutto un letto con esse, le chiamate mogli, le avete rese madri di tanti fanciulli, senza pensare mai a farle vostre mogli legittime?»

Mi diedero la risposta cui m’aspettava: vale a dire non esservi [p. 515 modifica]nell’isola un prete che gli sposasse; aver già conceduto il governatore medesimo che se le pigliassero in qualità di mogli; star le cose in termini tali, che si consideravano ammogliati legittimamente, come per mano d’un parroco e con tutte le cerimonie solite nei matrimoni.

— «Certo, risposi, innanzi a Dio siete ammogliati, e avete obbligo di coscienza di tenervi quelle donne per mogli. Povere creature, derelitte, prive d’amici e di mezzi, come farebbero ad aiutarsi da sè medesime? Ove pertanto non mi diate una sicurezza delle vostre oneste intenzioni, non faro più nulla per voi, e penserò invece a prendermi cura delle vostre mogli e dei vostri figliuoli. E quanto a voi aggiungo che, se non mi date parola di sposare quelle sfortunate, non permetterò più che viviate con esse come se fossero mogli. È cosa troppo scandalosa agli occhi degli uomini e peccaminosa a quelli di Dio, che non vi benedirà se continuate così.»

Vennero tutti al punto ov’io li desiderava; e Guglielmo Atkins parlò quasi sempre per tutti.

[p. 516 modifica] — «Noi le amiamo, costui rispose, le nostre donne, come se fosser nate ne’ nostri paesi, nè vorremmo abbandonarle a qualunque costo. Abbiamo troppi motivi di crederle e oneste e savie, e vediamo che fin dove giunge la loro abilità, non risparmiano fatiche per noi e pei nostri figli, come potrebbe fare qualunque brava donna da casa. Guardate! (e qui si fece a parlarmi in disparte) se venissero a dirmi di levarmi qui, di ricondurmi in Inghilterra e di farmi capitano del miglior bastimento da guerra di tutta una flotta, non andrei, semprechè non mi fosse permesso di portarmi la mia moglie e i miei figli; e se ci è un prete nel vostro bastimento che ci voglia sposare, non desidero di meglio.»

Qui proprio io lo voleva. L’ecclesiastico in quel momento non si trovava meco, ma era andato poco lontano. Per iscandagliar meglio il mio galantuomo me lo tirai in disparte e gli dissi:

— «Qui il prete lo abbiamo. Se parlate sinceramente, io vi fo sposo domani mattina. Vi do tempo di pensarci e d’intendervi anche cogli altri.

— Per la parte mia, rispose Guglielmo Atkins, non ho bisogno d’intendermi con nessuno, perchè son prontissimo a fare quanto mi dite, e ci ho un gran gusto che vi sia questo prete con voi; nondimeno credo che anche gli altri saranno del mio parere.»

Gli raccontai che il prete mio amico era un Francese, e che non parlava l’inglese: ma soggiunsi che gli avrei fatto da interprete. Per fortuna non istette a domandarmi se fosse papista o protestante, cosa che, a dir la verità, mi faceva un po’ di paura. In questa intelligenza ci separammo; io raggiunsi il mio ecclesiastico; Guglielmo Atkins andò a parlare co’ suoi compagni. Io non aveva piacere che il prete francese si lasciasse veder da costoro, finchè le cose non fossero mature; gli riferii intanto le risposte che aveva avute. Non era ancora fuori del loro campo che corsero tutti da me per dirmi che aveano già pensato all’aggiustatezza di quanto avevano udito dirsi da parte mia; si protestarono contentissimi ch’io avessi un sacerdote in mia compagnia; ben lontani dall’idea di separarsi dalle loro donne ripeterono ad una che avevano sol mire oneste quando le scelsero per loro compagne. Diedi dunque ad essi un convegno in casa mia per la successiva mattina. Ebbero intanto il tempo di far nota alle donne stesse la loro intenzione di farle spose legittime, e di dar loro a capire che cosa fosse matrimonio secondo la legge, e come questo non solo [p. 517 modifica]giovasse ad impedire gli scandali, ma a far sicure le mogli medesime che per qualunque cosa succedesse non sarebbero mai abbandonate.

Le donne capirono in bene tutte le cose, e ne furono soddisfattissime, come aveano da vero tutta la ragione di essere, e contente anch’esse che avessi condotto in mia compagnia chi poteva adempiere questa formalità. Gli uomini non mancarono di trovarsi tutti insieme da me nella seguente mattina. Io aveva già in serbo il mio prete; e benchè non fosse vestito nè da prete inglese, chè non poteva essere, nè veramente da prete francese, pure la sua zimarra, essendo nera e serrata ai fianchi da un cingolo, non avea male l’aria d’un sacerdote. Circa alla differenza della lingua, io doveva essere, come dissi, il suo interprete.

