Clelia/XXVIII

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XXVIII. — La Ritirata

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XXVII XXIX

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CAPITOLO XXVIII.

LA RITIRATA.

Dopo l’avvenuto nelle Terme di Caracalla; la posizione d’Attilio, e de’ suoi amici divenne ben pericolosa. — Il traditore area pagato il fio con la sua vita; — i cagnotti del Governo — avevano avuto la peggio. — ma la polizia era sulle traccie della cospirazione — e certo ne conosceva, od almeno ne sospettava i capi.

Se gli amici di fuori fossero stati pronti — come lo erano i romani — nella stessa notte del 15 febbrajo — si poteva farla finita coi preti — e lo si poteva in qualunque altro giorno. — Ma i moderati sempre paurosi ed indissolubilmente legati al carro dei potenti — non volevano saperne di menar le mani — e volevano a qualunque costo aspettare — la manna dal cielo — e dal beneplacito dello straniero — la libertà della patria.

Che importava loro del decoro nazionale? del sogghigno beffardo di tutte le nazioni Europee — di provincie compre coll’oro, e [p. 152 modifica] coll’oro vendute? Essi — avviticchiati ai lucri ed agli impieghi — eran sordi a qualunque proposito generoso che potesse compromettere l’Eldorado1 a loro consegnato dalla Rivoluzione, che altro per sè non volle che il bene e l’unità nazionale. Quindi l’Italia da tanti secoli divisa, depredata, avvilita, corrotta da quella caterva di jene in sottana — si trova oggi ancella ringiovanita — riportata all’altare del sacerdozio di Satana — a rinnovare l’antico bacio della pantofola.

I porporati — assoldatori di briganti — tornarono alle grasse prebende — il popolo alle solite miserie — ed i valorosi che bagnarono del loro sangue tutte le terre italiane — obbligati a ripigliare la via dell’esilio, ad errare nelle foreste per sottrarsi alle vendette dei preti.

Tale era la condizione di Roma nei primi mesi di quest’anno 1867 — in cui si vedevano mercenarii stranieri — sostituiti da altri mercenarii — ancora peggiori — impossessarsi della città nostra; — si vedeva l’Italia prostrata ai cenni di un devoto assassino — rinnegare Roma e le sue glorie per compiacergli — e potendo viver bella, rigenerata, rigogliosa, [p. 153 modifica] sorta colla superba aureola di libertà e d’indipendenza — sì caramente acquistata per virtù de ’ suoi figli — la si vedeva ravvoltolarsi spudoratamente nel fetido brago dei corruttori e persecutori del genere umano.

Ma torniamo indietro al nostro racconto.

Una sera dei primi di marzo — in una stanzaccia sul di dietro della casa di Manlio in Trastevere — s’eran riuniti, Attilio. Muzio e Silvio per conferire sul da farsi. — Dal 15 febbrajo eran rimasti in Roma per tentare la fortuna — ma la fortuna di Roma era intricata in un labirinto tale — che tutto il generoso patriottismo dei nostri giovani eroi — e de’ loro trecento bellicosi compagni, non poteva trovarne l’uscita.

«Oggi;» diceva Attilio; «non v’è più merito a dar la vita per il proprio paese — quando è santificato il principio del non fare per non disturbare il bell’andamento di cose ordite dal moderantume. — I nostri amici di fuori sonosi rappattumati vergognosamente con questi nemici d’Italia — ma noi! ... come lo potremo mai? Potremo noi vivere in famiglia e concordi cogli scellerati, che ci venderebbero cento volte allo straniero — che corruppero — che depravarono questa nostra città e la prostituirono [p. 154 modifica]come solo loro sono capaci di prostituire — che arsero i nostri padri — che stuprarono le nostre vergini — che fecero della nostra Roma, un bordello! una cloaca!!!»

Attilio fuori di sè alzava la voce oltre misura — onde Silvio più pacato — gli disse: «Parla sommesso, fratello — tu sai come siamo perseguiti — e non è difficile che nei dintorni di questa casa — vi sieno sgherri appiattati. — Qui già non si può più stare — lasciamo Regolo incaricato delle cose nostre in città — e prendiamo la campagna — là, non mancano amici — i coraggiosi vivono dovunque — lasciamo che Italia si stanchi d’essere ludibrio di queste sue mignatte in maschera liberale — di questi mercanti di uomini — tra l’impostura e il dispotismo!» — «Andiamo!» continuò Silvio dopo un istante di pausa, durante la quale pareva che un’ignota forza volesse collocarsi fra lui e il suo divisamento. «I nostri nemici ci chiameranno briganti — avventurieri — come ci chiamarono nella gloriosa spedizione di Marsala — che importa? — come allora, noi tuteleremo la libertà di questa nostra patria infelice — e marceremo alla riscossa — quando essa voglia davvero emanciparsi dalla tirannide.»

  1. Paese dell’oro.