Condizioni politiche e amministrative della Sicilia/I/2

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Le provincie infestate dai malfattori

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§ 18. - Aspetto generale delle campagne nell'interno dell'Isola.

L'unica linea ferroviaria, che adesso faccia capo a Palermo, è quel tronco che va a perdersi nel centro della Sicilia. Si spera che sarà fra breve congiunto con quello che parte da Girgenti, e, in un tempo più lungo coll'altro che, staccandosi a Catania dalla linea littorale Messina-Siracusa, giunge adesso fino a Caltanissetta. Partendo da Palermo, la linea fino a Termini corre parallelamente al mare, attraverso una campagna incantevole e popolata, stretta per lo più tra le colline e il mare, e piena di giardini di agrumi, di orti piantati d'alberi fruttiferi, di vigne ammirabilmente ben tenute, di uliveti.

Dopo Termini, la linea si interna dentro terra, e a poco a poco vanno diradandosi gli orti, i frutteti, i vigneti, gli uliveti, lasciando posto fra di loro, a spazi sempre più vasti, coperti di grano o d'erba. Vanno diradandosi le abitazioni di campagna. S'incontra ancora di quando in quando qualche raro gruppo di ulivi nel fondo della valle, si scorge qualche casa solitaria sul pendìo di un'altura, poi il vasto deserto della campagna siciliana. A destra della via, il monte San Calogero, erto e nero; a sinistra alte colline verdi di grano e d'erba; in fondo alla valle, sotto la strada erba, grano e pantani. Non un albero, non una casa per rompere la desolata monotonìa di quella solitudine. Alle fermate del treno, si cerca la città, il borgo di cui si sente gridare il nome. Vi si mostra un mucchio di case grigie arrampicate sulla cima di un monte lontano, oppure un sentiero, raramente una strada ruotabile, che sale lungo la falda della vicina collina, sparisce dietro, poi risale serpeggiando un'altra altura, poi sparisce ancora. Quella via porta al paese in due o tre ore di marcia. Le vicinanze della stazione sono sempre deserte, non un villano lungo la barriera, non un vetturino che aspetti gli avventori. Solo la carrozzella o la cavalcatura della posta, qualche mulo o cavallo bardato venuto a cercare il padrone. Il treno riparte, ed il viaggiatore è insensibilmente invaso da quel sentimento che prova chi si trovi in mezzo a cose misteriose e sconosciute; le valli che si aprono sulla strada, poi voltano, e si nascondono dietro un'altura, pare che debbano nascondere cose strane e non mai viste. Egli prova una specie di miraggio morale. Ed intanto, se ha per compagno di viaggio qualche proprietario o qualche grosso fittaiuolo, egli può sentire spiegare come i vasti fondi che il treno va attraversando siano, o dai proprietari, o dai grossi fittuari che li tengono a gabella, dati a coltivare a colonìa, a fitto o altrimenti ad una turba di contadini, fra cui i più ricchi possiedono un asino, un mulo, e talvolta una casupola, e che, dopo aver lavorato il loro campo, giungono all'autunno, senza aver potuto serbare dal raccolto il vitto per l'inverno, devono cercare dal padrone o dall'usuraio un poco di grano per vivere fino alle mèsse ventura, e consumano in tal modo la vita in un'eterna vicenda di debiti e di fatiche. A sentir parlare di quei proprietari e di quei grossi fittaiuoli signori della terra, del bestiame, e talvolta anche degli aratri, padroni nel fatto delle vite dei contadini, poichè sta in loro il farli morir di fame o no, la mente si riporta involontariamente al tempo in cui le campagne siciliane erano coltivate da turbe di schiavi, e agli orrori delle guerre servili in Sicilia sotto la dominazione romana.

Il treno giunge al punto destinato, si scende, sempre in mezzo al deserto: il fabbricato della stazione, uno o due baracconi, poi nulla. A quella stazione fa capo una strada ruotabile importante percorsa da un servizio di vetture pubbliche. Mentre le diligenze attaccano e caricano, tre cavalleggeri e un carabiniere stanno visitando le bardature ai loro cavalli; sopraggiunge una pattuglia di bersaglieri a passo accelerato e si mette in linea. Il nuovo sbarcato si guarda dintorno, e cerca se non stia sbucando altra truppa da qualche altro lato. Egli principia a provare come un'impressione vaga di essere in mezzo a un paese in stato di guerra. Le diligenze sono pronte, i viaggiatori imbarcati, si vedono partire al trotto; dietro, la scorta a cavallo; sui fianchi della strada, i bersaglieri che prendono le scorciatoie. Coloro che, saliti a cavallo vadano seguendo il sentiero per qualche paese vicino, li vedono allontanarsi per la via maestra; sentono diminuire il rumore dei sonagli dei cavalli e degli schiocchi di frusta. Si scorgono le carrozze già fatte piccole per la distanza, salire, giungere faticosamente al culmine di una collina, poi sparire finalmente per l'opposto pendìo, e si riman soli a camminare in mezzo al silenzio della deserta campagna. Allora il nuovo viaggiatore si sente preso da un profondo senso d'isolamento, gli pare che su tutta la contrada nuda e monotona pesi come l'incubo di una potenza misteriosa e malvagia, contro la quale non ha aiuto o difesa fuori di sè stesso e dei compagni venuti secolui d'oltre mare, e si sente subitaneamente preso da una profonda tenerezza per la carabina che porta in traverso della sella.


§ 19. - Ospitalità.

Però, a questa sensazione d'isolamento spesso non risponde il fatto; chè l'ospitalità siciliana è tale da lasciare in chi l'ha sperimentata la più grata memoria. E conserveremo sempre quella della persona che, dopo averci conosciuti quasi per caso in Palermo, diresse i nostri primi passi nell'interno dell'Isola, e per giornate intere scansò da noi i disagi e i pericoli con una sollecitudine paterna, e con un raffinamento di attenzioni e cortesie commovente. Il sentiero va su e giù quando sulla roccia quasi nuda e sparsa di sassi, quando in mezzo al grano o all'erba, traversa qualche torrente quasi asciutto, in fondo al quale corre un miserabile rigagnolo d'acqua fra enormi ciotoli. Dalla cima delle alture l'occhio gira d'intorno e sempre lo sguardo si perde fino all'orizzonte in mezzo alla infinita solitudine. Appena se di quando in quando è fermato da qualche colle con alcune vigne, ulivi e mandorli, intorno a un gran casamento contornato da altri più bassi; è il centro di qualche feudo.

Finalmente si vede sul pendìo di una collina qualche piantagione di alberi, alcune casupole sparse qua e là, e, sul culmine, le prime case del paese, basse e nere, e la punta del campanile. In cima alla salita, prima si trovano dei mucchi di letame sparsi alla rinfusa per la china, lavati e mezzo portati via dalle piogge, poi una lunga fila di catapecchie col solo pian terreno. Dagli usci aperti si scorge dentro una lurida stanza, spesso senza finestra, covile comune dell'intera famiglia di un villano e dei suoi animali quando ne ha. Poi s'entra nella parte del paese abitata dai civili. Veramente si prova una certa curiosità di vedere e conoscere sul teatro della loro potenza quei proprietari e quei gabellotti dall'interesse e dalla volontà dei quali dipende la esistenza di tante migliaia di esseri umani. Si aspetta di vedere intorno a loro tutto l'apparato della potenza feudale, di trovare in loro tutta quella sicurezza di sè stessi, che si addice a chi possiede una forza non discussa nè combattuta. Si aspetta insomma di vedere un ordine di cose ben diverso da quello che s'è lasciato a Palermo e nelle sue vicinanze. Ma basta ben poco tempo per essere disingannati. Si ritrova in provincia la medesima distribuzione di forze che nella capitale, ed i suoi medesimi effetti. La sola differenza fra questa e quella sta nelle forme, in alcune apparenze esteriori, in quelle diversità che, per la natura delle cose, distinguono un gran centro di popolazione e d'interessi, dai paesi di provincia e dalle campagne.


§ 20. - Potenza dei briganti e dei malfattori in genere.

Se non manca ai signori residenti in provincia l'apparato esterno della forza, manifestato da un numero più o meno grande di campieri armati, addetti alla guardia dei loro fondi e delle loro persone quando vanno in campagna, si scorge quanto poco la realtà risponda alle apparenze appena si venga a discorrere con loro del brigantaggio; e ciò avviene spesso, perchè nell'interno della Sicilia, qualunque conversazione lasciata andare per la sua china dopo pochi minuti cade quasi inevitabilmente in tale soggetto. A questo fan capo tutti i discorsi che hanno relazione cogl'interessi e colle condizioni dell'Isola; l'argomento sempre presente, sempre stringente s'impone alle menti.

E intorno a questo si sentono i racconti e i giudizi più strani e più incredibili. Sarebbe difficile esprimere la sorpresa che prova una persona avvezza ad altre condizioni sociali, nell'assistere alle relazioni regolari che, nelle provincie siciliane infestate dai malfattori, corrono fra la popolazione e l'infinita varietà di facinorosi che, sotto il nome di briganti, di malandrini, di mafiosi, esercitano in vari modi l'industria del delitto. Diverse nella forma e nel fine a seconda delle circostanze, secondo che i malfattori sono più o meno temuti; amichevoli od ostili, queste relazioni sono continue. Si direbbe quasi che il brigantaggio è, in quella condizione di società, un'istituzione regolare e riconosciuta, più o meno volentieri secondo i casi, ma sempre ammessa e tenuta in conto.

Si sente soprattutto parlare di briganti. Pure il numero dei briganti propriamente detti, di fronte a quello dei facinorosi d'ogni specie, è minimo; nei momenti dove più fiorisce il brigantaggio, i capi banda sono tutt'al più cinque o sei in tutta l'Isola. Le loro comitive stabili, più o meno numerose secondo i tempi e le circostanze, non lo sono mai molto. Pure la loro azione si combina in un modo così inestricabile con quella degli altri malfattori di ogni qualità che il distinguerle è impossibile. Il piccolo numero delle bande brigantesche vere e proprie può essere cagione che sia efficace un modo di repressione, piuttosto che un altro. Per il rimanente, parlare di briganti, di malandrini, di mafiosi è tutt'uno; con questa sola distinzione, che dove i malfattori sono riuniti intorno ad un capo famoso, sono più temuti e più potenti.

