Cartagine in fiamme/10. Verso Utica

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10. Verso Utica

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9. A colpi di frusta 11. L'abbordaggio

VERSO UTICA


La vendita a bordo dell'hemiolia era finita. Le ultime pezze di porpora, gli ultimi vasi, le ultime statuette d'avorio che ancora rimanevano nella stiva, se n'erano andate coi trafficanti cartaginesi giunti in ritardo. Hiram, che pareva un po' inquieto, passeggiava nervosamente per la tolda in compagnia di Sidone, lanciando di quando in quando uno sguardo verso l'imboccatura del porto, dove le triremi e le quinqueremi della flotta cartaginese stavano ancorate, sorvegliando sospettosamente le navi fenicie e greche, che entravano ed uscivano.

Si sarebbe detto che fiutava il pericolo e che aveva indovinato il tradimento che Hermon gli preparava, quantunque non avesse veduto, almeno fino a quel momento, nulla di straordinario a bordo della flotta repubblicana.

— Padrone, — disse l'hortator che l'accompagnava nella sua passeggiata, — non mi sembri tranquillo questa sera. Che cosa temi? Un uragano? È bensì vero che sorge laggiù, verso ponente, una nuvola nera coi margini rossi che porterà indubbiamente dei salti di vento, tuttavia non sarà tale da mettere a duro cimento la nostra hemiolia. Sono quarantanni che navigo e mai mi sono trovato più sicuro che sulla tua nave.

— Non è quella nuvola che m'inquieta — rispose Hiram scuotendosi.

— Che cosa adunque?

— Non so, mi sento irrequieto.

— Chi puoi temere?

— Ho tristi previsioni.

— Fra tre ore saremo lontani dal porto e non so quale trireme potrebbe raggiungerci. Le braccia dei nostri numidi sono più resistenti del bronzo. E poi che cos'hai notato di sospetto nel porto? Nulla. D'altronde il solo uomo che avrebbe potuto tradirti tu lo hai ucciso.

— Cacciato in mare, ma non ucciso.

— È la stessa cosa — disse Sidone.

— Oh no!... Sarei stato più sicuro se la mia daga gli avesse spaccato il cuore.

— Col vento che soffiava la scorsa notte e colle onde che il Mediterraneo avventava contro la costa, nessun uomo si sarebbe potuto salvare.

— Melkarth talvolta compie dei miracoli.

— Sarebbe sciocco se proteggesse dei birboni di quella specie — rispose Sidone.

Hiram che si era fermato sulla prora, guardando le gettate del porto che a poco a poco diventavano invisibili, tramontando rapidamente il sole, stava per volgersi, quando i suoi occhi si fissarono su tre punti bianchi che varcavano, ad una considerevole altezza, i muraglioni e le bastionate della città.

— Guarda — disse a Sidone, tendendo un braccio.

— Che cosa signore?

— Sono piccioni, è vero?

— Sì, e che cosa vi trovi di strano? I fenici ne vendono tanti ai cartaginesi!

— Lo so, eppure si direbbe che il mio cuore batte più forte del solito.

— Forse perché Ophir si è servita di quei gentili messaggeri per mandarti un saluto e fissarti un appuntamento — disse l'hortator, sorridendo.

— E se fossero quelli che io ho regalati a lei?

— Sono ancora troppo lontani per riconoscerli per nostri. E poi perché la donna da te amata li rimanderebbe così presto?

— Sai tu che cosa può accadere nella casa del vecchio Hermon?

— Per Melkarth! — esclamò Sidone. — Si dirigono precisamente qui!...

— Il cuore me lo diceva che quei piccioni erano miei. Non recheranno una buona novella, ne sono certo.

— Potrebbero invece recare un affettuoso saluto di Ophir o della etrusca.

— No, Sidone: qualche pessima nuova invece.

I piccioni che erano tre, avevano varcato, tenendosi a grande altezza, gli ultimi bastioni e si dirigevano velocemente verso la nave, tenendosi a breve distanza l'uno dall'altro.

Hiram li seguiva attentamente collo sguardo, tenendosi una mano sul cuore come se avesse voluto frenarne i battiti.

