Canti (1835)/Inno ai Patriarchi

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VIII. Inno ai Patriarchi, o de’ principii del genere umano

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VIII. Inno ai Patriarchi, o de’ principii del genere umano
Alla primavera Ultimo canto di Saffo

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E voi de’ figli dolorosi il canto,
Voi dell’umana prole incliti padri,
Lodando appellerà; molto all’eterno
Degli astri agitator più cari, e molto
5Di voi men lacrimabili nell’alma
Luce prodotti. Immedicati affanni
Al misero mortal, nascere al pianto,
E dell’etereo lume assai più dolci
Sortir l’opaca tomba e il fato estremo,
10Non la pietà, non la diritta impose
Legge del cielo. E se di vostro antico
Error che l’uman seme alla tiranna
Possa de’ morbi e di sciagura offerse,
Grido antico ragiona, altre più dire

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15Colpe de’ figli, e pervicace ingegno,
E demenza maggior l’offeso Olimpo
N’armaro incontra, e la negletta mano
Dell’altrice natura; onde la viva
Fiamma n’increbbe, e detestato il parto
20Fu del grembo materno, e violento
Emerse il disperato Erebo in terra.

     Tu primo il giorno, e le purpuree faci
Delle rotanti sfere, e la novella
Prole de’ campi, o duce antico e padre
25Dell’umana famiglia, e tu l’errante
Per li giovani prati aura contempli:
Quando le rupi e le deserte valli
Precipite l’alpina onda feria
D’inudito fragor; quando gli ameni
30Futuri seggi di lodate genti
E di cittadi romorose, ignota
Pace regnava; e gl’inarati colli
Solo e muto ascendea l’aprico raggio
Di febo e l’aurea luna. Oh fortunata,
35Di colpe ignara e di lugubri eventi,
Erma terrena sede! Oh quanto affanno
Al gener tuo, padre infelice, e quale
D’amarissimi casi ordine immenso
Preparano i destini! Ecco di sangue
40Gli avari colti e di fraterno scempio

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Furor novello incesta, e le nefande
Ali di morte il divo etere impara.
Trepido, errante il fraticida, e l’ombre
Solitarie fuggendo e la secreta
45Nelle profonde selve ira de’ venti,
Primo i civili tetti, albergo e regno
Alle macere cure, innalza (7); e primo
Il disperato pentimento i ciechi
Mortali egro, anelante, aduna e stringe
50Ne’ consorti ricetti: onde negata
L’improba mano al curvo aratro, e vili
Fur gli agresti sudori; ozio le soglie
Scellerate occupò; ne’ corpi inerti
Domo il vigor natio, languide, ignave
55Giacquer le menti; e servitù le imbelli
Umane vite, ultimo danno, accolse.

     E tu dall’etra infesto e dal mugghiante
Su i nubiferi gioghi equoreo flutto
Scampi l’iniquo germe, o tu cui prima
60Dall’aer cieco e da’ natanti poggi
Segno arrecò d’instaurata spene
La candida colomba, e delle antiche
Nubi l’occiduo Sol naufrago uscendo,
L’atro polo di vaga iri dipinse.
65Riede alla terra, e il crudo affetto e gli empi
Studi rinnova e le seguaci ambasce

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La riparata gente. Agl’inaccessi
Regni del mar vendicatore illude
Profana destra, e la sciagura e il pianto
70A novi liti e nove stelle insegna.

     Or te, padre de’ pii, te giusto e forte,
E di tuo seme i generosi alunni
Medita il petto mio. Dirò siccome
Sedente, oscuro in sul meriggio all’ombre
75Del riposato albergo, appo le molli
Rive del gregge tuo nutrici e sedi,
Te de’ celesti peregrini occulte
Beàr l’eteree menti; e quale, o figlio
Della saggia Rebecca, in su la sera,
80Presso al rustico pozzo e nella dolce
Di pastori e di lieti ozi frequente
Aranitica valle, amor ti punse
Della vezzosa Labanide: invitto
Amor, ch’a lunghi esigli e lunghi affanni
85E di servaggio all’odiata soma
Volenteroso il prode animo addisse.

     Fu certo, fu (nè d’error vano e d’ombra
L’aonio canto e della fama il grido
Pasce l’avida plebe) amica un tempo
90Al sangue nostro e dilettosa e cara
Questa misera piaggia, ed aurea corse

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Nostra caduca età. Non che di latte
Onda rigasse intemerata il fianco
Delle balze materne, o con le greggi
95Mista la tigre ai consueti ovili
E guidasse per gioco i lupi al fonte
Il pastorel; ma di suo fato ignara
E degli affanni suoi, vota d’affanno
Visse l’umana stirpe; alle secrete
100Leggi del cielo e di natura indutto
Valse l’ameno error, le fraudi, il molle
Pristino velo; e di sperar contenta
Nostra placida nave in porto ascese.

     Tal fra le vaste californie selve
105Nasce beata prole, a cui non sugge
Pallida cura il petto, a cui le membra
Fera tabe non doma, e vitto il bosco,
Nidi l’intima rupe, onde ministra
L’irrigua valle, inopinato il giorno
110Dell’atra morte incombe. Oh contra il nostro
Scellerato ardimento inermi regni
Della saggia natura! I lidi e gli antri
E le quiete selve apre l’invitto
Nostro furor; le violate genti
115Al peregrino affanno, agl’ignorati
Desiri educa; e la fugace, ignuda
Felicità per l’imo sole(8) incalza.