Nella sterminata solitudine della campagna siciliana i veri padroni sono i malfattori. Stanno a loro discrezione i grandi armenti che vagano pascolando, l'estate su pei monti, l'inverno nelle colline basse e nei piani delle marine, le mèssi mature, le vigne, i mandorli, le case e le ville perse in mezzo al deserto. Basta uno di loro con un mazzo di fiammiferi per distruggere la ricchezza di un uliveto prodotta da secoli. Appartengono a loro la vita e le sostanze dei viandanti che si avventurano isolati per i sentieri e per le strade maestre. Montati su cavalli che non son loro, armati di schioppi e di revolver che non han comprati, giran da signori per i monti e per le valli, per i colli e per le pianure. Se si fermano a una masserìa, a un feudo, s'aprono per loro tutte le porte; il fittaiuolo, il fattore, tutti gl'impiegati si affrettano intorno a loro; la cantina, la dispensa, la scuderia sono messe a loro disposizione. Nelle parti dove sono soliti passare, conoscono tutti e sono da tutti conosciuti; non v'è proprietario il quale si occupi dei suoi fondi, che non pratichi con loro. Abbisognano di armi, di munizioni? non hanno che da chiederne. Fu trovato accanto al cadavere di un brigante ucciso un fucile di prezzo comprato pubblicamente in una delle città dell'Isola da un ricco proprietario. I più bei cavalli sono a loro disposizione. Il proprietario G.... escito in campagna a cavallo s'imbatte in un brigante, il quale gli viene incontro, lo saluta rispettosamente, poi gli chiede il cavallo che monta. Dietro l'osservazione che l'essere il proprietario costretto a tornare in paese a piedi sarebbe considerato dai suoi parenti, amici e aderenti come un insulto, ed esporrebbe il brigante al loro odio e alla loro vendetta, questo si lascia persuadere, e riman convenuto che avrà il cavallo più tardi. Poi, invita il proprietario a entrare in una vicina casa di campagna, dove questo trova i principali capi banda della contrada a tavola; è ricevuto con ogni modo di cortesia, invitato a bere; beve, si trattiene a chiacchiera, e per dimostrare che non prova diffidenza, si leva il revolver di fianco e lo regala a uno di loro. Pochi giorni dopo il cavallo fu mandato in pastura e sparì. Hanno bisogno di denari? Scrivono una lettera a qualche persona facoltosa, ed è ben difficile che s'incontri chi sia tanto ardito da rifiutare. Trovano, dove vogliono, amici, alleati, ricettatori, spie. Nessuno ambisce la gloria pericolosa di rifiutare la proficua alleanza; i malfattori quando abbiano saputo farsi temere, han libera la scelta degli amici. I proprietari, i fittaiuoli, i fattori, tutti gl'impiegati delle aziende agricole sono per la forza delle cose complici e ricettatori dei briganti. Del resto, per avere ovunque intelligenze nelle campagne i malfattori non hanno bisogno di ricorrere all'aiuto di estranei. I proprietari sanno che il miglior modo di garantire il più che sia possibile i loro fondi dai danni del brigantaggio è di affidarli alla custodia di campieri che siano stati un po' briganti anch'essi, o che abbiano almeno qualche omicidio sulla coscienza, e facciano parte di quella gran lega che, senza regole, senza statuti, senza concerto preventivo, pure unisce al bisogno tutti i facinorosi d'ogni specie.

Il regno dei malfattori non si limita alle campagne. Senza parlare delle continue ed intime relazioni che hanno con Palermo molti fra i facinorosi delle provincie, non sono pochi quelli che abitano nei paesi, esercitano la loro industria e dentro l'abitato, e fuori. Sono in continua relazione coi briganti e i malandrini che scorazzano all'aperto, dànno loro aiuto coll'opera e colle informazioni, e ne ricevono a vicenda. Gli uni e gli altri approfittano delle informazioni e degli aiuti di quei benestanti, che nei paesi sono complici dei malfattori e soci nei loro guadagni. I malfattori della campagna trovano sicuro ricovero ed ospitalità così nei paesi dell'interno come in mezzo alla folla ed alla confusione di Palermo, ed il fatto non è nuovo di briganti, che abbiano abitato per mesi una casa in mezzo a un grosso borgo, senza che l'autorità ne sapesse nulla. In ogni paese trovano notizie sui movimenti dei proprietari contro i quali meditano un ricatto, trovano incettatori di cose e di persone. Una persona sequestrata fu una volta ritrovata in una casa nel centro di un capoluogo di circondario. Ognuno in Sicilia si rammenta ancora come nel 1865 un'accozzaglia di briganti di mestiere e d'occasione di vari paesi, capitanata dal brigante Pugliese, eccitata, informata e guidata da un benestante del paese stesso, entrò di notte sparando fucilate in San Giovanni di Cammarata, contornò una casa, ne forzò l'ingresso, la saccheggiò, ne torturò il vecchio padrone per ottener rivelazione dei denari che potesse tener nascosti, e se ne andò dopo tre ore senza essere seriamente molestata(18).


§ 21. - Carattere e modi di procedere dei malfattori.

Tale è in Sicilia la posizione di quegli uomini di ogni carattere e di ogni specie che vivono di ricatti, di grassazioni, di furti di bestiame, di lettere di scrocco. Si sentono sopra di essi gli apprezzamenti i più disparati. Alcuni li descrivono come belve. Molti li dipingono, specialmente se sono briganti veri e propri, come una specie di eroi sul tipo di quelli di Schiller, protettori del debole e dell'oppresso. Al nuovo venuto non avvezzo a quell'ambiente e che senta raccontare i fasti briganteschi, i briganti fanno l'effetto di essere per la massima parte volgarissimi, mascalzoni assolutamente, privi di qualunque sentimento di umanità, dotati quasi tutti di grande ardire, reso del resto abbastanza facile dalla paura generale e dall'aiuto e sostegno che trovano nelle condizioni sociali. Quelli fra loro che diventano capi di comitive sono molto abili nello scegliere gli alleati e i nemici, nel misurare con cura la quantità di danni che posson fare senza provocare una reazione, e nell'assicurare a taluni certi vantaggi in cambio del danno che cagionano. Pare che di quando in quando sorga anche fra di loro qualche tipo di romanzo, qualche uomo ardito e generoso; la cosa non è impossibile in un paese dove la professione di brigante non è considerata come disonorante. Ma uomini siffatti sono piuttosto rari, e sono presto trascinati dalla forza delle circostanze a fare come gli altri, molto più che tutte le loro belle qualità non hanno nell'atto pratico molti effetti, giacchè i loro compagni fanno quel che non fanno loro.

I modi nei quali esercitano la loro industria, sono i più variati. Taluni si stabiliscono in una contrada quasi come un'autorità costituita e riconosciuta, esigono dai proprietari una specie di tassa quasi regolare per mezzo delle lettere di scrocco. Del resto assicurano l'incolumità delle persone e degli averi a coloro contro i quali non hanno ragioni di inimicizia, infliggendo pena pronta e terribile, a quel malfattore estraneo alla compagnia, che venga a far concorrenza nel loro territorio. Aumentano il proprio prestigio col far talvolta a qualche miserabile un leggero benefizio, coll'osservare (non sempre però) scrupolosamente la parola data e col regolarsi secondo norme tutte loro intorno al punto di onore. Altri fanno d'ogni cosa un poco: sequestrano il ricco proprietario e ne esigono una grossa taglia, assassinano il viandante, arrestano le diligenze, spogliano il miserabile mulattiere delle poche lire che ha indosso. Tutti più o meno esercitano il furto di bestiame (abigeato). Sono regolarmente costituiti in banda, oppure girano isolati per la campagna, e quando si tratti di fare un colpo reclutano uomini fra i colleghi dei paesi o delle campagne. Alcuni sono malfattori dichiarati, scorazzano le campagne, e se entrano nei paesi lo fanno quando sono certi di non esser riconosciuti dalla forza pubblica. Altri menano vita regolare in apparenza, hanno una professione, vivono in paese; quando sanno di poter commettere qualche grassazione escono in campagna, consumano il delitto, e la mattina si ritrovano a casa in mezzo alle consuete occupazioni. Le relazioni fra i membri di questa vasta popolazione di malfattori sono le più varie. Si sente perfino talvolta narrare d'inimicizia fra il tale e il tale altro brigante; spesso un facinoroso ne uccide un altro per rivalità, per vendetta, o in rissa. Ma più generalmente la vasta popolazione dei malfattori siciliani d'ogni specie, forma una gran lega. I più si conoscono fra di loro, almeno di nome; ma pur senza conoscersi sono pronti, quando l'occasione si presenta, ad unirsi e combinarsi al minimo cenno. Vari d'origine e di posizione sociale, vari anche nelle specialità del mal fare, pure si conformano tutti a certe regole tradizionali nate dall'indole stessa delle circostanze e dalle necessità della loro industria. Frutto di una lunga esperienza mantenuta dall'istinto della conservazione, quest'assieme di regole è diventato come un diritto consuetudinario in vigore nella popolazione dei malfattori siciliani, e si può compendiare in poche norme. Impedire qualunque denunzia contro di loro all'autorità per parte di chiunque, e qualunque impedimento al libero e comodo esercizio del mestiere di malfattori. La sanzione è la vendetta pronta, terribile, eccessiva anche per l'offesa più leggera, che non esita a colpire dieci innocenti per il solo sospetto che fra di loro vi sia un colpevole, pure di imporre alle menti la convinzione che niente è più forte dei malfattori, e che niuno che li ha offesi può sfuggire la pena. I modi di applicazione di quelle regole variano poi all'infinito secondo le circostanze, i luoghi, le persone. In un comune dove l'autorità di pubblica sicurezza minacciava di prendere il sopravvento, i facinorosi del luogo, nella strada principale, all'ora in cui è più frequentata, mentre il delegato stava fermo sull'uscio di una bottega, si strinsero intorno a lui gomito a gomito in un semicerchio impenetrabile appoggiato al muro, e lo uccisero con una pistolettata a bruciapelo. Naturalmente la gente ch'era per la strada non sentì nè vide nulla e nessuno. Un'altra volta, una pattuglia che tornava da una perlustrazione fu ricevuta al suo ingresso nello stesso paese con una volata di schioppettate che ne uccise e ferì alcuni. Contro un impiegato che era sul punto di scuoprire le fila di una associazione di malfattori, fu organizzata una calunnia, cercato di provocare un processo penale, e per tal modo ne fu reso necessario l'immediato trasloco. A San Mauro, il capo brigante Rinaldi, sul semplice sospetto che un proprietario lo avesse denunziato, lo uccide in campagna. Qualche tempo dopo, entra armato con un compagno nel paese dove sta la famiglia di questo, all'Ave Maria in mezzo ai villani che tornano dal lavoro, entra nella casa dove stanno la madre e la sorella dell'ucciso; uccide la madre con una schioppettata, tira la sorella giù per le scale in istrada, e la finisce a coltellate. E ciò a pochi passi dalla casina di società piena di gente, e dalla caserma dei carabinieri; poi se ne va. Il medesimo brigante, alle porte dello stesso paese, uccise con una fucilata uno, per aver detto (in termini più energici però) che si curava poco di lui. Nel medesimo paese, un membro della stessa banda ferisce a morte per rancori personali una persona amata da tutti. Mentre si portava il viatico al moribondo e la campana suonava a morto, e davanti all'uscio di casa stava una folla di gente a piangere, urlare e lamentarsi, l'assassino, uomo basso e smilzo della persona, se ne stava di faccia alla casa del morente appoggiato al muro, colle braccia incrociate e un bastone in mano; tutti lo vedevano e nessuno, in tutta quella folla, osava avvicinarlo. Il paese era occupato militarmente dai bersaglieri. Ventiquattr'ore dopo si venne a raccontare a uno degli ufficiali la presenza di quell'uomo. I briganti sono talmente sicuri del loro prestigio, della loro autorità sopra tutte le classi della popolazione, sentono talmente di far parte integrante e riconosciuta della società, che spesso non provano il bisogno di esser brutali, e conservano talvolta nei loro atti più violenti, la massima cortesia nelle forme. Un gran proprietario viene a passar qualche giorno in una sua villa. Durante la notte si sente picchiare alla porta. Sono i briganti che protestano di non volergli fare nessun male, ma chiedono solamente di riverirlo e di baciargli la mano. Il proprietario si scusò come potè dal riceverli, e la mattina dopo se ne andò per non più tornare sulle sue terre.

