Codice cavalleresco italiano/Libro III/Capitolo I
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I.
Generalità.
Lo sfidato, nominati i suoi rappresentanti, comunica loro l’indirizzo e l’ora del convegno indicato da quelli dello sfidante.
I rappresentanti dello sfidato devono trovarsi al convegno nel luogo e nell’ora indicati.
Il mancato intervento loro al convegno stabilito, se non giustificato, deve ritenersi come rifiuto di riparazione cavalleresca, e l’offeso la ricercherà nel verbale dei rappresentanti o nel verdetto di un giurì o della Corte d’onore.
Riunitisi i quattro rappresentanti, prima di regolare i patti dello scontro, esaminano i termini della querela e giudicano, giusta la pratica, se la vertenza possa dar luogo ad una riparazione d’onore, senza l’appello esclusivo alla sorte delle armi. Qualora non si potessero accordare sul genere e misura di codesta riparazione, si appelleranno a un giurì o alla Corte d’onore.
Nota. — Tesi sostenuta anche da Bellini, IV, III. Primo debito dei rappresentanti è quello di un retto giudizio sulla natura della controversia, d’onde una missione pacifica.
La missione dei rappresentanti è una missione di pace. Amici del duellante, che chiamò il loro intervento, è fuor di dubbio che prima d’ogni altra cosa devono gettare acqua sull’incendio suscitato dall’oltraggio e di ridonare la calma agli animi turbati.
Quando invece, lungi dal far richiamo alla pace, istigassero contrariamente alla missione loro, gli avversari alla pugna, mancherebbero ad un loro dovere naturale e mal si opporrebbero, se cercassero trincerarsi dietro un falso e malinteso punto d’onore per una speciale protezione della legge, che considera il duello come un reato sui generis. L’obbligo loro, adunque, è quello di raggiungere lo scopo di una soddisfazione d’onore senza far uso delle armi, e ciò otterranno, appunto, con concessioni reciproche, che, senza menomare l’onore e la dignità delle parti, tendano alla pacifica soluzione della vertenza, o per lo meno ne facilitino le delicate trattative.