Vai al contenuto

Condizioni politiche e amministrative della Sicilia/V

Da Wikisource.
IncludiIntestazione

17 dicembre 2011 25% Da definire

§ 97. -Come, per il sistema di governo in vigore in Italia, la classe dominante sia considerata quale interprete dei bisogni dell'intera popolazione.

Negli Stati costituzionali, i quali come l'Italia intendono reggersi per mezzo della classe media, il fondamento di tutto il meccanismo governativo sta nelle influenze locali. Il Ministero governa per mezzo della maggioranza dei deputati alla Camera, e l'elezione di questi dipende in gran parte dalle persone che per qualsiasi cagione possono influire sui voti degli elettori in ogni collegio. Ancor quando il Ministero usi per determinare l'indirizzo di queste persone influenti i mezzi di cui dispone, questi non possono essere che promesse o minacce, ed in conseguenza si risolvono inevitabilmente nel favorire o nell'avversare quelle persone stesse nei loro interessi. Questi interessi medesimi, nell'atto pratico, trovano inoltre validi avvocati ed intercessori nei deputati eletti. I bisogni e i desideri manifestati da queste persone influenti, determinando la scelta d'un deputato piuttostochè di un altro, sono necessariamente considerati come bisogni e desiderii del paese. Per modo che l'opinione di quelle costituisce l'opinione pubblica. Imbevuto dallo spirito di siffatto ordinamento l'intero sistema del Governo, ne risulta che questo per determinare l'indirizzo della sua politica in tutto il paese ed in ciascuna delle sue parti, cerca di conoscere i desiderii della maggioranza di queste persone influenti rispettivamente in tutto il paese ed in ciascuna parte di esso. E siccome in teoria, i desiderii della maggioranza di esse rappresentano quelli della maggioranza della classe media, i quali a loro volta sono supposti rappresentare quelli della maggioranza dell'intera popolazione; siccome i desiderii dell'intera popolazione si considerano come la espressione dei suoi bisogni, il Governo che si uniformi ai desiderii della maggioranza di quelle persone influenti, regge in teoria l'Italia tutta e le sue singole parti conformemente ai loro bisogni; considera sè stesso ed è considerato da quell'opinion pubblica che ha organi e voce, come un Governo che abbia raggiunto il suo fine. Il detto adesso intorno all'indirizzo nella politica generale, si può ripetere in quanto riguarda i particolari dell'amministrazione in ciascuna località. Difatti, il criterio per giudicare se i funzionari mandativi soddisfanno o no per le loro qualità personali e per gli atti della loro amministrazione, ai bisogni della generalità della popolazione, è l'approvazione o disapprovazione delle più influenti fra quelle persone medesime.

L'autorità delle persone influenti di ciascun luogo, qualunque sia l'origine e la cagione di questa influenza, è dunque riconosciuta, sancita e adoperata dal Governo, e queste costituiscono in conseguenza anche nella politica e nell'amministrazione, la classe dominante. Da tutto ciò risulta che, se da un lato l'intervento diretto della classe dominante, nella amministrazione locale, è fino a un certo punto sottoposto per le leggi vigenti al controllo del Governo, dall'altro non vi ha appello contro l'intervento dell'influenza di quella classe medesima su l'indirizzo del Governo stesso, il quale invece è da essa controllato. Per altro, se da un lato si suppone che i desiderii di questa classe rappresentino i bisogni della generalità della popolazione, dall'altro, taluni di questi bisogni sono conosciuti a priori, per essere stati sanciti dai rappresentanti stessi di essa colle leggi. I principali fra questi bisogni sono il mantenimento dell'ordine pubblico e l'amministrazione a vantaggio dell'universale dei pubblici patrimoni sotto tutte le loro forme. Per quanto si possa discutere se i mezzi adoperati per raggiungere questi fini rispondano realmente ai bisogni di tale o tal'altra parte d'Italia, non è discusso da nessuno, almeno ufficialmente, che il raggiungerli corrisponda al bisogno dell'intera popolazione. Date queste premesse, risulta a termini di logica che la classe dominante, rappresentando gl'interessi generali, l'adoperarla nel Governo è il miglior modo di raggiunger fini corrispondenti al bisogno dell'universale, quali sono il mantenimento dell'ordine pubblico e la retta amministrazione dei pubblici patrimoni.