Avrebbero già bastato a farlo ravvisare per un ecclesiastico la dignità del suo portamento e la ritrosia che mostrò ad unire in matrimonio uomini cristiani con donne non battezzate, e che non professavano il cristianesimo. Ciò accrebbe in appresso la venerazione per lui ne’ miei visitatori, ma fece, se ho a dirlo, un po’ di paura a me su le prime. Temeva che i suoi scrupoli andassero tanto in là da non venire in fin dei conti a capo di nulla. In fatti per quante glie ne sapessi dire, per vincere le sue difficoltà, mi tenea testa, modestamente sì, ma con fermezza. Finalmente disse con risoluzione che queste nozze non le avrebbe fatte, se prima non si fosse inteso bene con gli uomini e con le donne. Non avrei voluto questa clausola per timore sempre che si guastassero le faccende; pure mi toccò acconsentire, e il feci volentieri per la sicurezza che aveva del suo buon volere e della sincerità delle sue rette intenzioni.

Presentatolo dunque ai miei Inglesi, il discorso che fece loro all’incirca fu questo:

— «Qui il signore dell’isola mi ha già dato contezza delle vostre condizioni e de’ presenti vostri disegni. Per parte mia ho tutta l’intenzione di adempire questa parte del mio ministerio e di sposarvi, secondo i vostri desideri; ma prima di venire a ciò, bisogna che mi permettiate di farvi alcuni discorsi. Certo, e a giudizio degli uomini anche i più imparziali e secondo tutte le sociali leggi, voi siete finora vissuti in uno stato di manifesta fornicazione, ed è verissimo che un tale scandalo può soltanto essere tolto, o sposando le donne con le quali avete prevaricato, o separandovi affatto da esse. Ma qui nascono alcune difficoltà per parte delle leggi che regolano [p. 518 modifica]i matrimoni fra i Cristiani, difficoltà tali che non mi tengono niente quieto. Mi spiego. Posso io sposare un uomo che professa il cristianesimo con una selvaggia, con una idolatra, con un’eretica, in somma con una donna non battezzata? E quanto alle donne di cui si tratta ora, non vedo che abbiamo tempo abbastanza per ingegnarci di farle abili ad entrare nel grembo della cristianità, o sia a far che credano in Cristo, di cui ho gran paura non abbiano mai udita una parola, requisito indispensabile perchè si possa, essendo elleno adulte, amministrare ad esse il battesimo. Figliuoli cari, scusate, ma dubito molto sul quanto siate cristiani voi stessi, sul quanto conosciate Dio e le sue leggi; e se non m’inganno, quelle povere donne devono aver ricevute ben pochi ammaestramenti da voi su questo particolare. Se dunque non mi promettete di far tutti gli sforzi che dipendono da voi per indurre le vostre mogli a farsi cristiane, e se non le istruite, fin dove potete, nella cognizione e credenza del Dio che le ha create, nell’adorazione di Gesù Cristo che le ha redente, io non ho facoltà di unire in matrimonio uomini cristiani con donne pagane. Ciò non s’accorderebbe nè co’ miei principî di Cristiano, nè con la legge di Dio che espressamente me lo divieta.»

Ascoltarono attentissimamente tutte queste cose che io a mano a mano spiegava loro, tenendomi quanto sapeva alla lettera, e soltanto aggiugneva del mio (ma era fedele nell’avvertirli delle aggiunte), aggiugneva del mio quanto mi sembrava più opportuno a convincerli che il prete aveva ragione, e ch’io la pensava affatto nella stessa maniera. Mi risposero di comune accordo essere verissimo tutto quanto il degno ecclesiastico aveva detto, essere pur troppo cattivi Cristiani eglino stessi che non avevano mai detta una mezza parola di religione alle loro mogli.

— «E come potremmo farlo, magnifico signore? soggiugneva Guglielmo Atkins. Noi! noi che non sappiamo nulla di religione noi stessi? Poi, un’altra! se andassimo a parlare di Dio e di Gesù Cristo, d’inferno e di paradiso alle nostre donne, ci riderebbero in faccia, ci dimanderebbero che cosa è che crediamo noi? E se rispondessimo ad esse che tutte queste cose le crediamo, quella principalmente de’ buoni che vanno in paradiso e de’ cattivi che aspetta l’inferno, ci saprebbero domandare: E voi dove vi figurate d’essere aspettati, voi che credete tutte queste belle cose e siete tanto cialtroni? e in quest’ultima parte direbbero troppo la verità. Sapete voi, mio signore, [p. 519 modifica]che sarebbe un farle schife della religione al primo udirne parlare? Bisogna che abbia qualche religione egli stesso chi si vuole dar l’aria di predicarla agli altri.

