C'era una volta... Fiabe/Il cavallo di bronzo
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IL CAVALLO DI BRONZO
C’era una volta un Re e una Regina, che avevano una figliuola più bella della luna e del sole, e le volevano bene come alla pupilla degli occhi.
Un giorno venne uno, e disse al Re:
— Maestà, passavo pel bosco qui vicino, e incontrai l’Uomo selvaggio. Mi disse: Vai dal Re, e digli che voglio la Reginotta per moglie. Se non l’avrò qui fra tre giorni, guai a lui! —
Il Re, sentendo questo, fu molto costernato e radunò il Consiglio di corona:
— Che cosa doveva fare? L’Uomo selvaggio era terribile: poteva devastare tutto il regno.
— Maestà, — disse uno dei ministri — cerchiamo una bella ragazza, vestiamola come la Reginotta e mandiamola lì: l’Uomo selvaggio sarà contento. —
Trovarono una ragazza bella come la Reginotta, le fecero indossare uno dei più ricchi abiti di lei, e la mandarono nel bosco. Dovea dire che lei era la figlia del Re.
Il giorno appresso quella ragazza tornò indietro.
— Che cosa è stato?
— Maestà, trovai l’Uomo selvaggio, e mi domandò: — Chi sei? — Sono la Reginotta. — Lasciami vedere. — Mi sbottonò la manica del braccio sinistro e urlò: Non è vero! La Reginotta, dice, ha una voglia in quel braccio! — e mi ha rimandato. Se fra due giorni non avrà lì la sposa, guai a voi! —
Il Re non sapeva che cosa fare, e radunò di bel nuovo il Consiglio di corona:
— L’Uomo selvaggio sa che la Reginotta ha una voglia nel braccio sinistro; è impossibile ingannarlo.
— Maestà, — disse il ministro — cerchiamo un’altra ragazza, chiamiamo un pittore che le dipinga una voglia simile a quella della Reginotta, vestiamola con uno dei suoi vestiti, e mandiamola lì. Questa volta l’Uomo selvaggio non avrà da ridire. —
Trovarono un’altra bella ragazza, le fecero dipingere una voglia sul braccio, simile a quella della Reginotta, l’abbigliarono con uno dei più ricchi abiti di lei e la mandarono nel bosco. Dovea dire che lei era la figlia del Re.
Ma, il giorno appresso, quella ragazza tornò indietro.
— Che cosa è stato?
— Maestà, trovai l’Uomo selvaggio e mi domandò: — Chi sei? — Sono la Reginotta. — Lasciami vedere. — Mi osservò tra i capelli e urlò: Non è vero! La Reginotta, dice, ha tre capelli bianchi sulla nuca. Se domani la sposa non sarà lì, guai a voi. —
Il povero Re e la povera Regina avrebbero battuto il capo nel muro.
— Dunque dovean buttare quella gioia di figliuola in braccio all’Uomo selvaggio?
— Maestà, — dissero i ministri — facciamo un ultimo tentativo. Cerchiamo un’ altra ragazza. Il pittore le dipingerà la voglia sul braccio, le tingerà di bianco tre capelli sulla nuca; poi le metteremo indosso uno dei vestiti della Reginotta e la manderemo lì. Questa volta l’Uomo selvaggio non avrà più da ridire. —
Ma il giorno appresso ecco quella ragazza che torna indietro anch’essa.
— Che cosa è stato?
— Maestà, trovai l’Uomo selvaggio e mi domandò: — Chi sei? — Sono la Reginotta. — Lasciami vedere. — Mi osservò il braccio sinistro: — Va bene! — Mi osservò tra i capelli, sulla nuca: — Va bene! — Poi prese un paio di scarpine ricamate e mi ordinò: — Calza queste qui. — E siccome i miei piedi non c’entravano, urlò: — Non è vero! — E mi ha rimandato dicendo: Guai! Guai! —
Allora i ministri:
— Maestà, ora succede certamente un disastro! Per la salvezza del regno, bisogna sacrificare la Reginotta! —
Il Re non sapeva rassegnarsi: avrebbe dato anche il sangue delle sue vene invece della figliuola! Ma il destino voleva così, e bisognava piegare il capo.
