Clelia/II

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II. — Attilio

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I III

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CAPITOLO II.

ATTILIO.

Di faccia allo studio di Manlio, ve n’era un altro: quello dove lavorava Attilio. Dalle sue finestre questi aveva potuto vedere la Clelia; appunto così s’era acceso per lei di altissimo affetto.

Clelia vinceva di beltà le più leggiadre donzelle di Roma, e forse era altera e non vaga di amori — ma quando occhio di donna s’era fiso per una volta sola nell’occhio del nostro Attilio — ed aveva osservato la sua bella persona — per duro e cinto di triplice acciaio che fosse il cuore di lei, doveva commuoversi di ammirazione e di simpatia.

Un lampo dell’occhio scambiatosi da que’ due era bastato a fissare il loro destino per tutta la vita.

Ora Attilio avendo il suo santuario davanti allo studio ov’egli passava quasi intera la giornata — molte volte fissava lo sguardo ad una finestra del primo piano ove Clelia lavorava [p. 8 modifica] colla madre, e donde la luce elettrica dell’occhio suo incontravasi quasi di concerto — con quella del suo prediletto.

Attilio quella sera, aveva osservato il barcheggiare dello scherano — lo aveva riconosciuto per manutengolo di qualche pezzo grosso, e l’occhio suo penetrante — dallo indietreggiare — dalla titubanza — e dall’irresoluto contegno di lui — istintivamente aveva augurato male per la sorte della bella fanciulla. Imperocchè i pochi eletti della popolazione romana sanno ciò che si possa aspettare dai settantadue1: tanto più corrotti e lascivi quanto più son ricchi e potenti non mirano alla bellezza ed all’innocenza che per profanarle.

Non aveva Gianni fatto ancora cento passi all’ingiù verso la Lungara — che il nostro amico già si trovava sulle sue peste seguendolo con aria sbadata — come chi nulla avendo da fare si ferma a contemplare tutte le curiosità che scopre sul davanti delle botteghe e sui frontespizi dei templi e dei monumenti, di cui ad ogni passo è ornata la meravigliosa metropoli del mondo.

E lo seguiva Attilio — col presentimento di seguire un ribaldo — uno stromento [p. 9 modifica] d’infamia la cui meta fosse quella di rovinare la sua donna. Lo seguiva — Attilio — tastando il manico di un pugnale che teneva nascosto in seno. —

Vedi presentimento! — L’aspetto di uno sconosciuto veduto per la prima volta e per un solo istante — di uno sconosciuto volgare — aveva svegliato in quell’anima di fuoco una sete di sangue, in cui si sarebbe bagnato con voluttà da cannibale.

E ritastava il pugnale — arma proibita, arma italiana che lo straniero condanna — come se la bajonetta o la scimitarra bagnate da lui tante volte nel sangue innocente — sieno armi più nobili d’un pugnale immerso nel petto d’un assassino o confitto in quello d’un tiranno.

Gianni fu veduto da Attilio entrare nella casa ov’egli contrattava la stanza per Cencio — e quindi fu visto avviarsi — e penetrare nel vestibolo del superbo palazzo Corsini — ove abitava il suo padrone.

«È dunque Don Procopio l’uomo» — disse tra sè il nostro eroe — Don Procopio il favorito ed il più dissoluto della caterva dei masnadieri principi di Roma — e andò innanzi immerso nelle sue riflessioni.


Note

  1. I 72 Cardinali — son chiamati così dal popolo di Roma.