Un altro ricco proprietario era stato sequestrato dai briganti. Mentre si trattava del ricatto, i briganti lo fecero per più giorni girare per monti e dirupi, usando però sempre con lui i modi più cortesi e rispettosi, cucinandogli dei pasti ricercati per quanto lo permettevano le circostanze. Pagato il ricatto, il capo brigante gli chiese dove voleva essere ricondotto. Il signore indicò un paese. Appena fattasi la notte, la banda si incammina con lui, e si ferma nell'immediata vicinanza del paese indicato. Il capo brigante prega il signore di scusarlo se per ragioni che può facilmente capire non lo accompagna fino dentro l'abitato, gli chiede scusa di ciò che gli è stato fatto, allegando le circostanze, la necessità della sua condizione, la durezza dei tempi, ecc., poi ordina ai suoi uomini di scendere da cavallo e di baciar la mano al signore. Egli stesso principia, gli altri gli vengono dietro. Poi dànno la via al proprietario. Questi era libero, e aveva pagato 130,000 lire.


§ 22. - Impotenza dei carabinieri e della truppa contro i malfattori.

E mentre briganti, malandrini e malviventi vanno signoreggiando le campagne e i paesi, e sono ovunque come a casa propria, i carabinieri e la truppa spersi in mezzo all'Isola, errano in pattuglie, scortano le diligenze e i viandanti, si fanno ammazzare dai briganti, ne uccidono raramente, e non ne arrestano quasi mai. Accade talvolta che alcuno per vendetta di un danno o di un affronto o per cupidigia della taglia, venga, raccomandando il segreto, a svelare all'autorità il nascondiglio dei briganti, ma il caso è raro. Pochi dei briganti che sono uccisi muoiono per opera della Forza pubblica; per lo più sono assassinati da colleghi o rivali. Se una pattuglia perlustrando le campagne si presenta a una masseria e chiede notizie dei briganti, nessuno li conosce, nessuno li ha visti, mentre si sta forse sparecchiando nella stanza vicina la tavola dove hanno mangiato. Ma i briganti sanno subito dove è la Forza, i luoghi dai quali è passata, dove si è fermata, cosa ha chiesto, dove si è diretta partendo, conoscono le imprese che prepara. Ogni parola, ogni gesto sfuggito a un soldato o ad un ufficiale è osservato, studiato e riferito. Esce in campagna un drappello di truppa per fare una recognizione o tentare qualche colpo; si vede passare innanzi un contadino colla zappa, o un ragazzo, un vecchiarello, un mendicante; parrebbe ridicolo arrestarli od anche interrogarli. Qualche ora dopo i soldati arrivano al nascondiglio dei briganti, il fuoco è ancora acceso, ma i briganti sono stati avvisati e sono spariti, se pure la pattuglia prima di giungere non è caduta in un'imboscata, e non ha avuto alcuno dei suoi, uccisi da palle venute non si sa da dove. Se la truppa prepara una spedizione, la prima cura dei capi deve essere che non sia sorpreso il segreto, non solo dal pubblico chè la cosa è naturale così in Sicilia, come in qualunque altro paese, ma spesso nè anche dall'autorità locale, dai militi a cavallo. Sono ben rari coloro che la Forza pubblica può prendere per complici dei suoi progetti. Pare quasi che essa sia una comitiva di malandrini, e che i briganti siano coloro cui è stata affidata la protezione delle persone e delle cose, i difensori della società.

E veramente i briganti sono l'autorità costituita e riconosciuta. Il loro servizio di spionaggio è il solo efficace, le offese fatte a loro sono quelle che portano certa pena. Può darsi che rimanga impunita la resistenza alla pubblica Forza, non quella ad un assalto dei malfattori. L'uomo tanto ardito da resistere, potrà per quella volta costringerli a ritirarsi, ma si assicura per l'avvenire un gravoso ricatto o una schioppettata che gli capiterà un giorno che starà girando le campagne solo o male scortato. Tempo addietro nella provincia di Girgenti, fu sequestrato in campagna un proprietario. Egli aveva cinque fratelli che per caso si trovavano riuniti nel paese; al giungere della notizia del sequestro, questi si armarono, escirono in cerca dei malfattori, e riuscirono a liberare il fratello sequestrato. Ma come non potevano sempre andare in campagna uniti, convenne che per schivar guai entrassero in trattative coi facinorosi del paese cui appartenevano i malandrini combattuti e vinti. Diedero loro un pranzo, pagarono una somma di denaro, si scusarono dell'operato, allegando la necessità ecc. ecc. La somma pagata non fu considerevole; ciò che premeva ai facinorosi era un attestato pubblico che coloro i quali avevan loro resistito, riconoscevano nonostante la loro autorità.


§ 23. - La generale impotenza della classe abbiente contro i malfattori, non si può spiegare con la mancanza dei mezzi per resistere. Nè con la generale complicità. La semplice osservazione delle relazioni fra cittadini e malfattori non fornisce gli elementi per sciogliere questo problema.

Come hanno potuto i malfattori acquistare un sì strano predominio sugli animi? La mente si affatica lungamente invano intorno a questo problema. Se i proprietari ricevono cortesemente i briganti, li albergano, li rivestono, li armano, non è certo per carità cristiana. Non è per uno spirito di rassegnazione e di umiltà poco verosimile; lo dimostrano gli odii e i rancori implacabili coi quali i signori ingannano i lunghi ozi della loro vita neghittosa nei paesi dell'interno. Non è perchè i Siciliani non sappiano al bisogno unirsi per un dato fine; lo prova la stretta unione fra i membri di ciascuno dei partiti, che in tanti Comuni si contendono il primato di generazione in generazione, lo prova la stessa solidarietà dei malfattori fra di loro. D'altra parte, i mezzi materiali di difesa non mancano. I proprietarii hanno modo di assoldare gente risoluta in loro difesa. Qual'è dunque la ragione della loro mancanza d'unione, della loro impotenza, della loro docilità di fronte alla potente organizzazione del malandrinaggio?

