Dal tuo al mio/Prefazione
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Pubblico questo lavoro, scritto pel teatro, senza mutare una parola del dialogo, e cercando solo di aggiungervi, colla descrizione, il colore e il rilievo che dovrebbe dargli la rappresentazione teatrale — se con minore efficacia, certamente con maggior sincerità, e in più diretta comunicazione col lettore, miglior giudice spesso, certo più sereno, faccia a faccia colla pagina scritta che gli dice e gli fa vedere assai più della scena dipinta, senza suggestione di folla e senza le modificazioni — in meglio o in peggio poco importa — che subisce necessariamente l’opera d’arte passando per un altro temperamento d’artista onde essere interpretata. Al lettore non sfuggono come non sfuggono al testimonio delle scene della vita, il senso recondito, le sfumature di detti e di frasi, i sottintesi e gli accenni che lumeggiano tante cose coi freddi caratteri della pagina scritta, come la lagrima amara o il grido disperato suonano nella fredda parola di questo metodo di verità e di sincerità artistica — quale dev’essere, perchè così è la vita, che non si svolge, ahimè, in belle scene e in tirate eloquenti. — E così anche quando l’angoscia stringe il cuore o la gola di Nina o di don Mondo; anche quando i compagni si pigliano pei capelli e afferrano il fucile.
Pel significato che si è voluto dare qua e là alla rappresentazione di questo mio lavoro teatrale, dichiaro che non ho voluto fare opera polemica, ma opera d’arte. Se il teatro e la novella, col descrivere la vita qual’è, compiono una missione umanitaria, io ho fatto la mia parte in prò degli umili e dei diseredati da un pezzo, senza bisogno di predicar l’odio e di negare la patria in nome dell’umanità. Però i Luciani d’oggi e di domani non li ho inventati io.
- Aprile 1906.
G. Verga.