La Reginotta si mostrava più coraggiosa di tutti:
— Infine l’Uomo selvaggio non l’avrebbe mangiata! —
Indossò l’abito da sposa, e accompagnata dal Re, dalla Regina, dalla corte e da un popolo immenso, tra pianti ed urli strazianti, s’avviò verso il bosco.
Arrivata lì, abbracciò il Re e la Regina confortandoli che sarebbe tornata a vederli, e sparì tra gli alberi e le macchie folte. Non si seppe più nuova di lei nè dell’Uomo selvaggio.
Passato un anno, un mese e un giorno, arriva a corte un forestiero, che chiede di parlare col Re. Era un nanetto alto due spanne, gobbo e sbilenco, con un naso che pareva un becco di barbagianni
e certi occhietti piccini piccini. Il Re non aveva voglia di ridere; ma come vide quello sgorbio, non seppe frenarsi.
— Che cosa voleva?
— Maestà, — disse il Nano — vengo a farvi una proposta. Se mi darete mezzo regno e la Reginotta per moglie, io andrò a liberarla dalle mani dell’Uomo selvaggio.
— Magari! — rispose il Re. — Non mezzo, caro amico, ma ti darei il regno intiero.
— Parola di Re non si ritira.
— Parola di Re! —
Il Nano partì.
E non era trascorsa una settimana, che il Re riceveva un avviso:
— Domani, allo spuntar del sole, si trovasse presso il bosco, colla Regina, con la corte e con tutto il popolo, per far festa alla sua figliuola, che ritornava! —
Il Re e la Regina non osavano credere: dubitavano che quello sgorbio si facesse beffa di loro: pure andarono. E allo spuntar del sole, ecco il Nanetto gobbo e sbilenco, che conduceva per mano la Reginotta vestita da sposa, come quando era entrata nel bosco per l’Uomo selvaggio.
Figuriamoci che allegrezza!
Le feste e i banchetti non ebbero a finir più. Ma di nozze non se ne parlava, e della metà del regno nemmeno.
Il Re, ora che avea lì la figliuola, e che l’Uomo selvaggio era stato ucciso dal Nano, non intendeva più saperne di mantener la sua parola. Il Nano, di quando in quando, gli domandava:
— Maestà, e le mie nozze? —
Ma quello cambiava discorso: da quell’orecchio non ci sentiva.
— Maestà, e la mia metà del regno? —
Ma quello cambiava discorso: da quell’altro non ci sentiva neppure.
— Bella parola di Re! — gli disse il Nano una volta.
— Ah, nanaccio impertinente! —
E il Re gli tirò un calcio alla schiena, che lo fece saltare dalla finestra.
— Doveva esser morto! —
Andarono a vedere in istrada; ma il Nano non c’era più. Si era rizzato di terra, si era ripulito il vestitino, ed era andato via, lesto lesto, come se nulla fosse stato.
— Buon viaggio! — disse il Re tutto contento.
Ma la Reginotta, da quel giorno in poi, diventò di malumore; non diceva una parola, non rideva più, andava perdendo il colorito.
— Che cosa ti senti, figliuola mia?
— Maestà, non mi sento nulla; ma... chi dà la sua parola la dovrebbe mantenere.
— Come? Lei dunque voleva quel Nano gobbo e sbilenco?
— Non intendevo dir questo; ma... chi dà la sua parola la dovrebbe mantenere. —
Anche la Regina non viveva tranquilla:
— Quel Nano era potente: aveva vinto l’Uomo selvaggio; doveva tramare qualche brutta vendetta! —
Il Re rispondeva con una spallucciata:
— Se quello sgorbio gli veniva un’altra volta dinanzi! —
Ma la Reginotta ripeteva:
— Chi dà la sua parola, la dovrebbe mantenere! —
Intanto essendosi sparsa la notizia che la Reginotta era stata liberata dalle mani dell’Uomo selvaggio, il Reuccio del Portogallo mandò a domandarla per moglie.
La Reginotta non disse nè di sì, nè di no; ma il Re e la Regina non vedevano l’ora di celebrare le nozze.
Il Reuccio di Portogallo si mise in viaggio, e per via incontrò un uomo, che conduceva un gran carro con su un cavallo di bronzo, che pareva proprio vivo.