— Guglielmo Atkins, ho paura che ci sia troppa verità in questo vostro discorso; pure non potete dire a vostra moglie ch’ella è nell’errore? che vi è un Dio e una religione migliore della sua religione e delle sue divinità? che queste sono idoli incapaci di udire e di parlare? che vi è un grand’ente creatore di tutte le cose, il quale può distruggere con un atto di sua volontà tutte le cose che ha fatte, rimuneratore de’ buoni e punitor de’ malvagi dal quale in fin del conto saremo giudicati su le opere che avremo fatte quaggiù? Voi non siete sì ignorante che la natura stessa non vi possa suggerire quanto queste cose sieno vere; anzi vedo che le capite vere, e me ne compiaccio.

— Le capisco vere, mio signore; ma con che faccia andrò a dirle a mia moglie che ha tanto in mano da rispondermi che sono false.

— Come! ha tanto in mano? gli ripetei. Che cosa v’intendete dire?

— M’intendo dire che mi risponderà non potervi essere questo Dio sì giusto rimuneratore e punitore, poichè vede che a quest’ora non sono stato punito nè mandato a casa del diavolo, io sì mala creatura come mi conosce la stessa mia moglie, sia verso lei, sia verso tutti. L’essere io tollerato in vita, (sarebbe capacissima, sapete! d’affacciarmi questa ragione) diverebbe a’ suoi occhi una contraddizione continua tra le parole di bene che le dicessi e i miei fatti, tutti un peggiore dell’altro.

— Basta! basta, Atkins! m’atterrite all’idea che diciate troppo la verità.» Di tutto questo dialogo informai il prete che stava ansioso di conoscerne i risultamenti.

— «Oh! ditegli, esclamò, ditegli che v’è tal cosa atta a farlo divenire per sua moglie il miglior consigliere di quanti se ne possano immaginare, e questa cosa è il pentimento; perchè non vi sono in tutta la terra migliori maestri de’ peccatori pentiti da vero. Non gli manca altro che pentirsi e sarà sempre meglio al caso d’istruire la sua compagna. Allora potrà dirle non solamente che vi è un Dio giusto rimuneratore delle opere buone e punitore delle cattive, ma in oltre che questo Dio è il Dio delle misericordie, quel Dio d’infinita bontà e pazienza nell’aspettare a ravvedimento coloro che lo offendono, quel Dio che anela il momento di far grazia, e che non vuole [p. 520 modifica]la morte del peccatore, ma bensì il suo ritorno alla vita; che tollera spesse volte i malvagi per lungo tempo, e talvolta ancora si riserva a punirli il giorno del giudizio finale1; una manifestissima prova dell’esistenza di Dio e di vita avvenire stare appunto in ciò: nel vedersi dei giusti che non ricevono il loro compenso, degli scellerati che non soggiacciono al meritato castigo prima di essere nel mondo di là. Una tal riflessione francheggerà il nostro convertito nell’insegnare a sua moglie la dottrina della risurrezione e del giudizio universale. Si penta egli, e diventerà un eccellente predicatore di penitenza a sua moglie.»

Ripetei questo discorso a Guglielmo Atkins che rimase mestamente concentrato in sè stesso nell’ascoltarlo, e su la cui fisonomia si potea scorgere facilmente quanto straordinaria impressione tal discorso facesse nella sua anima. Finalmente non fu più capace di lasciarmi andare al termine del mio dire.

— «Tutte queste cose le so, mio signore, e molt’altre ancora, ma non avrò la sfrontatezza di dirle a mia moglie, finchè il Signore ed io vediamo come sto in mia coscienza. E la stessa mia moglie può portare una irrefragabile testimonianza contro di me che sono sempre vissuto come se non avessi mai udito parlare nè di Dio nè d’una vita avvenire, nè d’alcun’altra cosa di questa fatta. Circa poi al venire io a penitenza, oh Dio! (qui mise un profondo sospiro, e posso dire d’avergli veduti gli occhi inumiditi da una lagrima) quanto a ciò tutto è finito per me!

— Finito! Atkins, che cosa t’intendi con questo finito?

— M’intendo io troppo! rispose. Oh sì, intendo quello che dico! Intendo che è troppo tardi, e la cosa è troppo vera!»

Ripetei parola per parola al sacerdote le cose or dette da Atkins. Quel sant’uomo (mi sia lecito il chiamarlo così perchè, qualunque [p. 521 modifica]fosse la sua opinione in materia di fede, certamente portava un grande amore alle anime degli altri uomini, ed è cosa ardua a credersi che non ne portasse altrettanto all’anima propria), quell’uomo caritatevole dunque non potè starsi dal piangere; poi ricompostosi, mi disse:

— «Provate un po’ a chiedergli se ha piacere che sia troppo tardi, o se invece ne è dolente e s’augurerebbe che la cosa fosse altrimenti.»

