Paragrafo 1.1.2 Relazione tra pubblico e privato
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24 ottobre 2017
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<dc:title> Comunicare il museo con i social media: il caso Caltagirone </dc:title>
<dc:creator opt:role="aut">Alessandro Annaloro</dc:creator>
<dc:date>2015</dc:date>
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Comunicare il museo con i social media: il caso Caltagirone - Paragrafo 1.1.2 Relazione tra pubblico e privato Alessandro Annaloro2015
Paragrafo 1.1.2 Relazione tra pubblico e privato
Chiunque di noi è o può diventare proprietario, e quindi
“gestore” di qualcosa, anche se si tratta di un museo.
Certamente è scontato che dietro l’etichetta di “proprietario”,
pubblico o privato che sia, si celano diversi fini da raggiungere;
ad esempio se parliamo del museo, ben capiamo che, in teoria, il
fine essenziale di un ipotetico proprietario sia quello di
valorizzare, divulgare, conservare e studiare a tutti i costi il suo
patrimonio artistico – culturale.
Però, oggigiorno accade che i musei si trovano a dover
affrontare una situazione molto difficile e insostenibile,
soprattutto in Italia, caratterizzata dai tagli dei fondi destinati ai
musei “pubblici” e dall’oneroso finanziamento di quella ricerca
scientifica che deve smettere, come invece avviene di solito, di
essere “thechnology driven” ma diventare “concept driven” e
“case based” (Antinucci, 2007). Facendo un breve excursus, noteremo che i musei richiedono
vari finanziamenti. Infatti in Francia i musei nazionali più notevoli
vengono abbondantemente finanziati dal governo centrale di
Parigi” (N. Kotler, P. Kotler, 2004).
In altre zone d’Europa i musei sono solitamente “sostenuti da
una combinazione di fondi governativi nazionali e locali, di
donazioni e di elargizioni private” (N. Kotler, P. Kotler, 2004, p.
63).
Invece in Gran Bretagna la gran parte dei musei è
sovvenzionata dalle amministrazioni locali e i musei nazionali,
localizzati in particolar modo a Londra, ricevono delle somme
stanziate dal Parlamento (N. Kotler, P. Kotler, 2004).
Al contrario negli Stati Uniti “il quadro dei finanziamenti ai
musei […] è articolato, dal momento che combina il sostegno
fornito dal settore pubblico con quello fornito dal settore privato
e include assegnazioni, sussidi, sgravi fiscali, singole donazioni
provenienti da fondazioni e grandi società e utile guadagno” (N.
Kotler, P. Kotler, 2004, p. 64).
In Italia siamo in una situazione affatto diversa, in cui i musei
sono in prevalenza di proprietà pubblica e a loro volta “la ricerca
di risorse è meno impellente e le finalità didattiche e
conservative sono attribuite istituzionalmente ai musei” (N.
Kotler, P. Kotler, 2004, p. XXIV).
Detto ciò possiamo constatare che Francia e Italia sono le
nazioni con il più alto numero di musei che ricevono
finanziamenti pubblici, mentre negli Stati Uniti questi “debbono
trovare soprattutto tra i privati le risorse necessarie” (N. Kotler,
P. Kotler, 2004, p. XXIII). Dunque possiamo parlare di musei
pubblici/imprese pubbliche ed è per questo motivo che è stato
elaborato il concetto di “effetto trasparenza” (Ricciardi, 2008) in
cui noi cittadini, i principali sponsor di queste imprese, abbiamo il
diritto di sapere quanto costano.
Ma le variazioni degli ultimi anni – la carenza delle risorse
pubbliche e la disponibilità dei privati ad essere coinvolti
nell’istituzione museale – stanno creando una situazione nuova
che “non è nemmeno più riconducibile al modello tradizionale di
museo statale” (N. Kotler, P. Kotler, p XXIV). Perciò, ricollegandoci alla domanda iniziale, possiamo
affermare che, se da un lato non si può più parlare di soli fondi
pubblici o di fondi privati, dall’altro possiamo attestare che i
musei attualmente hanno un sostanziale bisogno della stretta
cooperazione tra il pubblico e il privato. A dimostrazione è il
neonato modello pubblico – privato del Museo Egizio di Torino,
inaugurato recentemente, l’1 Aprile 2015; e in questa occasione
il Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini ha esaltato tale
modello di gestione che però è troppo poco applicato in Italia
(Contaldo, 2015).