Comunicare il museo con i social media: il caso Caltagirone/Capitolo1/Paragrafo1 1 2

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Paragrafo 1.1.2 Relazione tra pubblico e privato

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Chiunque di noi è o può diventare proprietario, e quindi “gestore” di qualcosa, anche se si tratta di un museo. Certamente è scontato che dietro l’etichetta di “proprietario”, pubblico o privato che sia, si celano diversi fini da raggiungere; ad esempio se parliamo del museo, ben capiamo che, in teoria, il fine essenziale di un ipotetico proprietario sia quello di valorizzare, divulgare, conservare e studiare a tutti i costi il suo patrimonio artistico – culturale. Però, oggigiorno accade che i musei si trovano a dover affrontare una situazione molto difficile e insostenibile, soprattutto in Italia, caratterizzata dai tagli dei fondi destinati ai musei “pubblici” e dall’oneroso finanziamento di quella ricerca scientifica che deve smettere, come invece avviene di solito, di essere “thechnology driven” ma diventare “concept driven” e “case based” (Antinucci, 2007). Facendo un breve excursus, noteremo che i musei richiedono vari finanziamenti. Infatti in Francia i musei nazionali più notevoli vengono abbondantemente finanziati dal governo centrale di Parigi” (N. Kotler, P. Kotler, 2004). In altre zone d’Europa i musei sono solitamente “sostenuti da una combinazione di fondi governativi nazionali e locali, di donazioni e di elargizioni private” (N. Kotler, P. Kotler, 2004, p. 63). Invece in Gran Bretagna la gran parte dei musei è sovvenzionata dalle amministrazioni locali e i musei nazionali, localizzati in particolar modo a Londra, ricevono delle somme stanziate dal Parlamento (N. Kotler, P. Kotler, 2004). Al contrario negli Stati Uniti “il quadro dei finanziamenti ai musei […] è articolato, dal momento che combina il sostegno fornito dal settore pubblico con quello fornito dal settore privato e include assegnazioni, sussidi, sgravi fiscali, singole donazioni provenienti da fondazioni e grandi società e utile guadagno” (N. Kotler, P. Kotler, 2004, p. 64). In Italia siamo in una situazione affatto diversa, in cui i musei sono in prevalenza di proprietà pubblica e a loro volta “la ricerca di risorse è meno impellente e le finalità didattiche e conservative sono attribuite istituzionalmente ai musei” (N. Kotler, P. Kotler, 2004, p. XXIV). Detto ciò possiamo constatare che Francia e Italia sono le nazioni con il più alto numero di musei che ricevono finanziamenti pubblici, mentre negli Stati Uniti questi “debbono trovare soprattutto tra i privati le risorse necessarie” (N. Kotler, P. Kotler, 2004, p. XXIII). Dunque possiamo parlare di musei pubblici/imprese pubbliche ed è per questo motivo che è stato elaborato il concetto di “effetto trasparenza” (Ricciardi, 2008) in cui noi cittadini, i principali sponsor di queste imprese, abbiamo il diritto di sapere quanto costano. Ma le variazioni degli ultimi anni – la carenza delle risorse pubbliche e la disponibilità dei privati ad essere coinvolti nell’istituzione museale – stanno creando una situazione nuova che “non è nemmeno più riconducibile al modello tradizionale di museo statale” (N. Kotler, P. Kotler, p XXIV). Perciò, ricollegandoci alla domanda iniziale, possiamo affermare che, se da un lato non si può più parlare di soli fondi pubblici o di fondi privati, dall’altro possiamo attestare che i musei attualmente hanno un sostanziale bisogno della stretta cooperazione tra il pubblico e il privato. A dimostrazione è il neonato modello pubblico – privato del Museo Egizio di Torino, inaugurato recentemente, l’1 Aprile 2015; e in questa occasione il Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini ha esaltato tale modello di gestione che però è troppo poco applicato in Italia (Contaldo, 2015).