§ 98. - Come in Sicilia il fatto non risponda alla teoria di governo ricevuta in Italia.

Non è questo il luogo di ricercare fino a qual punto il fatto risponda alla teoria nell'Italia in generale. Certo è che non vi risponde in Sicilia. Quivi la classe abbiente è scarsa, e in questa l'influenza e l'autorità è monopolio esclusivo di pochissimi. Essi soli hanno voce tanto forte da farsi sentire, e mezzi tanto efficaci da farsi temere dal Governo; da loro dipende l'elezione dei deputati; a piacer loro si manifestano quei fenomeni che in altri paesi sono a torto od a ragione considerati come la espressione dell'opinione pubblica. D'altra parte, gli interessi di questi pochi non hanno nulla che fare con quelli della popolazione in generale; sono interessi strettamente personali di loro o di quegli altri individui che per relazioni di clientela fanno capo a loro. Diremo più: se l'interesse generale sta principalmente nella pubblica sicurezza, nell'impiego a vantaggio di tutti del pubblico patrimonio, nell'applicare in modo uguale per tutti le leggi di ogni specie, gl'interessi di quei pochi sono contrari a quelli dell'universale, giacchè quello che per loro importa più, è di mantenere la propria autorità, e questa si fonda in parte, ne abbiano essi o no coscenza, sul proteggere e sul mantenere in stato i malfattori; e si fonda del tutto sull'assicurare a sè, e più che a sè ai propri clienti, sotto una forma o sotto un'altra, l'utile dei patrimoni pubblici di ogni specie; finalmente sul far prevalere, ovunque sia bisogno, a vantaggio proprio e dei clienti, la propria volontà, sopra quella della legge.

In conseguenza, più un provvedimento o un funzionario sono efficaci nel promuovere il vantaggio generale, maggiore è l'opposizione che incontrano in quel ristretto numero di persone che in Sicilia forma la classe dominante: opposizione nel maggior numero dei casi sincerissima, come quella di persone che non conoscono nè ammettono stato sociale diverso da quello in cui vivono. Di modo che un Governo il quale si regoli sull'approvazione o disapprovazione di quella classe per conoscere se i provvedimenti che prende e i funzionari che invia sono o no realmente vantaggiosi per l'interesse generale, otterrà dalla prova resultati opposti alla realtà dei fatti e alle più ragionevoli previsioni.


§ 99. - Effetti della contradizione fra la teoria e il fatto, sui procedimenti del Governo italiano in Sicilia.

Così difatti dal 1860 in poi è accaduto e accade tuttora a tutti i Ministeri d'ogni partito che si sono succeduti al potere in Italia. I quali vedendo nascere risultati tanto inaspettati dal criterio, secondo il quale intendevano giudicare la bontà dei propri atti, mancata loro la regola di condotta, andarono a tastoni, pur sempre sforzandosi di conciliare due cose inconciliabili e brancolando d'insuccesso in insuccesso. E siccome quando cerca l'interesse generale non riesce ad ottenere ciò che crede essere l'approvazione pubblica, e quando ricerca questa si allontana fatalmente da quello, così il Governo, nel continuo correr dietro dell'uno e dell'altra insieme, vien trascinato in una disperata altalena, e, secondo la impressione del momento corre da un eccesso nell'altro. Spesseggiano i delitti, accade un fatto più rumoroso che all'ordinario; il Ministero manda istruzioni energiche ai suoi rappresentanti, prende provvedimenti vigorosi, si moltiplicano gli arresti, le ammonizioni, gli invii a domicilio coatto, si giunge talvolta fino alla illegalità. Allora principiano le preghiere, le intercessioni di persone influenti, i reclami, cresce il clamore. Il Governo s'intimorisce, tituba, cede, abbandona i suoi funzionari, li trasloca. Nel medesimo modo, da un lato chiede alla Camera provvedimenti eccezionali, dall'altro butta via cinque milioni per una società ormai irrevocabilmente condannata al fallimento. In mezzo a questo confuso avvicendarsi di rigori e di compiacenze, in mezzo alle incertezze nella direzione suprema, ogni funzionario va lavorando per conto proprio sul problema che tormenta l'autorità centrale, e lo scioglie a modo suo. Da un lato si fa dar la croce di cavaliere a gente che dall'altro si manda a domicilio coatto. In un luogo, l'autorità s'impone con ogni mezzo; in un altro si prefigge per scopo di far tollerare il Governo. Il quale scoraggiato, conscio della propria impotenza è troppo felice di sgravarsi della sua responsabilità sopra i suoi rappresentanti nell'Isola, e giunge ad ignorare gli atti loro al punto di lasciarli tentar di ristabilire la sicurezza pubblica accettando l'alleanza degli stessi malfattori. Del quale fatto un Governo ci sembra doversi considerare colpevole per averlo potuto ignorare, come e quanto se l'avesse ordinato egli stesso.