L'ultimo barlume di luce era scomparso quando i tre colombi calarono, tubando, sulla coperta della nave, dinanzi a Hiram.

— Una lampada, Sidone! — gridò il capitano, prendendone uno e frugandolo sotto le ali.

Trovò subito un piccolo rotolo che strinse fra le mani. Sidone tornava in quel momento con la lampada.

— Prendi gli altri, tu — disse Hiram svolgendo il minuscolo papiro.

— Non pensano a scappare — rispose Sidone. — Si trovano troppo bene a bordo della nostra hemiolia.

— Per Baal-Molok e Tanit!...

— Che cos'hai padrone?

— È la morte che ci minaccia.

— Dici?

— Che sono stato scoperto e che questa notte ci daranno battaglia.

— Chi?

— Le triremi della repubblica!

— A noi?

— Sì, Sidone.

— Ah!... A noi daranno battaglia? Ebbene, signore, noi la daremo a loro. Siamo pochi, ma tutti decisi a vendere caramente la vita e saldi come blocchi di granito.

— Phegor!

— Che?... Ancora quell'uomo?...

— È lui che comanderà la flotta.

— Non è morto dunque quel cane?

— No... è col vecchio Hermon.

— Per Astarte!... è uno spirito maligno costui? Ancora vivo?...

— Sì.

— Eppure tu l'hai cacciato in mare.

— Ed il mare l'ha ricacciato a terra.

— Il mio primo colpo d'ascia sarà per lui e vedremo se tornerà in vita. Che cosa ti scrive Ophir dunque?

— Che io sono stato scoperto e che fugga prima che la flotta della repubblica mi chiuda il passo del Mediterraneo.

Sidone fece colle mani portavoce urlando:

— A posto i remiganti!... In coperta le armi!

I cinquanta numidi che stavano mangiando a prora, gettarono le scodelle di terra sopra i bordi e si dispersero come uno stormo di passeri. In un baleno portarono sulla tolda scudi, archi, fasci di frecce, poi trenta uomini passarono sotto il ponte, allungando, attraverso le aperture, i remi.

— Tagliate le gomene! — gridò Sidone. — Lasciate perdere le ancore!... Voga!...

L'hemiolia si era discostata dalla riva. Pochi minuti erano bastati per prepararsi al combattimento.

Hiram aveva indossata rapidamente la corazza ed era salito sulla panca dell'hortator, guardando attentamente verso la bocca del porto. Le triremi che fino allora si erano tenute lungo le gettate, avevano pure lasciate andare le ancore e si raggruppavano davanti il canale. Un ordine improvviso doveva aver avvisati gli equipaggi che qualche cosa di grave stava per accadere nel porto dei mercanti.

— Le vedi, Sidone? — chiese Hiram all'hortator che lo aveva raggiunto.

— L'avviso è giunto a tempo, forse un po' troppo tardi — rispose il numida. — Si preparava un altro agguato e questa volta non a terra, bensì sul mare. La cosa è grave, ma non disperata. Il nostro rostro è solido e darà dentro alle triremi come una catapulta.

— Sono molte, Sidone.

— Se verranno all'abbordaggio getteremo i corvi romani e vedremo se quei mercenari terranno testa ai nostri numidi. Le nostre asce da guerra, maneggiate dalle nostre poderose braccia, apriranno una spaventevole breccia in quella massa di carne straniera. Ti pare, signore?

Hiram non rispose: guardava le navi della repubblica che lentamente si concentravano davanti la bocca del porto, formando due file profonde e formidabili.

Erano dodici o quattordici navi molto più grosse dell'hemiolia, somiglianti alle famose navi romane, fornite tutte di tre di quattro e perfino di cinque ordini di remi, vere navi di linea, fornite sul ponte di piccole torri che dovevano servire agli arcieri.

— Preparate i corvi! — gridò Hiram.

I corvi, invenzione romana che i fenici si erano affrettati ad adottare, dopo la strepitosa vittoria riportata dalle quinqueremi della repubblica italiana a Milazzo da C. Duilio contro i cartaginesi, altro non erano che ponti volanti, muniti di arpioni di ferro.