Veramente, a vedere sottomettersi con tanta facilità tutta una classe di persone, cui basterebbe agire d'accordo per tre giorni per fare sparire il brigantaggio, la prima impressione è che questa rassegnazione non sia altro che complicità. Ma anche appoggiandosi sopra questa ipotesi, la mente cerca invano un criterio che la guidi nel giudizio dei fatti. La complicità apparente è universale. Ma in Sicilia l'apparenza di complicità non ha significato. Chi troverà il mezzo di distinguere quella che viene imposta dal terrore, da quella spontanea e lucrosa? Taluni proprietarii per aver rifiutato ospitalità o informazioni ai briganti, hanno avuto il bestiame distrutto, le piantagioni e le case bruciate, sono stati ricattati, assassinati(19). Ma nel tempo stesso altri si sono arricchiti col manutengolismo, col tener mano ai ricatti, dando informazioni ai briganti, magari prestando il luogo dove rinchiudere il sequestrato. Taluni devono una fortuna considerevole all'industria del ricoverare nel loro fondo il bestiame rubato per curarne poi la vendita o l'esportazione. È incalcolabile il numero di persone d'ogni condizione che impiega in Sicilia l'industria degli abigeati. Una vasta rete di ladri, compari e ricettatori, cuopre tutta l'Isola. Dei capi di bestiame rubati, poniamo, sulla costa settentrionale, trovano chi li nasconde nel suo fondo, posto nel centro dell'Isola, e, al bisogno, chi provvede ad imbarcarli in qualche punto della costa meridionale per l'Africa. Ma d'altra parte è pubblicamente noto che taluni grandi proprietarii sono costretti, loro malgrado, a lasciare ricoverare nel loro fondo, il bestiame rubato dai briganti. Dovrà considerarsi come indizio di manutengolismo, se un proprietario sta tranquillamente in campagna colla famiglia, gira senza scorta dappertutto, e non è mai molestato? Nemmen questo: conviene talvolta ai briganti di non farsi nemico un signore ricco e potente, e rispettarlo senza esiger da lui altro che il silenzio sui loro movimenti, e lo stretto necessario per i loro bisogni. Questo non si può considerare, e non si considera, come manutengolismo, e non v'è proprietario che non sia in questo modo in contatto continuo coi briganti, e che non lo dica apertamente anche alle autorità. E in taluni casi di manutengolismo vero e proprio a fine di lucro, chi è il colpevole, il proprietario, o i suoi fattori ed impiegati? Il proprietario è spesso il primo ad esser vittima del manutengolismo del suo fattore. Questo ha interesse a tenere il padrone lontano dai suoi fondi colla paura. Molto più, ciò che ha apparenza di manutengolismo del proprietario, può essere atto di brigantaggio vero e proprio commesso dai fattori. Le firme dei briganti nelle lettere di scrocco non sono autenticate da notaro. Chi garantisce se sono vere od imitate? Quando i proprietarii, invitati a rendersi presso l'autorità pubblica per affari correnti non rispondono all'invito per timore d'esser sospettati di aver denunziato un malfattore, è probabilmente il solo terrore che li trattiene. Ma chi può dire se il loro silenzio riceve o no il suo compenso all'occasione? Si potrà dire almeno che non è manutengolo il proprietario il quale da parecchi anni non osa uscir dal paese per paura dei briganti o che vien da essi ricattato od anche ucciso? Nemmeno. Ognuno in Sicilia conosce la storia di quei due proprietarii alleati di bande brigantesche ostili fra di loro. Uno di essi fece ricattare l'altro che dovette pagare una grossa taglia. L'altra banda per vendicare lo sfregio fattole nella persona del suo protetto, sequestrò a sua volta il proprietario amico della banda avversa, gl'impose una grossa taglia, lo uccise, e nonostante si prese i denari. Dovrà dirsi manutengolo chi impiega a suo servizio gente facinorosa? Ma il proprietario che non voglia avere i fondi e il bestiame in balìa del primo ladruncolo venuto, deve aver alcuni fra i suoi campieri(20) che si facciano rispettare, e il modo più efficace per farsi rispettare in buona parte di Sicilia, è l'esser in fama di aver commesso qualche omicidio. Ma il modo di non aver nemica una banda di briganti o qualche altra potente associazione di malfattori dei dintorni è l'avere al proprio servizio una persona, che sia in relazione con loro, che possa trattare con loro per riavere contro competente compenso il bestiame che hanno rubato al padrone. Il loro salario, a quanto dicesi, è talvolta fuor di proporzione col loro ufficio, è la tassa che il proprietario paga alla banda o all'associazione, ed una specie di premio d'assicurazione o di riscatto contro l'abigeato. E chi può dire se quel campiere non è stato da esse imposto al proprietario? I proprietarii dichiarano essi stessi apertamente di essere obbligati a tenere fra i loro impiegati dei facinorosi. Qual'è l'autorità che potrà farne loro un delitto quando il Governo è il primo ad impiegarli al suo servizio? Che cosa sono per la maggior parte i militi a cavallo se non degli antichi malandrini che portano una divisa e, sul berretto, la cifra del re? La mente si affatica invano a cercare i criterii che in una tale condizione di società distinguono il bene dal male, l'innocenza dal delitto. Chi è del tutto innocente, chi è del tutto colpevole? Un atto per il quale in paesi che sono in condizioni diverse non si esiterebbe a mandare un uomo in galera, qui è ammesso, e non si può punire. Ed intanto i briganti diventano capitalisti e hanno relazioni di affari cogli abitanti, dànno bestiame a soccida, diecine di mila lire a mutuo. Intanto stanno formandosi quasi pubblicamente dei patrimoni col manutengolismo e colla complicità negli abigeati. Intanto ciascuno dei partiti avversi nei Comuni, corteggia l'alleanza dei briganti e dei facinorosi; i privati acquistano rispetto, considerazione e influenza quando sia pubblico che sono amici di briganti. Chi potrà dire la parte che hanno i malfattori nella scelta dei fittaiuoli dei feudi, in quella dei compratori dei fondi in vendita, e nella determinazione dei loro prezzi? Chi potrà misurare la loro influenza diretta o indiretta, nelle elezioni municipali, nelle elezioni politiche? Venti o trenta mascalzoni sanguinari con una retroguardia di latitanti erranti per le campagne, e di facinorosi occulti o palesi, sono il fondamento di buona parte delle relazioni sociali più importanti in due terzi di Sicilia.

E si sentono dei Siciliani, specialmente delle classi medie e inferiori, che parlando del brigantaggio dicono apertamente di non veder nulla di anormale nella sua esistenza, di non veder nessuna buona cagione perchè debba cessare. Secondo loro, si tratta di gente che non fa male a nessuno se non è provocata, si contenta d'imporre una tassa ai ricchi, che del resto possono pagarla benissimo, e benefica la povera gente. "Quelli erano briganti chic", ci diceva e ci ripeteva, parlando della banda Capraro, un piccolo impiegato che incontrammo in viaggio. Si racconta perfino in Sicilia che giovani di buona famiglia si sono talvolta uniti a qualche impresa di bande brigantesche famose, senza nessuna mira d'interesse, ma per arditezza giovanile, per acquistare onore facendo prova di coraggio, nel medesimo modo che se si fossero arruolati nell'esercito o fra i volontari per le guerre d'indipendenza. Ad ogni modo, nelle persone di tutte le classi, specialmente se non hanno sofferto dai malfattori danni maggiori degli ordinari, si sente spesso trapelare nella conversazione una certa compiacenza per il tipo brigantesco, una tendenza a farne un tipo da leggenda, un sentimento insomma, che sarebbe abbastanza naturale in un professore di letteratura, ma si spiega difficilmente in proprietari fondiari che hanno masserie e granai combustibili.

Però, questa ammirazione teorica pei briganti non impedisce che la poca sicurezza non provochi, specialmente nella classe ricca, generali lamenti, i quali, nella bocca di chi ebbe a soffrire dal brigantaggio personalmente in modo crudele, diventano aspri ed irosi e si manifestano per lo più sotto forma di duri rimproveri al Governo. Da esso si aspetta, o piuttosto si richiede tutto. Esso in mezzo alla universale cospirazione del silenzio deve pur trovar modo di scuoprire i malfattori e di impadronirsene. Questo disperato cercare di un appoggio fuori di sè stessi non ha nulla che debba sorprendere quando si consideri la inaudita disorganizzazione di tutta la classe che ha qualcosa da conservare di fronte alla disciplina dei malfattori.


§ 24. - Propensione quasi generale per i mezzi di repressione arbitrari.

Ma ciò che mette lo scompiglio in tutti i concetti di Governo e d'interesse generale che uno si sia formati in paesi regolarmente costituiti, è l'udire gli apprezzamenti e le proposte della grandissima maggioranza dei Siciliani anche della classe colta e specialmente fuori dai grandi centri, sui rimedi atti a ristabilire la sicurezza. Non si sente chiedere che poteri arbitrari senza controllo, senza regola alcuna, senza garanzia di legge, senza quella di intelligenza, nè di moralità nelle persone cui tali arbitrii si vorrebbero affidati. Quelli stessi che riconoscono l'immoralità del personale componente il corpo dei militi a cavallo, e la grandissima difficoltà di depurarlo, chiedono per esso potere arbitrario. Chiedono che si diano in balìa a quest'accozzaglia di malandrini rivestiti le campagne di Sicilia e i loro abitanti con facoltà di estorcere confessioni e denunzie con ogni mezzo ch'essi credano opportuno: le bastonate, le violenze d'ogni genere. Non si rammentano che questi mezzi sono già stati impiegati in Sicilia ed in tempi non tanto lontani da dovere uscire dalle menti; che i membri della classe colta non furono gli ultimi a soffrirne; che allora furono denunziati all'Europa civile, e la fecero inorridire. Abbiamo sentito un proprietario lamentare amaramente il danno che la soppressione della guardia nazionale aveva fatto alla pubblica sicurezza, perchè quando questa esisteva, uno, rivestito della sua divisa, poteva tirare una fucilata a chiunque senza render conto a nessuno. Non pensava che come poteva tirare la fucilata, così poteva riceverla. Le menti non sono in grado di distinguere l'interesse sociale dal loro interesse personale immediato. Vittime di una violenza, chiedono una forza capace di vincere e di distrugger quella, e non vanno più in là. Non chiedono a questa forza garanzie di regolarità e di equità. Sia essa forza armata al servizio loro privato, o del Comune, o dello Stato, siano uomini capaci d'altronde di qualunque disordine, di qualunque delitto, magari briganti, è tutt'uno. E considerando a questo modo la quistione, sono sinceramente persuasi di cercare, non solo il vantaggio loro privato, ma anche quello del pubblico. Non esiste nelle menti della grandissima maggioranza, il concetto di un vantaggio sociale, superiore agli interessi individuali e diverso da questi. Nè possono concepire una forza diretta da siffatto criterio, una legge in somma che, intesa ad un fine generale, ora reca vantaggio, ora danno all'uno od all'altro singolo individuo. Ognuno istintivamente e sinceramente considera l'autorità pubblica in tutte le sue manifestazioni come una forza brutale alleata o nemica dell'una o dell'altra persona per tutti i fini buoni o cattivi.


§ 25. - Manca nella generalità dei Siciliani il sentimento della Legge superiore a tutti ed uguale per tutti.

Del resto questa mancanza del concetto di una legge e di un'autorità che rappresenti e procuri il vantaggio comune, astrazione fatta dagli individui, si manifesta nelle relazioni di ogni genere fra' Siciliani. Essi non si considerano come un unico corpo sociale sottoposto uniformemente a legge comune, uguale per tutti e inflessibile, ma come tanti gruppi di persone formati e mantenuti da legami personali. Il legame personale è il solo che intendano. È accaduto a più di un rappresentante dell'autorità che rifiutava un favore richiestogli, allegandone la illegalità, di sentirsi rispondere: "lo faccia per amor mio" e ciò apertamente, senza esitazione, colla massima buona fede. Insomma, nella Società siciliana, tutte le relazioni si fondano sul concetto degl'interessi individuali e dei doveri fra individuo e individuo, ad esclusione di qualunque interesse sociale e pubblico.


§ 26. - Indole esclusivamente personale delle relazioni sociali in Sicilia. Clientele.