In mezzo a questa inaudita confusione, rimane sola ad esser sempre ferma, costante, avveduta e coerente a sè stessa, la politica di coloro che intendono mantener sottoposta la società siciliana alla loro privata autorità, e che riescono non solo a conservar questa, ma ad accrescerla.

Imperocchè la loro influenza in Sicilia estende i suoi effetti al di là dei limiti dell'Isola fino alla capitale. I deputati, fondamento del Governo costituzionale, sono in Sicilia, come altrove, eletti nel seno della classe dominante, secondo la sua volontà, e ne rappresentano gl'interessi. Certo non è solamente in Sicilia che i deputati si adoperano per procurare ai loro elettori favori più o meno conciliabili colla legge. Ma non dappertutto il caso è così frequente, ma non dappertutto questi favori hanno l'importanza e gli effetti medesimi che in Sicilia. In un paese dove niuno crede che le leggi siano superiori a tutti e per tutti uguali, e dove è convinzione generale che la loro applicazione dipenda dalla autorità dei potentati locali, ogni concessione che venga a questi fatta ribadisce l'universale credenza: e queste concessioni sono sempre state numerose, salvo in alcuni periodi pur troppo corti. Le intercessioni hanno gli argomenti i più vari. S'intercede per risparmiare l'ammonizione a qualche mafioso di bassa sfera, come per ottenere la traslocazione di qualche alto impiegato che sia incorso nella disgrazia dei maggiorenti locali. Si potrebbe dire che i deputati siciliani hanno dai loro elettori il mandato, più che di far nuove leggi di procurare che sieno fatte eccezioni a quelle in vigore. Certamente non tutte le intercessioni hanno buon successo. Ma troppe sono quelle che l'ottengono.

I favori non si concedono solamente dal potere centrale o per suo ordine. Molti funzionari d'ogni grado e d'ogni ordine, i quali hanno uffici nell'Isola, ne concedono per conto proprio, oppure tollerano abusi, il che equivale a conceder favori. E la cosa è naturale. Da un lato, vedendosi abbandonati dall'autorità centrale, è facile che si lascino andare a contentar la gente per aver pace. Dall'altro, il personale amministrativo, per ciò che riguarda gli elementi continentali, subiva e subisce tuttora, in quella parte che non è stata depurata o che fu dopo la depurazione peggiorata, gli effetti dell'ambiente. In quanto agl'impiegati siciliani, già dicemmo come il desiderio di acquistare influenza o protezione nel loro paese, sia, per la massima parte di loro, ragione più che sufficente per conceder favori. Se si aggiunge ai casi di favori realmente concessi, quelli in cui le persone influenti attribuiscono alla loro intercessione il merito della giustizia che sarebbe stata ad ogni modo resa, non sarà difficile capire come non solo si mantenga, ma cresca ognora nella gran massa dei Siciliani la convinzione che all'autorità dei loro piccoli potentati locali cedono Legge e Governo. E così avviene che quest'ultimo diventi sempre maggiormente in Sicilia un oggetto di disprezzo e di ludibrio; che, allorquando in qualche accesso spasmodico di energia fa sentir la sua forza, faccia quasi l'effetto di rivoltarsi contro le autorità legittime che dominano nell'Isola ed ecciti odio senza rispetto. Così il Governo, nel cercare di affezionarsi gli elementi locali, vede le sue concessioni voltate a suo danno, e dove cerca di farsi della classe dominante uno istrumento, diventa invece istrumento di lei; al punto che se talvolta sembra aver forza alcuna, vuol dire che è venuto in mano ad un partito locale.