Servivano ad arrestare le navi nemiche in piena corsa, onde impedire a loro di servirsi del rostro e permettere agli equipaggi di montare all'abbordaggio e d'impegnare un combattimento corpo a corpo.

Quei ponti avevano servito a meraviglia ai legionari romani, poco pratici ancora del mare ed avevano fino nella prima battaglia navale, data una tremenda batosta alle navi cartaginesi, che allora erano state reputate invincibili. Ed infatti a Milazzo, dove i romani per la prima volta si erano trovati di fronte ai loro nemici, padroni assoluti del Mediterraneo, quantunque non navigatori, con cento e venti vascelli, venti triremi e cento quinqueremi, avevano vinto completamente, mercé i loro corvi, le centotrenta navi cartaginesi, espugnandone ottanta.

I numidi rimasti sulla tolda, al comando d'Hiram, avevano subito issato quattro corvi, sospendendoli agli alberi che avevano prontamente messi a posto, essendo smontabili.

Sidone aveva preso posto sulla panca dell'hortator, impugnando una mazza di legno e mettendosi dinanzi un disco di bronzo per regolare la battuta dei remiganti.

— Siamo pronti? — domandò.

— Tutti — rispose Hiram. — Voga!

L'hemiolia si scosse sotto i primi colpi di remo, poi prese la corsa verso il canale che metteva il porto mercantile in comunicazione col Mediterraneo. Come se quello fosse stato il segnale, la squadra della repubblica si era pure mossa.

Erano dodici navi lunghe, con tre o con cinque ordini di remi, lunghi da sedici a diciotto metri, la lunghezza massima che avevano in quel tempo i legni di battaglia, tutte munite di rostro assai aguzzo e fornite d'alberi smontabili che avevano delle vele di pelli di capra, che non venivano usate negli scontri, essendo poco maneggevoli in causa della loro attrezzatura molto imperfetta. Le seguivano tre navi di mole molto minore, simili alle acatium romane, ottime veliere usate però per lo più dai pirati dell'Arcipelago greco e che facevano l'ufficio dei nostri moderni avvisi.

— Sidone, — gridò Hiram; — si preparano a darci addosso e sventrarci a colpi di rostro.

— E noi daremo contro di loro — rispose l'hortator senza cessare di battere il tempo. — Anche noi abbiamo un rostro e ce ne serviremo, padrone. Ordina ai tuoi uomini della coperta di prendere le asce e di tenersi dietro ai corvi. Vi sarà da menar le mani e per bene.

— Per questo non inquietarti — rispose Hiram, staccando dalla murata una pesante ascia di bronzo. — Tu pensa ad evitare i rostri; dell'abbordaggio mi occupo io e ti garantisco che nessun mercenario porrà i suoi piedi sulla coperta della mia hemiolia se...

Un grido partito dalla triremi più vicina della squadra cartaginese, lo interruppe bruscamente.

— Ritirate i remi!... Ordine del Consiglio dei Centoquattro e dei Suffetti!

Hiram salì sulla panca dell'hortator onde mettersi bene in vista e chiese:

— Che cosa volete voi? È con noi che parlate?

La medesima voce di prima ripetè: — Ritirate i remi!...

— Ah! — esclamò Hiram facendo un gesto di rabbia. — Ancora quel cane di Phegor!... Nemmeno il mare lo ha voluto!...

— Obbedite! — gridò la spia.

— A chi? — chiese Hiram con voce ironica.

— All'ordine del Consiglio.

— I mercanti di Tiro non riconoscono che il loro Consiglio. Ho fretta di uscire dal Mediterraneo per approfittare del vento che soffia da ponente.

— Questa notte nessuna nave, amica o straniera, può lasciare il porto.

— Chi me lo impedirà?

— La squadra della repubblica.

— Non mi riguarda, né mi preoccupa, signor Phegor risuscitato. Largo o darò dentro col mio rostro alle tue navi.

Un riso stridente fu la risposta.

— Mi hai capito, Phegor, cane d'una spia! — gridò Hiram furibondo.

— Ah!... Mi hai riconosciuto?... Ti pagherò ora il colpo di daga che volevi darmi ed il salto che mi hai fatto fare in mare!... Voga e date dentro col rostro.