Una siffatta forma di società non è nuova nella storia, e se ne manifestano in Sicilia tutti i sintomi belli e brutti. Da un lato, una fedeltà, una energia nelle amicizie fra uguali e nella devozione da inferiore a superiore, che non conosce limiti, scrupoli o rimorsi. Ma dall'altro, il sistema della clientela spinto alle sue ultime conseguenze. I singoli individui si raggruppano gradatamente intorno ad uno od alcuni più potenti, qualunque sia la cagione di questa potenza: la maggior ricchezza ed energia di carattere o l'astuzia od altro. Gl'interessi loro vanno gradatamente accomunandosi. I più potenti adoperano a vantaggio degli altri la loro forza e la loro influenza, gli altri mettono al servizio di quelli i mezzi di azione meno poderosi di cui dispongono. Ogni persona che abbia bisogno di aiuto per qualunque oggetto, per far rispettare un suo diritto come per commettere una prepotenza è un nuovo cliente. I principali di ogni clientela non potendo concepire un interesse d'indole collettiva all'infuori di quelli della clientela stessa, cercano di arruolare a vantaggio di questa tutte le forze, senza distinzione, che trovano esistenti, e fra le quali nessun concetto d'interesse sociale generale pone una distinzione nella loro mente. Cercano in conseguenza, così l'alleanza dei malfattori come quella dei rappresentanti del potere giudiziario e politico. E per acquistare ciascuna di queste alleanze impiegano i mezzi più adatti. Aiutano il malfattore a sfuggire alle ricerche della giustizia, ne procurano l'evasione se è in carcere, l'assoluzione (e ognuno immagini con quali mezzi) se è sotto processo e non può evadere.

Il malfattore per tal modo salvato diventa un cliente se già non lo era. Il suo braccio è al servizio di quel gruppo di persone, ed in compenso è assicurato della loro protezione. Per procurarsi l'alleanza delle autorità giudiziarie e politiche impiegano la corruzione, l'inganno, l'intimidazione. Se questi mezzi non riescono, trovan modo di far credere alla loro clientela e al volgo che sono riesciti, oppure che hanno trovato nelle sfere superiori del governo gl'istrumenti per punire il funzionario ricalcitrante. Preme troppo ad essi che la loro influenza sia considerata come invincibile e infallibile. Così, quando un Prefetto rifiuti a uno di loro un favore, se poco dopo vien traslocato per una cagione qualunque, affermano a tutti che essi colle loro influenze al ministero lo hanno fatto traslocare in vendetta del favore rifiutato, ed ognuno li crede. Perfino le leggi rigidamente applicate servono talvolta ad accrescere siffatte autorità private. Chi ha ottenuto all'infuori di qualunque intercessione dai tribunali o da qualche amministrazione pubblica la giustizia dovutagli, se ha invocato l'aiuto di qualche protettore, rimane convinto d'esser debitore di ciò che ha ottenuto unicamente all'intervento di quello. Così nasce un'infinità di associazioni che non possiamo chiamare che clientele, giacchè non hanno della associazione nè la determinazione dei requisiti per farne parte, poichè ogni giorno vi sono membri che escono o entrano, nè la stabilità delle regole e statuti, poichè le relazioni fra i loro membri sono varie quanto possono esserlo quelle fra due privati qualunque. Naturalmente, queste clientele si suddividono in clientele minori. Vi sarà quella fra malfattori, e i principali di questa saranno clienti di persone influenti spesso investite di cariche pubbliche, alle quali fanno capo d'altra parte altre unioni di persone meno influenti, e così di seguito.


§ 27. - La Mafia.

Così si formano quelle vaste unioni di persone d'ogni grado, d'ogni professione, d'ogni specie, che senza aver nessun legame apparente, continuo e regolare, si trovano sempre unite per promuovere il reciproco interesse, astrazione fatta da qualunque considerazione di legge, di giustizia e di ordine pubblico: abbiamo descritto la MAFIA, che una persona d'ingegno, profonda conoscitrice dell'Isola ci definiva nel modo seguente: "La Mafia è un sentimento medioevale; Mafioso è colui che crede di poter provvedere alla tutela e alla incolumità della sua persona e dei suoi averi mercè il suo valore e la sua influenza personale indipendentemente dall'azione dell'autorità e delle leggi".

Come fuori di Sicilia sono più conosciute quelle manifestazioni del suo stato sociale, che hanno carattere violento, così sono pure conosciuti più generalmente quegli elementi della mafia che sono cagioni immediate di siffatte manifestazioni. Perciò è generalmente significata con questo nome quella popolazione di facinorosi la cui occupazione principale è d'essere ministri ed istrumenti delle violenze, e coloro che sono con essi in relazioni dirette e continuate. Così si dice: "la mafia del tale o tal altro paese". Siffatta incompleta cognizione del fenomeno non entra per poco nella difficoltà incontrata a spiegarlo ed a scoprirne l'indole, come avremo luogo di manifestarlo più particolarmente nel corso di questo studio.

In siffatta condizione di cose, avviene per necessità che le gare personali a poco a poco ingrossino e diventino divisioni di partiti, e che le divisioni di partiti abbiano tutto il loro fondamento in gare ed ambizioni personali. Se una quistione d'amor proprio o d'interesse divide due delle prime famiglie di un Comune, a poco a poco le altre si aggruppano intorno a quelle, il paese è diviso in due fazioni. Ognuna impiega contro l'altra tutti i mezzi. Dalla violenza al Processo penale o civile, e alla legge elettorale e comunale. Ognuno cerca di tirar dalla sua il pretore, il procuratore del Re, il sotto prefetto. Dove poi non v'ha divisione o lotta, dove la persona preponderante in un Comune è sola e senza rivale, la sua potenza diventa assoluta. Dispone a modo suo dell'amministrazione pubblica e quasi delle sostanze e della vita di tutti.


§ 28. - Amministrazioni locali.

Con questo concetto dell'interesse generale in tutte le classi della popolazione, ognuno può immaginare che cosa sieno le amministrazioni locali d'ogni genere. Spesso il patrimonio comune diventa preda del partito al potere; gl'impieghi diventano patrimonio degli aderenti di questo; le leggi la cui esecuzione è affidata alle autorità locali, diventano un'arme, un mezzo per operare esazioni a vantaggio del partito vincitore e a danno del vinto. Per citare qualche esempio: le guardie daziarie, scelte dal partito al potere, lasciano passare la roba degli aderenti di questo, e compensano il bilancio comunale gravando la mano su quella dei membri del partito vinto. Ogni anno, alla revisione delle liste elettorali queste sono riempite di nomi di aderenti del partito al potere, non elettori. Le sentenze della Corte d'appello che ne ordinano la cancellazione giungono dopo le elezioni. L'anno seguente principia lo stesso giuoco e così da un anno all'altro il partito al potere vi si mantiene coi voti di persone, cui la legge rifiuta il diritto di votare. Parimente, i pochi Monti frumentari sopravvissuti alla generale rapina, le società cooperative, quelle di mutuo soccorso hanno, salvo poche onorevoli eccezioni, per unico scopo di procurare a chi se n'è impadronito, influenza per sè, guadagni per sè e per i propri aderenti.

Chiunque abbia energia, astuzia, denari, relazioni negli uffici pubblici, insomma qualcosa da dare in cambio della protezione di un più potente di lui, è certo di trovar posto nella clientela dell'uno o dell'altro. Rimangono fuori da tutte, isolati, esposti alle prepotenze di ognuno, coloro che non possono rendersi utili in nessun modo. Tali sono i più fra i contadini, che in generale non possiedono nulla; sono ignoranti e abbrutiti, e non sanno al bisogno prendere uno schioppo e andare ad aspettare al passo una diligenza o un viandante. Tali sono tutti coloro che non hanno nè ricchezza, nè astuzia, nè energia, tutti coloro insomma la cui sola difesa in altro paese sarebbero le leggi. Questi non hanno parte alla protezione di quella specie di diritto consuetudinario in vigore in Sicilia, la cui porzione più conosciuta fuori dell'Isola è quella che obbliga ognuno a proteggere il prossimo contro la legge e la giustizia. Difatti, il facinoroso conosciuto che, per schivare l'ammonizione giudiziaria, abbia bisogno di un certificato di buona fama, trova firme quante ne vuole, dalle persone più considerate. Il miserabile vagabondo inoffensivo, se la vede malamente rifiutare. Citeremo un esempio ancora più caratteristico. Un impiegato inferiore del macinato venuto da pochi giorni dal Piemonte, girando per la campagna per il suo ufficio, vede in un campo cadere un uomo colpito da una fucilata. Spaventato, corre in paese a denunziare il fatto. S'inizia la procedura, si ricerca il colpevole. Dopo pochi giorni viene arrestato quell'impiegato stesso sotto l'imputazione di aver commesso l'omicidio. Si istruisce contro di lui, si trovano testimonianze a suo carico, si è sul punto d'inviarlo alla Corte d'Assise, e ciò mentre tutta la contrada conosceva il nome di chi aveva veramente commesso il delitto, le cagioni che lo avevano spinto a commetterlo, il vantaggio che ne aveva ritratto. Ciò in un paese, dove denunciare un assassino veramente colpevole è infamia. Fortunatamente l'Autorità superiore, avvertita a tempo, intervenne energicamente, e il processo fu rimesso sulla vera strada. Ma convenne trovar modo di traslocare l'infelice impiegato del macinato per sottrarlo al pericolo di essere assassinato.


§ 29. - Autorità pubblica. Suoi mezzi di azione.

In mezzo a questa società, che si regge tutta all'infuori delle leggi, stanno sparsi qua e là nei capoluoghi delle Provincie, dei Circondari e dei Mandamenti, i rappresentanti del Governo, prefetti, sottoprefetti, ufficiali di sicurezza pubblica, magistrati, coll'incarico di governare le popolazioni per mezzo di quelle leggi stesse, e di farle rispettare se sono offese. Potremmo ripetere qui ciò che già abbiamo detto delle autorità ragionando di Palermo. Come sono simili le relazioni sociali, così lo è pure a Palermo e in provincia, la condizione dell'autorità pubblica e la sua impotenza. E sono pure medesimi i difetti nell'indirizzo di questa, nel suo ordinamento, nella sua composizione. In provincia come a Palermo, le autorità pubbliche, per conoscere i disordini di ogni specie e per ripararvi possono adoperare la popolazione se ci riescono, altrimenti hanno la truppa, i carabinieri, le guardie di pubblica sicurezza, i militi a cavallo.


§ 30. - Carabinieri.

I carabinieri senza essere più il corpo perfetto sotto tutti gli aspetti, che erano sopratutto nell'antico Piemonte, pure sono sempre degnissimi di rispetto. Ma, forestieri all'Isola, legati da un regolamento di servizio fatto per altre circostanze ed altri paesi, ignoranti, spesso, della lingua, dei luoghi e delle persone, quasi sempre del significato di quella mimica rapida e vivace, di quel girar d'occhi, di quelle intonazioni che formano per i Siciliani un secondo linguaggio determinato, chiaro quanto quello della parola, da loro impiegato per esprimere quelle cose, che non vogliono dichiarare apertamente e che sono in generale le più importanti a conoscersi, non avendo idea dei costumi della popolazione, delle complicatissime relazioni, che legano i malfattori fra di loro e colle altre classi della società, vivono in mezzo alla popolazione isolati come in un deserto, vedono e sentono senza capire, fanno la stessa figura che farebbe una statua della giustizia in mezzo ad una banda di malfattori.


