Canti (Aleardi)/Epicedio per una bimba/III. Maria

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Epicedio per una bimba - II. Amelia Epicedio per una bimba
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III.
maria.

     Oh la bara materna! Io l’ò sentita
Lenta, un vespro, passar giù nella via:
E l’angoscia che in quella ora ò patita
Non patirò nell’ultima agonia.

     Quando la salma uscì fuor della porta
Sentii la vita che dal cor mi usciva;
L’avrei meco voluta, ancor che morta,
Sempre, e adorarla, come fosse viva.

     Madre mia, tu mi fosti il primo amore,
Amor che solo il padre ebbe a rivale;
La tua fossa fu il mio primo dolore,
Dolor selvaggio, immobile, immortale.

     Sempre ò dinanzi l’ora, che le stanche
Palpebre in cerca del figliuol levasti;
E con le labbra tremolanti e bianche
Quell’ultimo tuo bacio a me donasti;

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     E mi dicesti con un fil di voce:
«Ricordati di me, che t’amai tanto.»
Piangevan tutti. Ella guardò la croce,
E passò. Io stetti in disperato pianto,

     Con la sua man di cera ne la mia,
Per quanta ora non so. So che un momento
Sentii la man che fredda divenía;
E caddi freddo anch’io sul pavimento.

     Ch’io mi ricordi? E non sai tu che spessi
Giorni venni a picchiar a la tua stanza,
Sperando ancor che tu mi rispondessi
Con quell’amor che avevi per usanza?

     Non sai che s’io sentía su la mia testa
Passeggiar due piedini pel soffitto,
Balzava a un tratto da la sedia, in festa;
Poi ricadeva dal dolor confitto?

     Ch’io ti ricordi? E non sai tu che mai
Donna non chiamo che Maria si appelli,
Che la miseria de’ tuoi lunghi guai
Nel devoto pensier non rinnovelli?

     Che dal tuo letto, donde quella sera
Spiegasti il volo che non à ritorno,
Ogni sera ti mando una preghiera
E in te riposo fin che spunta il giorno?

     Il paesello de le mie memorie
Rividi dopo molti anni passati,
E ne la mente ritessea le storie
Del mio mattino e i bei sogni beati.

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     Inavvertito peregrin d’affanno
La dolce visitai casa romita,
E nell’arida età del disinganno
Cercai le impronte de la prima vita;

     Vidi la stanza, ove la pia scendea
A risvegliarmi con l’amplesso usato,
L’ampia finestra, onde vegliar solea
Me ne’ giuochi anelante in mezzo al prato;

     Rividi i fiori, il mandorlo, il giardino,
E udir mi parve il capinero antico
Là, su la cima tremola del pino,
Che festeggiasse il ritornato amico;

     La corte, l’atrio, il focolar, le scale,
Tutto in quel mio perduto paradiso,
Quando io passava, mi diceva: vale;
Tutto avea la sua lagrima, il suo riso.

     E piansi, e piansi; e su la fossa acerba,
Arcano albergo d’infinito affetto,
Genuflesso raccolsi un filo d’erba,
Gemma fatata che mi posa in petto.

     E tu perdona, bella travagliosa,
Se al tuo dolore il mio dolor confondo;
Non avea che una corda armonïosa
Pel mio fil d’erba, e pel tuo riccio biondo.