Bene è vero che allora diventa potente e i suoi mezzi di azione non hanno più limiti. Perchè se le illegalità commesse dal Governo per proprio conto, possono trovare un ostacolo nelle manifestazioni dell'opinion pubblica e negli altri mezzi che il sistema costituzionale concede ai cittadini per reagire, questi mezzi non servono contro le prepotenze di un partito locale che si valga dell'autorità pubblica per predominare. Le garanzie costituzionali non hanno effetto contro quegli abusi cui i cittadini sono più esposti in Sicilia. Se ne fece la prova sotto la prefettura militare, allorquando gli eccessi di quella frazione della mafia che aveva in mano la polizia, si commisero per parecchio tempo in mezzo al silenzio generale, e quando s'alzò qualche voce coraggiosa, rimase senza eco, finchè lo scandalo fu portato in Parlamento. Tutt'al più in questi casi si addosseranno gli eccessi commessi al Governo, il quale ne assume l'odiosità senza averne il profitto, e trae le castagne dal fuoco a vantaggio dei despoti locali, continuando sempre a fare di fronte ai Siciliani la parte del tiranno babbeo ed impotente; un chè di simile al vecchio marito ingannato delle vecchie commedie.

E durerà a fare questa parte in Sicilia, finchè non si sarà deciso a rinunziare o all'appoggio della classe dominante, o all'adempimento dei suoi fini più essenziali. Fino a quel momento il suo continuo tentennare finirà sempre inevitabilmente nella ricerca del primo a danno dei secondi. Ve lo trascinano fatalmente tutte le forze di cui si compone il nostro sistema politico. E quanto maggiormente un ministero si vanterà di esser liberale e di governare secondo la volontà del paese, tanto più governerà la Sicilia secondo gl'interessi della ristrettissima classe che vi domina, e transigerà con lei in ogni particolare.

Ma la prima condizione perchè il Governo si rassegni a rinunziare all'una o all'altra di queste due cose, è che si convinca della loro incompatibilità. E questa convinzione è più difficile ad ottenersi che non sembri a prima vista, giacchè richiede che il Governo conosca realmente le condizioni della Sicilia, cosa difficile.


§ 100. - Come sia impossibile al Governo nelle condizioni attuali, di conoscere i veri bisogni della Sicilia.

Nello stato attuale delle cose, è quasi impossibile che il Governo giunga a questa cognizione. Difatti per conoscere le condizioni di ciascuna parte d'Italia, non ha che due mezzi; le relazioni dei suoi funzionari, e le manifestazioni dell'opinione pubblica locale. Per i funzionari governativi, sono grandi dappertutto, e specialmente in Sicilia, le difficoltà che loro impediscono di conoscere le condizioni generali di una regione; sono maggiori ancora quelle che impediscono ad essi di manifestarle quando le abbiano conosciute. Prima di ogni cosa, il soggiorno dei funzionari in Sicilia è troppo breve per permetter loro, non solo di fare del paese uno studio generale o ragionato, ma nemmeno di acquistare le cognizioni più indispensabili per il disimpegno degli affari correnti. Senza parlare delle frequenti traslocazioni provocate dalle influenze locali, i funzionari governativi mandativi con pochissimi e spesso punti vantaggi eccezionali, appena giunti se non sono nati nell'Isola, non hanno, almeno nel più dei casi, cura maggiore che quella di ottenere in ogni modo di esser richiamati sul Continente. In un siffatto stato d'animo, il più che si possa aspettare da essi è lo stretto adempimento del loro dovere professionale. D'altra parte anche i maggiori fra loro, preposti ad una sola provincia dell'Isola, hanno un campo d'osservazione troppo ristretto. Inoltre, la cura incessante dei particolari, che pure hanno una grandissima importanza immediata, dà loro un abito di mente poco atto alle considerazioni generali. Per modo che i soli i quali sarebbero atti a dare buoni giudizi, sono quei pochissimi fra i funzionari nati in Sicilia, che non dividono i modi di sentire e di vedere dei loro compaesani.