— A te, Sidone! — gridò Hiram.

L'hortator scagliò lungi il martello che gli serviva per regolare la battuta e respinse l'uomo che teneva il lunghissimo remo che serviva allora da timone, poi alzando la voce comandò:

— A tutta voga!... Pronti ai corvi!

La nave comandata da Phegor, una grossa quinqueremi, s'avanzava velocissima contro l'hemiolia per sfondarle la prora.

Giunta a trenta metri, gli arcieri che stavano dietro le murate e dentro le torrette, scagliarono un nembo di frecce incendiarie, le quali solcarono le tenebre sibilando e lasciandosi dietro nembi di scintille.

Parecchie si piantarono nei fianchi dell'hemiolia, ma i venti numidi che stavano nascosti dietro ai corvi sollevati, furono pronti a spegnerle con mastelli d'acqua già preparati in gran numero dietro le murate. Nell'istesso momento Sidone, con un poderoso colpo di timone gettava la nave fuori di linea, onde non venisse colpita dal poderoso rostro della quinqueremi che già la minacciava da vicino.

— A te, padrone! — urlò poscia. — Da' dentro!

Non vi era più bisogno poiché l'hemiolia, abilmente guidata dal vecchio pilota, era scivolata lungo il tribordo della quinqueremi, evitando così l'abbordaggio che poteva riuscire funesto ai numidi.

— Ti saluto Phegor, — gridò Hiram scagliando, a tutta forza, la sua pesante ascia di guerra sulla nave nemica e con tale precisione da fracassare l'elmetto e anche la testa dell'hortator di quella nave; — seguimi in mare ora se lo potrai!

La lotta non era però ancora finita, anzi era appena cominciata, poiché la squadra intera si precipitava sull'hemiolia come una muta di molossi contro un cinghiale.

Frecce incendiarie solcavano l'aria in tutte le direzioni, minacciando di mettere a fuoco la nave d'Hiram, accompagnate da una tempesta di giavellotti e di asce scagliate con grande furia.

— Sidone! — gridò Hiram.

— Non temere, signore — rispose il pilota. — Voga!... Voga!... Sfondiamo.

L'hemiolia, malgrado si trovasse di fronte un nemico così poderoso, che l'assaliva da tutte le parti, avanzava sempre con tale audacia da fare stupire i mercenari che s'accalcavano sui ponti delle quinqueremi e delle triremi.

Sidone, che non aveva eguali nel maneggio del lungo remo, che serviva da timone, la guidava con mano di ferro, cacciandola là dove vedeva un passaggio. Intanto Hiram ed i suoi venti uomini che stavano dietro ai corvi rialzati rispondevano vigorosamente saettando i nemici con frecce, con frombole e con azze, urlando come belve feroci per farsi credere in maggior numero.

— Coraggio numidi! — gridava Hiram. — Noi passeremo!... Voga!

I remiganti che stavano sotto coperta, non avevano bisogno di essere animati. I loro remi percuotevano l'acqua con rumore, imprimendo all'hemiolia degli sbalzi impetuosi.

Ad un tratto un acatium, una di quelle piccole veliere, che come abbiamo detto servivano d'avviso, staccatasi dal grosso della squadra, si gettò risolutamente sull'hemiolia, chiudendole il passo nel momento in cui stava per sgusciare fra le quinqueremi, che giungevano troppo tardi all'attacco.

— Sidone! — aveva gridato Hiram che pur combattendo ferocemente non perdeva di vista, un solo istante, le navi nemiche.

— La vedo, padrone — aveva prontamente risposto l'hortator, che conservava una calma meravigliosa. — Il nostro rostro è a prova di scoglio e l'affonderemo!

Con un improvviso colpo di remo fece deviare la nave, poi la lanciò diritta sull'acatium che pareva risoluto a non lasciare il posto.

— Un colpo supremo! — urlò Sidone. — Dentro a tutta forza, remiganti.

L'hemiolia con un vero sbalzo piombò addosso alla piccola nave colpendola, con forza inaudita, un po' dinanzi la ruota di prora.