Tal quale mi fu detta riportai questa interrogazione ad Atkins, che con abbondanza di passione mi rispose:

— «E come vorreste che mi piacesse uno stato di cose in cui vedo certissima l’eterna mia dannazione? Ben lontano ch’io n’abbia piacere, credo che una volta o l’altra ciò mi condurrà ad un ultimo precipizio.

— Vale a dire?

— Credo che una volta o l’altra mi taglierò le canne della gola per porre un termine ai terrori fra cui m’avvolgo.»

Quando raccontai tale risposta al prete francese, crollò il capo e vidi nel volto di lui la commozione della sua anima. Tutt’in un tratto mi si volse con queste parole:

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— «Se siamo a questo caso possiamo fargli sicurtà che non è troppo tardi. Nostro Signor Gesù Cristo gli concederà la grazia del pentimento. Spiegategliela questa cosa, ve ne prego, domandategli come, se è vero che non c’è uomo sopra la terra il quale non possa essere salvato da Gesù Cristo e per cui i meriti della sua divina passione non sieno un mezzo di grazia, come, se ciò è vero, può essere mai troppo tardi a profittare della sua celeste misericordia? Domandategli se si crede tanto bravo da far peccati al di là della sfera di questa misericordia? Ditegli, ve ne prego, anche questo: che può bene venir tempo in cui la clemenza di Dio, provocata e stanca dall’ostinazione del peccatore, non voglia più ascoltarlo; ma per gli uomini non è mai troppo tardi il domandare mercede a Dio. Aggiugnete che noi, ministri e servi di questo Dio, abbiamo l’obbligo in tutti i tempi di predicare in nome di Gesù Cristo la sua misericordia a quanti si pentono di vero cuore, che dunque per pentirsi non è mai troppo tardi.»

Tradussi questi detti ad Atkins che ne sembrò assai penetrato nell’ascoltarli; pure nel momento, come se avesse voluto troncare il discorso, disse che desiderava partire per conferire d’alcune cose con sua moglie.

Quando si fu ritirato parlammo agli altri.

M’accorsi che erano tutti troppo ignoranti nelle cose di religione, com’era io quando andai a vagare pel mondo fuggendo da mio padre. Pure non vi fu alcun di loro che si mostrasse ritroso ad ascoltarci, e tutti promisero da senno che avrebbero parlato di ciò con le loro donne e fatto ogni sforzo per indurle a divenire Cristiane.

Il prete sorrise quando gli riferii quest’ultima risposta; stette un pezzetto senza dir nulla, poi dando un crollo di capo che gli era consueto, soggiunse:

— «Siam servi di Cristo, nè possiamo fare più in là d’esercitare e d’istruire: e quando gli uomini si sottomettono, ascoltano di buon grado le nostre riprensioni e promettono di uniformarsi ai nostri consigli, tutto quello che possiamo fare sta qui: nel contentarci della loro buona volontà. Per altro vi dico io che, per quante cose abbiate udite contro all’uomo che nominate Guglielmo Atkins, io lo credo il più sincero di questi nostri convertiti; io ve lo do per un vero penitente. Non dispero certo degli altri. Ma questi si mostra veramente colpito dal sentimento della sua vita passata, e non dubito [p. 523 modifica]che quando parlerà di religione a sua moglie, veramente ne parlerà a sè medesimo. Non sarebbe il primo che nell’ammaestrare gli altri si fosse posto sul buon sentiere egli. Conosco uno che avendo scarsissime cognizioni di religione, ed anzi conducendo una vita depravata e cattiva al massimo grado, si pose in capo di convertire un Ebreo: divenne un buon Cristiano egli stesso. Se quel povero Atkins comincia solo una volta a parlare sul serio di religione a sua moglie, scommetterei la mia vita che le prediche le fa ad un tempo a sè stesso, che ne caviamo un perfetto penitente, e chi sa che cosa di meglio.»

Note

  1. Questo che potrebbe chiamarsi aggiornamento della divina sentenza dopo la morte, un Cattolico non lo crede. Pure vi sono stati Cattolici che, confondendo il senso mistico col senso letterale d’alcuni tratti di san Paolo e delle preci pei defunti, portarono intorno a ciò un’opinione, condannata per altro dalla chiesa in più d’un concilio, quali quello di Firenze nel secolo decimoquinto e l’altro di Trento nel decimosesto. Può darsi che il Cattolico posto or su la scena da Robinson fosse uno di questi tali, e me ne persuaderebbe il vedere dal capitolo successivo che san Paolo è il santo padre prediletto di questo prete francese. Aggiungasi che i Protestanti anche di buona fede non si hanno pe’ relatori i più autentici dei discorsi tenuti da un Cattolico.