Per altro, quando pure un funzionario governativo si fosse persuaso che il governar bene la Sicilia coll'aiuto dei Siciliani è e sarà, almeno per un certo tempo, impossibile; se avesse il non comune coraggio di dichiararlo, egli probabilmente, non farebbe altro che recar danno a sè stesso. Un'eresia tanto orribile chiamerebbe sul suo capo le scomuniche del liberalismo dottrinario che in Italia domina assoluto nelle regioni ufficiali senza distinzione di partito. Pioverebbero le interpellanze in Parlamento; si chiederebbero spiegazioni ai Ministri sulle gravi insinuazioni fatte da quel funzionario. Nella discussione di queste, i più mansueti gli darebbero del codino e del borbonico, gli sarebbe rovesciato addosso tutto il frasario consacrato, si parlerebbe molto di libertà, di dignità e di altre cose simili. Sarebbe votato a grande maggioranza un ordine del giorno che condannerebbe altamente lo sciagurato, colpevole di aver offeso una delle più nobili parti d'Italia, ed egli sarebbe troppo felice se riescisse a cavarsela con una traslocazione.

Però, chi dopo la seduta volesse levarsi il gusto di ascoltare i discorsi dei deputati, e magari dei ministri negli anditi della Camera, per le vie, nelle trattorie, nei caffè, nei salotti, potrebbe sentire la maggior parte di loro, compresi molti siciliani, fare discorsi ben diversi da quelli uditi nella seduta pubblica. - Certo gli apprezzamenti di quel funzionario erano esagerati, le sue conclusioni sono inammissibili, però molto di ciò che ha detto è vero. Ma bisognava dare una soddisfazione all'opinione pubblica siciliana. -


§ 101. - Di che cosa sia costituita l'opinione pubblica in Sicilia. Se fosse possibile fare la statistica degli elementi che compongono la cosiddetta opinione pubblica, si otterrebbero, crediamo, in tutta Italia risultati stranissimi. Ma in nessuna parte tanto strani come nelle province meridionali, e specialmente in Sicilia. Ivi la gran massa della popolazione non ha voce, o l'ha così debole, che chi sia un poco lontano non l'ode. Per modo che, in mezzo al silenzio generale, quelle poche voci che sono in grado di farsi sentire, sembrano quelle dell'intera popolazione. Così avviene che si creda generalmente da tutto il pubblico italiano, essere rappresentati gl'interessi e i desiderii di tutta la popolazione e di tutta l'Isola da quelli delle poche persone che dispongono dei consigli locali, degli istituti pubblici d'ogni specie, dei giornali, che sono in grado di organizzare ed eccitare dimostrazioni popolari; e da quelli delle città che per la loro importanza storica ed economica, per il numero della loro classe colta sono in grado di farsi sentire. Questa illusione acustica è tanto potente da imporsi a quelli stessi che ne approfittano, e che spesso credono di rappresentare realmente i desiderii dell'Isola intera. Sono innumerevoli gli esempi che mostrano quanto poco abbia che fare cogl'interessi della Sicilia la parvenza d'opinione pubblica siciliana. Nessuno però è evidente quanto il caso recente del sussidio concesso dal Governo alla società di navigazione La Trinacria. Il Ministero volendo dar prova della sua sollecitudine per gl'interessi dell'Isola, non trovò modo migliore che di venire in soccorso di qualche intraprenditore più ardito che felice, il quale stava dibattendosi contro il fallimento ormai inevitabile, e dei capitalisti che avevano compromesso nell'impresa di quello parte dei proprii averi. Poniamo pure che il sacrifizio del Governo fosse creduto efficace da chi dava il soccorso e da chi lo riceveva. Ma è certo però che non sarebbe occorso cercar molto per trovar modo d'impiegare quei cinque milioni con maggiore utilità della Sicilia in generale, che col tenere in vita una società di navigazione. Non intendiamo qui discutere la quistione se importasse più all'interesse generale d'Italia il reggere in piedi una gran società di navigazione o, per esempio, costruire per cinque milioni di nuove strade in Sicilia. Asseriamo bensì che, riguardo alla Sicilia e considerata in particolare, volendo spendere cinque milioni a pro di essa, lo spenderli come si è fatto, anche sotto forma di anticipazione, era curare gl'interessi non della Sicilia, ma di pochissimi Siciliani.