Il rostro, un gigantesco punzone di bronzo, che emergeva a fior d'acqua, descrivendo una leggera curva, e d'una solidità a tutta prova, investì poderosamente, sfondando di colpo, sette od otto madieri.

Un urlo di spavento s'alzò a bordo del piccolo legno, mentre i remiganti numidi davano la contro battuta per liberare il rostro che si era cacciato profondamente nel ventre del veliero.

Sidone con un altro colpo di remo fece filare l'hemiolia dinanzi la prora dell'acatium e la diresse verso il canale che era allora vicinissimo. Gli equipaggi delle quinqueremi vedendola fuggire, virarono di bordo, tempestandola nel medesimo tempo con ogni sorta di proiettili. Imbarazzate però dai remi che si urtavano gli uni cogli altri, essendo quasi bordo contro bordo, le navi della squadra si arenavano vicendevolmente, perdendo via. — Voga!... Voga ora!... Lunga la battuta! — urlava Sidone. L'hemiolia filò come un fulmine fra le navi lunghe ed imboccò il canale fra le urla furiose degli equipaggi nemici che vedevano ormai sfuggirsi quella preda che credevano facilmente di rinserrare come entro un cerchio di ferro e di colarla a fondo o per lo meno d'incendiarla.

Hiram, scagliata un'altra azza sul ponte della nave più vicina, fracassando l'elmetto ad un arciere che stava per lanciare una freccia incendiaria, si era precipitato verso Sidone che rideva a crepapelle.

— Ti dobbiamo la vita — gli disse.

— Semplice manovra di buon pilota — rispose l'hortator. — Non credere però che tutto sia finito, padrone. Soffia brutto vento sul Mediterraneo, tuttavia sono sicuro che qualche nave ci perseguiterà fino a Utica, per sapere almeno dove andremo a rifugiarci. Cercheremo d'ingannarli e li faremo correre, se ci sarà possibile, fino a Malta.

— Credi che ci daranno la caccia?

— Non ho alcun dubbio su ciò. Guarda, padrone, se io m'inganno. Ecco una quinqueremi che imbocca a gran furia il canale e che ci viene dietro. Non ci lascerà finché non ci vedrà approdare.

— Ma io non voglio che si sappia che noi ci rechiamo a Utica — disse Hiram. — Noi dobbiamo sorprendere il vecchio Hermon ed il fidanzato di Ophir.

— Non vi è che un solo mezzo allora.

— Quale?

— Di trascinare in alto mare, il più lungi che ci sarà possibile dalla costa, quella quinqueremi e di offrirle un combattimento in piena regola. I nostri corvi che i cartaginesi non hanno ancora voluto adottare, malgrado le lezioni durissime avute dai romani, serviranno a qualche cosa.

— Gliela daremo quantunque le quinqueremi abbiano ordinariamente un equipaggio numeroso.

— Quattro volte il doppio del nostro, signore.

— Non siamo uomini da spaventarci.

— Taci, padrone: il passo è pericoloso con questa velocità e potrebbe darsi il caso che altre navi incrocino dinanzi a noi.

L'hemiolia, che non aveva rallentata la corsa, stava per uscire nel Mediterraneo. Il passaggio che metteva nel porto mercantile di Cartagine era stretto e anche ben difeso da torri massicce, tuttavia Sidone non se ne preoccupava gran che. Prima che i mercenari, che erano a guardia di quelle salde costruzioni si fossero radunati, l'hemiolia poteva trovarsi fuori di portata delle loro frecce incendiarie e dei massi scagliati dalle catapulte.

Ed infatti le grida d'allarme lanciate dagli equipaggi della squadra erano appena echeggiate, che già la nave d'Hiram passava come una saetta dinanzi alle ultime difese, lanciandosi sulle onde del Mediterraneo. Come Sidone aveva predetto, soffiava cattivo vento fuori del porto. Il simun, durante il pomeriggio, aveva ripresa novella forza e lanciava le sue raffiche sul mare, sollevando delle grosse ondate, le quali si accavallavano rabbiosamente con mille muggiti.

— Brutta notte per approdare a Utica — disse Sidone a Hiram.

Questi non rispose: il suo sguardo seguiva una massa nera che usciva in quel momento dal canale, a sbalzelloni.