§ 31. - Militi a cavallo. Loro modo di procedere.

I militi a cavallo non hanno tutte le cagioni d'ignoranza e d'impotenza dei carabinieri. I loro regolamenti e soprattutto la loro pratica di servizio, lasciano il campo aperto all'iniziativa individuale, e d'altra parte le tradizioni del loro corpo, dal 1543 in cui furono creati(21) in poi, non sono tali da renderli molto rigidi osservatori delle forme legali e delle garanzie che lo Statuto e i codici assicurano ai cittadini. Nessuno è con loro in mezzo ai campi e ai boschi per verificare se osservano le regole della legge, per scuoprire e arrestare i delinquenti. Se talvolta accade loro di ottenere da qualche villano una confessione o una denunzia a suon di bastonate, l'eco di queste giunge talmente indebolito alle orecchie dell'autorità, che passa inosservato da loro. In quanto al pubblico, la gran maggioranza non prova per un tal mezzo di polizia, se usato sulle spalle altrui, tanta antipatia da lamentarsene. Tratti dal seno della popolazione vivono in mezzo ad essa, continuano a farne parte. Nel girare la campagna, se giungono a una masseria, vi trovano, essi e le loro giumente, da bere, da mangiare, da dormire. I briganti non sarebbero ricevuti meglio. La sera arrivano ad un paese, scendono all'osteria, depongono le armi in un canto, si mettono a tavola a bere coi mulattieri, coi barrocciai, colla gente d'ogni specie. Parlano con tutti, salutano tutti, conoscono tutti. Giunge la notizia di una grassazione o di un ricatto. Montano a cavallo, perlustrano la campagna, ma nel più dei casi non vedono, non conoscono, non trovano più nessuno. L'intera contrada è diventata ad un tratto per loro terra incognita. Solamente quando per caso i carabinieri e la truppa siano giunti a sospettare il covo dei briganti, se avvisano i militi per ottenere la tanto desiderata unità di azione, accade talvolta che messasi la spedizione in marcia, contornato il luogo indicato, non trovi più nessuno. In altri termini, in buon numero di casi i militi a cavallo, o perchè hanno paura delle vendette, o perchè dividono il prodotto dei delitti, sono complici dei malfattori almeno col silenzio e coll'inazione. Ciò non toglie che abbiano dati parecchi esempi di bellissime operazioni e di atti di eroismo. Talune sezioni di militi a cavallo composte di elementi puri, hanno purgato per qualche tempo il loro circondario dal malandrinaggio. Ma sono eccezioni.


§ 32. - Guardie di pubblica sicurezza. Truppa.

Le guardie di pubblica sicurezza depurate negli ultimi anni, hanno reso buoni servigi, ma pochissimo numerose fuori dei grandi centri, la loro utilità è limitata(22). La truppa poi residente nell'Isola per un tempo ristretto, per un tempo ancora più ristretto nelle singole località(23), ignorante delle persone e dei luoghi, comandata da ufficiali la cui specialità non ha nulla che fare col servizio di polizia, deve limitarsi per lo più a mettere il suo coraggio e le sue cognizioni di tattica al servizio delle autorità di pubblica sicurezza e a fare il servizio di scorta e di pattuglie. E nuocciono talvolta all'efficacia ed alla fermezza della sua opera il gran numero di reclute, che non hanno mai visto il fuoco, e l'essere le pattuglie comandate da sott'ufficiali, che non possono esser sempre sostenuti davanti al pericolo da quel sentimento dell'onore e del dovere che animerebbe un ufficiale.

Con siffatti istrumenti, in mezzo a siffatta popolazione, gli impiegati di pubblica sicurezza devono scuoprire ed arrestare i delinquenti, i magistrati devono convincerli e condannarli.


§ 33. - Funzionari di pubblica sicurezza. Difficoltà che incontrano per scuoprire i malfattori e per radunare elementi atti a farli condannare in giudizio.

Veramente la condizione di un delegato di pubblica sicurezza in Sicilia, soprattutto se in un capoluogo di mandamento senza la vicinanza e l'appoggio di una più alta autorità, non è delle più invidiabili. Sta nel suo ufficio o nella sua casa come in una fortezza in mezzo a paese nemico. Per quanto possano esser numerose le persone che nel segreto dell'animo loro desiderano veder distruggere i malfattori, per quanto possa ricevere talvolta denunzie segrete, pure la forza preponderante dei malfattori s'impone agli animi. Ne resulta che il meglio che egli possa aspettare dalla generalità degli abitanti è una neutralità ostile. Costretto a guardare prima di ogni altra cosa la propria vita, egli è ben fortunato se può avere intorno a sè per proteggerlo dalle sorprese due o tre guardie fidate e coraggiose. Trattandosi di compiere un arresto, non si parla di apparato solenne di forme legali, non si ferma la persona ricercata per la strada intimandole a nome della legge di costituirsi prigioniera; molto meno si va a picchiare alla sua casa: la risposta sarebbe probabilmente una fucilata. È assai rischioso il presentarsi all'uscio di un uomo che non abbia la coscienza netta. Uno di essi sentendo picchiare alla porta di casa, senza guardare chi fosse, tirò una fucilata e uccise il proprio fratello. Gli agenti incaricati di operare un arresto, devono mettersi il mandato di cattura in tasca, avvicinarsi alla persona ricercata, senza che se ne avveda, saltargli addosso come se si trattasse di fare una grassazione, e prima che abbia avuto il tempo di riconoscerli, metterla nella impossibilità di resistere. Non dappertutto la situazione personale dell'ufficiale di pubblica sicurezza è così tesa. Nei capoluoghi di circondario l'ispettore o il delegato si appoggia sull'autorità e responsabilità superiore del sottoprefetto, può disporre di un personale più numeroso. Nei Capiluoghi di provincie, il questore o l'ispettore con autorità maggiore, con personale ancora più numeroso e col prefetto sopra di sè, si trova in posizione ancora più vantaggiosa. Ma per tutti è eguale la difficoltà di scuoprire i delinquenti e di arrestarli in mezzo al silenzio e alla finzione dei più. Potrebbero cercar di sorprendere i delitti in flagrante, facendo sorvegliare strettamente gli ammoniti, se questa sorveglianza fosse possibile; ma con un personale insufficiente, come fare a tener dietro alle centinaia di persone sottoposte all'ammonizione, e che per la maggior parte devono per la loro professione uscire ogni mattina dal paese nella campagna e tornare la sera, quando pure non vi si devono trattenere l'intera settimana? La forza pubblica si perderà molte volte a seguire i passi di qualche ozioso o ladruncolo inoffensivo, mentre l'ammonito pericoloso compie con tutto suo comodo una grassazione o un ricatto. Inoltre chi sorveglierà la gente di libertà, cioè i facinorosi non conosciuti come tali dall'autorità? Il portare armi senza licenza non è un indizio migliore per scuoprire un delinquente. Bisognerebbe che le sole persone innocue ottenessero licenza, e più un facinoroso è temuto, e più si procura facilmente testimonianze favorevoli per ottenerla. Del resto, anche se non l'abbia ottenuta, il malfattore può avere e adoperare il suo schioppo senza che l'autorità ne sappia nulla. Si potrà rovistare la sua abitazione in paese senza trovar traccia d'arme: i carabinieri lo vedranno uscire la mattina dal paese, tranquillo e disarmato. Va a una pagliaia in campagna, piglia il fucile nascosto tra lo strame, va a prender parte alla grassazione o al ricatto, torna a nasconder l'arme e la sera rientra in paese come ne era uscito.

L'ufficiale di pubblica sicurezza è ridotto alle rare e timide denunzie provocate dal desiderio di guadagno o di vendetta, alle rarissime confidenze disinteressate di qualche proprietario ed alle ispirazioni di quella specie d'intuizione che acquista talvolta per la lunga pratica. Ma quando esso sia stato messo con tali mezzi sulle tracce di un colpevole, le difficoltà, gl'impedimenti che separano l'arresto del colpevole dalla sua condanna sono tali da rendere quasi certa l'impunità del delitto. Chiunque faccia una denunzia chiede per prima cosa di non esser compromesso, e che la sua denuncia rimanga un segreto. Se l'ufficiale di pubblica sicurezza che l'ha ricevuta vuol nonostante cercare di ottener la punizione del colpevole rivelato, tutta l'abilità e la solerzia ch'egli potrà esercitare non riesciranno a nulla senza l'opera dei magistrati. Quand'egli sia riescito a sorprendere qualche confessione, a scuoprire degli indizi, a preparare insomma gli elementi del processo, e a mettere insieme le prove della reità, ha fatto poco o nulla per ottenere la condanna. Perchè le deposizioni fatte davanti all'autorità di polizia non hanno valore di testimonianze in giudizio; tutt'al più l'ufficiale di pubblica sicurezza potrà testimoniare di averle udite.

Affinchè il processo possa andare avanti, è forza che il giudice istruttore citi dinanzi a sè il denunciatore, e i testimoni; che questi ripetano davanti a lui ciò che già dissero all'ufficiale di pubblica sicurezza, che le loro deposizioni vengano scritte dal cancelliere, firmate da loro, per essere poi esibite al dibattimento pubblico dove dovranno ripeterle ancora una volta. Chiamati davanti al giudice istruttore, testimoni e denunziatore negano naturalmente di aver detto mai nulla, o se confessano di aver parlato, si ritrattano; gl'indizi, le prove svaniscono per incanto, il processo va all'aria, il magistrato istruttore deve pronunciare o provocare l'ordinanza di non luogo a procedere. Il colpevole è rimesso in libertà con piena facoltà di deliberare fra sè e sè, se gli convenga o no di ammazzare coloro che sospetta di averlo denunziato. Se l'ufficiale di pubblica sicurezza è riuscito a cogliere gli autori e i testimoni di un reato quasi sul luogo e nel momento del delitto, il successo sarà sempre lo stesso. Egli, è vero, potrà più facilmente scuoprire indizi materiali, dirigere secondo questi le sue interrogazioni, gli sarà più facile incutere timore agl'interrogati. E così, se non sia del tutto inabile, potrà facilmente sorprendere delle contraddizioni nelle risposte, forse anche trar fuori dai più turbati qualche confessione. Ma poi, in questo come in qualunque altro caso, davanti al magistrato istruttore le confessioni sono ritrattate, le contraddizioni rimediate, nasce dalle deposizioni tutto un racconto logico, filato, dal quale resulta che il colpevole è innocente, che i testimoni non hanno visto nè sentito nulla e quasi quasi, che il delitto non è stato commesso. Non v'ha prigione tanto custodita che impedisca le comunicazioni dei carcerati fra di loro e con quelli di fuori, e il romanzo da presentarsi all'istruzione si combina senza difficoltà a traverso le mura e le inferriate.