Un altro effetto di questo predominio di una finta opinione pubblica, e più grave nei suoi risultati, ci si presenta in ciò che potremmo chiamare quistione di Palermo. La classe colta di Palermo sostiene, ed in massima parte crede, che gl'interessi della sua città sono quelli di tutta la Sicilia; che col favorir Palermo si giova alla Sicilia intera, e le si nuoce coll'avversarla. Ora, basta fare una corsa nell'Isola per convincersi che non solo il fatto non sta così, ma ancora che vi è antagonismo fra la parte orientale dell'Isola e Palermo. Del resto la rivalità fra quest'ultima e Messina è secolare. Certamente gl'interessi di Palermo sono importantissimi, come quelli di qualunque altra città di duecento e più migliaia di abitanti, principale centro intellettuale di una regione d'Italia. Come porto di mare relativamente considerevole, i suoi interessi sono collegati con quelli di tutte le parti dell'Isola che vi hanno lo sbocco naturale dei loro prodotti; ma niente di più: Palermo è uno degli 8325 Comuni del Regno d'Italia, ed i suoi interessi devono essere coordinati a quelli dell'Isola e dell'Italia tutta. Ma il Governo in questo come in tanti altri casi si è lasciato imporre dalla parvenza di opinione pubblica. Se non che questa, nel caso presente, essendo duplice, quella cioè di Palermo e quella delle città orientali di Sicilia, il Governo, secondo che si abbandonava all'una o all'altra, ha corteggiato Palermo o le ha fatto guerra. Sempre però, avversario od alleato, ha trattato con lei da potenza a potenza, e per tal modo si è mantenuto ed accresciuto nell'universale, e soprattutto nei Palermitani, quell'esagerato sentimento dell'importanza della loro città, il quale è stato ed è tuttora di grave impedimento alla buona amministrazione ed alla prosperità materiale dell'Isola. In un siffatto stato di cose non solo gl'interessi, ma anco i sentimenti di pochi appaiono come se fossero generali. Così quell'amor proprio e quel patriottismo locale puntiglioso, che si pretende essere una caratteristica degli Isolani in generale e dei Siciliani in particolare, s'incontra nelle grandi città e specialmente in Palermo; ma appena uno s'inoltra nell'interno della Sicilia, lo vede sparire come per incanto e lo ritrova solamente in quelli che hanno subìto l'influenza delle idee e del frasario dei giornali siciliani. Del resto, qualunque sia il numero delle persone che provano questo amor proprio, non v'ha bisogno d'andare a cercare per rendersene ragione, spiegazione tanto comoda di un chè di arcano che distingua gli Isolani dal rimanente degli esseri umani. Il fenomeno è molto più semplice: Nei grandi centri è numerosa la classe colta, di coloro cioè i quali capiscono come lo stato della Sicilia differisca da quello di molti altri paesi, i quali ne soffrono, e provano quel medesimo sentimento che noi tutti Italiani proviamo viaggiando in paesi più potenti, più ricchi e più progrediti del nostro. Questo sentimento dimostra solamente che nei Siciliani vi sono elementi morali atti a farli rapidamente progredire, quando le circostanze non vi si oppongano. Se non che da questo sentimento è tratto partito molto abilmente da chi approfitta degli abusi esistenti ed è interessato al loro mantenimento, per sollevare ed attizzare, specialmente nella gioventù, uno sdegno più generoso che ragionevole, ogni qualvolta si espongano alla luce le piaghe della Sicilia e si accenni a volerle curare.