— O quell’uomo, dove lo portate cotesto cavallo di bronzo?
— Lo porto a vendere. —
Il Reuccio lo comprò e ne fece un regalo a suo suocero.
Il giorno delle nozze era vicino. La gente accorreva in folla nel giardino del Re, dove il cavallo di bronzo era stato collocato su un magnifico piedistallo. Restarono tutti meravigliati:
— Par proprio vivo! Par di sentirlo nitrire! —
Scese a vederlo anche il Re con la corte; e tutti:
— Par proprio vivo! Par di sentirlo nitrire! —
Solo la Reginotta non diceva nulla.
Il Reuccio, stupito, le domandò:
— Reginotta, non vi piace?
— Mi piace tanto, — rispose lei — che sento una gran voglia di cavalcarlo. —
Fecero portare una scala, e la Reginotta montò sul cavallo di bronzo. Gli tastava il ciuffo, gli accarezzava il collo, lo spronava leggermente col tacco; e intanto diceva scherzando:
Cavallo, mio cavallo, Salta dal piedistallo; Non metter piede in fallo, Cavallo, mio cavallo. |
Non ebbe finito di dir così, che il cavallo di bronzo si scosse, agitò la criniera, dette fuori un nitrito, e via con un salto, per l’aria. In un batter d’occhio cavallo e Reginotta non si videro più.
Tutti erano atterriti; non osavano fiatare. Ma in mezzo a quel silenzio scoppia a un tratto una risatina, una risatina di canzonatura!
— Ah! Ah! Ah! —
Il Re guardò, e vide il Nano che si contorceva dalle risa con quella sua gobbetta e quelle sue gambine sbilenche. Capì subito che quel cavallo fatato era opera del Nano.
— Ah! Nano, nanuccio; — gli disse pentito — se tu mi rendi la mia figliuola, essa sarà tua sposa, con mezzo regno per dote. —
Il Nano continuava a contorcersi dalle risa:
— Ah! Ah! Ah! —
E a vedergli fare a quel modo, tutta quella gente ch’era lì, cominciarono a ridere anch’essi, e poi perfino la Regina:
— Ah! Ah! Ah! —
Si tenevano i fianchi, non ne potevano più. Soltanto quel povero Re rimase così afflitto e scornato, che faceva pietà.
— Ah! Nano, nanino bello; se tu mi rendi la mia figliuola, essa sarà tua sposa con mezzo regno per dote. —
— Maestà, se dite per davvero, — rispose il Nano — prima dovete riprendervi quel che mi deste l’altra volta.
— Che cosa ti diedi?
— Un bel calcio nella schiena. —
Il Re esitava: avea vergogna di ricevere un calcio in quel posto, davanti al popolo e la corte. Ma l’amore della figliuola gli fece dire di sì.
Si rivoltò colle spalle al Nano e stette ad aspettare la pedata: però il Nano volle mostrarsi più generoso di lui; e invece di menargli il calcio, disse:
Cavallo. mio cavallo, Non metter piede in fallo; Torna sul piedistallo, Cavallo, mio cavallo. |
In un batter d’occhio, cavallo e Reginotta furono lì.
Allora il Nano disse al Re:
— Maestà, datemi un pugno sulla gobba! Non abbiate paura. —
Il Re gli diede un pugno sulla gobba e questa sparì.
— Maestà, datemi una tiratina alle gambe! Non abbiate paura! —
Il Re gli diede una tiratina alle gambine, e queste, di bòtto, si raddrizzarono.
— Maestà, afferratemi bene, la Regina per le braccia e voi pei piedi, e tiratemi forte. —
Il Re e la Regina lo afferrarono l’uno pei piedi, l’altra per le braccia, e tira, tira, tira, il Nano, da nano che era, diventò un bel giovine di alta statura.
Il Reuccio del Portogallo si persuase ch’era di troppo e disse:
— Datemi almeno quel cavallo: farò la strada più presto. —
Montò sul cavallo di bronzo, e dette le parole fatate, in un colpo sparì.
La Reginotta e il Nano (lo chiamarono sempre così) furono moglie e marito.
E noi restiamo a leccarci le dita.