L'ufficiale di pubblica sicurezza è più fortunato se giunge a tempo per sorprendere una prova di fatto, un corpo del reato che basti a convincere il colpevole. La cosa non è facile. Colla sterminata rete delle complicità e delle connivenze, le tracce materiali di un delitto atte a comprometterne l'autore, spariscono con una rapidità incredibile; però talvolta l'ufficiale di polizia riesce a vincere di prontezza e d'acume gli stessi malfattori. Ma nella sua fretta di sorprendere indizi e prove, egli corre gran pericolo di violare le forme richieste dalla legge, ed allora va incontro ad altri rischi. S'egli, per esempio, richiede i carabinieri di prestare l'opera loro per una perquisizione in una casa di nottetempo, senza le formalità volute dalla legge, i carabinieri si rifiuteranno. S'egli l'eseguisce per mezzo dei suoi sottoposti diretti, egli corre rischio di vedere per lo meno nei considerando della sentenza relativi a quel reato una censura al suo indirizzo.

Ad ogni passo in Sicilia si presenta questa quistione fra la inefficacia della legalità e i pericoli e i danni morali dell'arbitrio. L'impiegato di pubblica sicurezza, dallo spirito del suo ufficio, dalle tradizioni della polizia siciliana, dalla straordinaria difficoltà delle circostanze in cui si trova, è portato a invocare l'arbitrio, chiede una larga applicazione di quelli ammessi dalla legge: l'ammonizione e il domicilio coatto; chiede che si chiudano gli occhi se talvolta per salvare la società da un facinoroso, gira attorno a qualche prescrizione della legge o la viola addirittura. Invece, i magistrati sono in generale animati da altro spirito, informati a tradizioni diverse. E nemmeno a loro si può dar torto. L'uso eccessivo delle ammonizioni ha fatto fino adesso pessima prova. Raramente si è giunti a colpire con queste le persone veramente pericolose. Il numero soverchio delle persone ammonite ne rende la sorveglianza impossibile, ed il provvedimento diventa illusorio. Inoltre, se l'abuso degli arbitrii legali è nocivo, l'uso degli arbitrii illegali è pieno d'infiniti pericoli. Tolto il limite sicuro e determinato della legge, con quale criterio si potran distinguere gli arbitrii leciti, diretti al bene comune, da quelli illeciti, diretti a danno della giustizia e dell'ordine pubblico? Per quanto si possa garantire l'onestà di un ufficiale di pubblica sicurezza, chi garantirà ch'egli è abbastanza furbo per schermirsi dalle infinite astuzie dei malfattori e dei prepotenti, ch'egli non diventerà un istrumento in mano di coloro ch'egli vuole ridurre all'impotenza? La triste esperienza della prefettura militare è fatta per disgustare dalle illegalità. Tutte le soluzioni che si possono dare alla quistione sembrano ugualmente pessime; le leggi sono inefficaci, l'arbitrio pericoloso.


§ 34. - Indole del personale.

Nè è tale da diminuire l'inefficacia delle une e i pericoli dell'altro, l'indole di buona parte del personale amministrativo e giudiziario mandato in Sicilia. Il personale di pubblica sicurezza per quanto sia stato molto migliorato ultimamente, non offre sempre garanzie sufficienti. D'altra parte però, la magistratura non è sempre all'altezza del proprio ufficio. I pretori soprattutto non sono in grado di sopportare la responsabilità che pesa sopra di loro. Il delicato incaricato d'infliggere le ammonizioni richiederebbe grande intelligenza, indipendenza e coraggio; dall'oculatezza e dall'attività adoperate nei primi atti dell'istruzione dopo un delitto, spesso dipende la scoperta e l'arresto del colpevole. Ma i pretori poveri, mal pagati, siciliani per la massima parte, hanno tutto ciò che occorre per sottostare a tutte le intimidazioni, a tutte le pressioni di ogni genere, e la loro condizione non è tale da ispirar loro quello zelo, quell'attività che non guarda a disagi ed a pericoli per compiere il proprio dovere e raggiungere lo scopo; e pur troppo molto spesso subiscono infatti le pressioni e le intimidazioni, e mettono per tal modo la giustizia al servizio di coloro stessi contro i quali dovrebbe esser diretta. La magistratura superiore, quantunque in posizione più decorosa e più indipendente, è pure talvolta accessibile all'influenza di quella specie d'atmosfera che forma intorno a un tribunale l'opinione della maggioranza delle persone che sono in relazioni sociali coi giudici. Ed a questo risponde una fiaccona, una mollezza eccessiva, la mancanza di quel rigido sentimento del dovere, che solo rende capace la magistratura di far la parte che le spetta in uno Stato libero, quella di fondamento primo della società, di rappresentante cieca ed incrollabile delle leggi e del diritto; una negligenza nel sorvegliare e dirigere tutti i rami e tutti i gradi dell'azienda giudiziaria, che rende sterili le qualità di quelli fra i magistrati che sono all'altezza del loro còmpito(24).


§ 35.- Prefetti e sottoprefetti. Loro impotenza contro gli abusi.

A capo delle provincie e dei circondari muniti di siffatto personale, sopra il personale di pubblica sicurezza, accanto alla magistratura, di fronte alla popolazione, stanno i prefetti e sottoprefetti venuti a rappresentare il Governo ed il suo spirito, ad assicurare l'onestà nelle amministrazioni, a conservare l'ordine e la sicurezza pubblica. Il funzionario giunto da un'altra parte d'Italia, ignorante delle condizioni sociali dell'Isola, per farsi un'idea del nuovo ambiente in cui è entrato, si dirige naturalmente ai cittadini. S'egli ha, come è probabile, la mente piena di racconti sul disprezzo del Siciliani per l'autorità e per le leggi, sull'asprezza delle rivalità fra i partiti locali, sul disordine delle amministrazioni locali, egli si aspetta a vedersi, fin dai suoi primi contatti colle persone del paese, aprir davanti, sotto una forma od un'altra, una specie d'inferno. Ed invece, si vede nel più dei casi trattato con ogni maniera di cortesie. Se interroga sulle condizioni del paese, sente bensì lamenti sulla pubblica sicurezza, sulla gravezza delle tasse, spesso sulla ingiustizia o sul poco tatto del suo predecessore; ma per il rimanente, tutto va bene nelle amministrazioni comunali; nelle Opere pie regna l'ordine il più perfetto e l'onestà la più illibata; le varie classi sono nell'unione la più cordiale e formano una vasta famiglia. Del resto, tutti faranno a gara per consigliarlo, per avvertirlo delle difficoltà, dei rischi cui va incontro. Il suo predecessore non ha fatto ottima riuscita perchè ha creduto di doversi appoggiare sopra certe persone, sopra certi interessi, oppure perchè ha urtato certe suscettibilità rispettabili: i Siciliani sono un popolo che ha bisogno di esser preso per il suo verso, di esser ben conosciuto, ed allora il governarlo è facilissimo. Peraltro, egli può far conto sui consigli, sull'aiuto di chi gli parla. Da tutte le parti, il funzionario nuovo venuto si sente fare i medesimi discorsi e le medesime offerte, dare i medesimi avvertimenti. La sola cosa che muti a seconda degli interlocutori, è il nome delle persone di cui deve diffidare e star lontano, Però, quando egli, più o meno edificato da queste manifestazioni secondo che è meno o più furbo, principia a metter mano agli affari correnti, ed a guardare ciò che si fa nei Comuni e nelle altre amministrazioni locali, la scena muta a poco a poco. Sia pure egli tanto fortunato da non trovare una enorme quantità di affari arretrati e i bilanci comunali da parecchi anni lasciati senza revisione dal suo predecessore, troppo assorbito dalle cure della sicurezza pubblica o delle elezioni politiche, le difficoltà non saranno per questo minori. L'apparenza dell'amministrazione sarà diversa secondo i luoghi. Troverà i bilanci di alcuni Comuni sapientemente redatti colle forme e le apparenze della legge rigidamente osservate; ad un esame superficiale nulla tradirà la minima illegalità, il minimo abuso. Altri bilanci invece manifesteranno la più grossolana incapacità ed ignoranza nei loro autori, tutte le prescrizioni della legge saranno state fraintese, e occorrerà un lavoro improbo per ritrovarsi in mezzo a una confusione di cifre senza ordine nè ragione. Ma per quanto possano essere diversi nella forma, sono simili nel maggior numero di essi i disordini e gli abusi. In un grandissimo numero di Comuni è mostruosa l'ingiustizia nella distribuzione delle imposte a vantaggio di chi comanda; le rendite e gli uffici del Municipio servono ad arricchire o sostentare le persone che hanno in mano il Consiglio comunale, i loro parenti, amici, aderenti; le rendite delle Opere pie, i capitali dei Monti frumentari, servono loro ad acquistare nuovi partigiani, e ad assicurarsi gli antichi; le liste elettorali sono l'oggetto di un perenne giuoco di bussolotti. Cogli abili, il funzionario deve lottare di astuzia e di acume per rendere manifeste le irregolarità e le magagne che si nascondono sotto le forme regolari, per eludere gl'infiniti cavilli coi quali cercano di mantenersi entro i limiti della lettera della legge; cogl'ignoranti, deve esercitare facoltà di tutt'altra specie, per fare entrare in menti incolte ed ottuse concetti che queste sono incapaci di comprendere. È accaduto a un sottoprefetto di dover chiamare nel suo ufficio dei sindaci, degli assessori municipali, e far loro durante delle ore la lezione come un maestro di scuola, per far intendere ad essi alcune modificazioni portate da un regolamento alla redazione dei bilanci comunali. Ma si tratti di esperti o di ignoranti, il funzionario cui preme il suo dovere, deve ugualmente accingersi, nel maggior numero dei casi, a combattere disordini, abusi, ingiustizie. Allora principia per lui la dura prova. Tutti coloro cui l'applicazione della legge toglie un guadagno illecito, un mezzo d'influenza, o scema per poco la reputazione d'onnipotenza e d'infallibilità, e con loro tutti i loro parenti, amici o aderenti, principiano un coro di lamenti e di recriminazioni; s'ordisce una congiura di accuse, al bisogno di calunnie, senza posa. Si cerca l'aiuto di persone influenti a Roma, si reclama l'alleanza del deputato del collegio, quando si sia contribuito alla sua elezione; s'invoca la protezione del senatore più vicino. Il funzionario vede nascere, crescere ed ingigantire intorno a sè la bufera. A meno che sia dotato di una energia sovrumana, cerca istintivamente un sostegno. Se vi ha in paese un partito opposto alle persone che hanno avuti lesi i loro interessi, l'appoggio è bell'e trovato: non occorre cercarlo, si presenta da sè. E sarebbe chieder troppo ad un impiegato il volere che, assalito con tanto accanimento, mal sicuro dell'appoggio dei suoi superiori, egli non si abbandoni nelle braccia che gli si porgono con tanta cordialità, e non accetti l'alleanza offertagli. Da quel momento in poi, per un processo naturale dell'animo umano, qualunque pensiero, per quanto fosse prima dominante nella mente di quel funzionario, ne sparisce a poco a poco per dar luogo alla cura immediata della sua difesa: ed il successo di questa dipende dall'aiuto dei nuovi alleati. Poco a poco è trascinato a fare tutte quelle concessioni, che devono assicurargli questo aiuto, e di concessione in concessione, arriva a tollerare, a favorire, a vantaggio di quelle, le stesse illegalità, per impedire le quali egli ha sollevato contro di sè la tempesta. Da allora in poi egli diventa l'istrumento del partito o della camarilla, che l'ha preso a proteggere. Questa lo porta attorno come un trofeo della sua potenza, ne fa un'arme per i suoi soprusi, e se prima aveva da combattere aspramente ogni giorno per guadagnare e conservare una preponderanza mal sicura, adesso trionfa addirittura e s'impone senza contrasto per mezzo di lui.