§ 103. - Partiti politici. Gli autonomisti.

Potremmo ripetere i medesimi ragionamenti riguardo alle opinioni e ai partiti cosidetti politici. Sono monopolio di pochissimi, rappresentano gl'interessi di pochi. Per lo più non hanno della politica altro che il nome, e lo assumono per valersi a fini privati, o tutt'al più di vantaggio locale, dei mezzi di azione e d'influenza che fornisce il nostro ordinamento politico. Nè fa eccezione l'opinione autonomista, che a primo aspetto potrebbe sembrare manifestazione di un patriottismo comune a tutti i Siciliani. Non è altro che il sentimento di pochi, provocato da varie cagioni. È l'interesse di coloro che per ambizione, vanità od altro, sperano vantaggi per sè dall'indipendenza più o meno assoluta dell'Isola; da coloro che non giungendo adesso a farsi innanzi nella folla, sperano che in un piccolo regno di Sicilia, per la minorata concorrenza degli ingegni e delle ambizioni riescirebbero ministri o poco meno, a quelli che desiderano i balli, i divertimenti e i diritti di precedenza che procurerebbe ad essi il soggiorno di una Corte a Palermo. A questo partito si aggregano tutti coloro che per i motivi i più diversi desiderano indebolire e distruggere l'ordine di cose esistente. Con ciò non intendiamo dire che non vi siano autonomisti sinceri e convinti. Crediamo che non esista opinione al mondo la quale non abbia partitanti di buona fede. Il solo fatto che una opinione esiste, è cagione che l'adottino un numero più o meno grande di persone, le quali vi sono portate dalla tendenza della loro mente, da associazioni d'idee o da caso fortuito. Le cagioni poi che hanno dato all'opinione autonomista occasione di nascere in Sicilia sono storiche. Questa non ha luogo di sorgere in una provincia che da tempo immemoriale faccia parte di una grande nazione; ma la Sicilia, dal secondo periodo del dominio musulmano fino al 1816, in tutte le sue vicende è stata sempre, almeno in teoria, un regno a sè, unita ai paesi cui era legata, solamente nella persona del sovrano. Fino a poco prima del 1860, l'idea di libertà in Sicilia, fu perciò connessa con quella d'indipendenza dell'Isola. In conseguenza, non v'ha nulla di sorprendente che la tradizione duri ancora oggi.


§ 103. - Come l'opinione pubblica siciliana non possa in niun caso servir di guida al Governo italiano.

Non staremo a moltiplicare gli esempi. Peraltro, se l'avere l'opinione pubblica siciliana una base più larga porterebbe il Governo a giudizi meno lontani dalla realtà delle cose in quanto riguarda gl'interessi speciali e momentanei, ciò non avrebbe nessuna influenza sugli apprezzamenti di questo, intorno agli interessi generali e ai rimedi più atti a migliorare le condizioni dell'Isola, considerate nel loro complesso. Riguardo a questi, già cercammo di dimostrarlo, i Siciliani d'ogni classe e d'ogni ceto, meno eccezioni individuali, sono ugualmente incapaci d'intendere il concetto del Diritto nel modo medesimo che s'intende in uno Stato del tipo moderno. E nel proporsi fini materiali apparentemente simili a quelli di uno Stato siffatto, ricorrerebbero ai mezzi i più incompatibili coi fini stessi.

A compiere l'opera prefissaci in questo volume, ci rimane da esaminare con quali mezzi possano codesti fini esser raggiunti in Sicilia.