Se poi per caso strano il funzionario ha il coraggio piuttosto unico che raro di resistere alle lusinghe come agli assalti, e di tenere alta la bandiera della legge di fronte a tutti; oppure se le persone che ha avuta la sventura di offendere non hanno rivali nel comando, allora la sua posizione è quasi disperata. Se non è siciliano, alle accuse contro la sua persona si aggiunge il lamento che gl'impiegati continentali sono incapaci di capire gl'isolani, non sanno rispettare le loro giuste suscettibilità, sono inatti a governarli.

Intanto crescono senza contrasto le pressioni e gl'intrighi presso il Ministero, si sorveglia ogni atto, ogni parola, ogni movimento del perseguitato per coglierlo in fallo. E quando egli ha commesso qualche errore, inevitabile in una situazione così difficile ed esasperante, urli, scandali, contumelie; si grida all'immoralità, alla ingiustizia, si invocano perfino le leggi. Alla fine, il Ministero o per ignoranza del vero stato delle cose o per stanchezza, o per non perdere il voto in Parlamento, o per paura di ciò che crede esser l'opinione pubblica, cede, e trasloca il funzionario. È accaduto però lo strano caso che il Governo resistesse fino all'ultimo, cioè fino alla prima crisi ministeriale.

Allora è il ministro nuovo che trasloca l'impiegato. Ma sia stato il trasloco ordinato dal ministro vecchio o nuovo, l'effetto è sempre lo stesso, cresce il disprezzo per il Governo e per i suoi agenti: nel volgo, perchè si conferma sempre più in lui l'idea che il rappresentante dell'autorità non è altro che persona posta dal Governo al servizio della influenza dei potenti del luogo, i quali hanno buoni mezzi di far punire ogni suo atto di insubordinazione; nelle persone influenti e prepotenti, perchè vedono quanto sia loro facile di trionfare della legge e di chi la rappresenta. Se poi un funzionario superiore riesce a rimanere lungo tempo nel suo posto facendosi tollerare, allora il disprezzo cresce più che mai, perchè ciò nel maggior numero dei casi può accadere solamente quando esso o sia tanto privo d'intelligenza da non capir nulla di quanto accade intorno a lui, o si sia lasciato corromper fin da principio, o sia di una debolezza eccessiva.

Chi potrà rimproverare a un funzionario posto in siffatte circostanze s'egli finisce coll'abbandonarsi all'influenza dell'ambiente, e coll'andare avanti a furia d'illegalità, di compromessi? Allora i lamenti, le recriminazioni crescono più che mai: abitanti e funzionari si rimproverano a vicenda le illegalità e le prepotenze, ognuno esagera dal canto suo. Una persona capitata da poco non trova filo per condursi in questo laberinto di vero e di falso, di torti che s'intrecciano, e si sente l'animo tormentato da quell'eterna quistione che pesa continuamente come un incubo sulla mente di chiunque studi le condizioni di Sicilia. Di chi è la colpa? Se da una parte le persone del paese non si curano delle leggi che per trovare i migliori modi di eluderle e di violarne almeno lo spirito, dall'altra non sono pochi nemmeno gli arbitrii e le illegalità dei rappresentanti del Governo. E queste non hanno sempre il fine di avvantaggiare l'interesse pubblico. Sono numerosi gli esempi di funzionari che hanno approfittato della forma che traevano dal loro ufficio per soddisfare rancori personali o avvantaggiare i loro interessi privati. Se gli abitanti, nel massimo numero dei casi, usano ogni mezzo per volgere a loro vantaggio privato i patrimoni dei Comuni e delle Opere pie, lo possono fare spesso per la negligenza e la fiaccona delle autorità incaricate di sorvegliare queste amministrazioni. Nella penuria in cui sono di vie rotabili, i Siciliani vedono talvolta lo Stato spendere inutilmente denari in costruzione di strade che franano appena aperte alla circolazione, e ciò per la scandalosa negligenza del proprio dovere per parte di taluni uffici del genio civile, dove la visita di collaudo si rimette dal capo al suo sottoposto, da questo al suo inferiore, e così di seguito finchè la visita e la verificazione vien fatta da un impiegato d'ordine infimo. Se gl'impiegati in taluni luoghi si lamentano dell'antipatia e dell'astio della popolazione, che li tratta e li considera come se fossero venuti alla coda di un esercito invasore, d'altra parte gli abitanti si lamentano a ragione della mancanza di riguardi di molti funzionari ed ufficiali dell'esercito per i loro costumi, per le loro tradizioni; dell'aperto disprezzo col quale questi trattano la popolazione in mezzo alla quale sono. Gl'impiegati continentali devono fare spesso ai Siciliani quell'impressione che fanno e soprattutto facevano per l'innanzi agli Italiani delle altre provincie i Francesi, quando venivano a denigrare e disprezzare tutto ad alta voce paragonando il nostro paese al loro. E dovrebbe pure esser gran cura di non urtare inutilmente una popolazione, dalla quale pur troppe idee o costumi inveterati si devono per necessità svellere ad ogni costo, perchè incompatibili col sistema di Governo italiano.

Ad ogni modo, di chiunque sia la colpa, il risultato chiaro e certo, è che la legge non si rispetta se non da chi non è abbastanza ardito per violarla; che, per chiunque altro, la legge e l'autorità non sono se non un mezzo per prevalere più sicuramente contro ogni diritto ed ogni giustizia; che quantunque vi siano e leggi e funzionari e tribunali e forza pubblica, il patrimonio pubblico è di chi se lo sa prendere, le vite e le sostanze dei cittadini sono in balìa dei più prepotenti; che per i monti, per le selve, per i campi, per le strade, si ammazza, si ruba, si ricatta, quasi sempre impunemente.

Note

*(18) Vedi: Resoconto del processo di Angelo Pugliese, per l'avvocato ANTONINO AJELLO. Atto di accusa del sostituto procuratore generale Vincenzo Noce, pag. 14 e seg. Palermo, 1868.

  • (19) ".... I fratelli Di Lorenzo di Gibellina e i signori Militello da Montemaggiore furono assassinati per aver chiuso la porta in faccia ai briganti. Il signor Mancuso di Palazzo Adriano fu ricattato per aver negato ai briganti alcuni mantelli" (Il Brigantaggio in Sicilia. - Cause - Rimedi. Di autore anonimo. Palermo, tip. Dolcemascolo, 1876).
  • (20) Vedi la descrizione vivace e pittoresca che fa del campiere facinoroso il Cattani nella sua pregevolissima opera sull'Economia agraria in Sicilia, vol. I, pag. 103 e seg.
  • (21) Vedi, a pag. 37, l'opuscolo: Il brigantaggio in Sicilia, di autore anonimo. Palermo, 1876.
  • (22) Al principio del 1875 v'erano in Sicilia 578 guardie di pubblica sicurezza, fra cui 382 continentali, il rimanente siciliani (Camera dei Deputati. Documenti n° 24-A. Allegato n° 19).
  • (23) "I distaccamenti di truppa comandati in servizio di pubblica sicurezza devono in oggi essere mutati in ogni trimestre; affinchè i Comuni non abbiano diritto a ricusare la somministrazione degli alloggi. Mutando ad ogni tre mesi, la spesa non varia per i municipi, e il servizio che si ottiene è necessariamente men buono" (Relazione dell'on. Gerra sull'attuazione in Sicilia dei provvedimenti di pubblica sicurezza, ordinati con istruzioni ministeriali 1° settembre 1874. Camera dei Deputati. Sessione 1874-75. Documenti n° 24-bis, pag. 46, col. 1).
  • (24) "E non vi sarà forse discaro il sapere come la esecuzione delle sentenze penali sia stata fra i precipui scopi della procura generale. Avvegnachè, non parrà vero, ma pure è assai spesso per lo passato intervenuto; che dopo un lavorìo durato mesi ed anni, correndo dai pretori ai tribunali, alle corti d'appello e alla Cassazione per ottenere una sentenza di condanna, quando il giudicabile non era già detenuto, se ne rimanesse tranquillo a casa, e la condanna restasse obliata negli archivi delle cancellerie, rimettendoci lo Stato pur le spese del processo, fosse desidia o altro peggior malanno nei cancellieri o altri più bassi ufficiali di giustizia". Discorso inaugurale del 5 gennaio 1874 della Procura generale di Palermo, citato nella relazione Depretis sul progetto di legge per i provvedimenti eccezionali di pubblica sicurezza (Camera dei Deputati. Sessione 1874-75. Documenti n° 24-A, pag. 20 e 21).