Dalle dita al calcolatore/XIII/11

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11. Applicazioni ludiche

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Altro settore che ha subìto, in maniera molto importante, l’impatto della comparsa dei calcolatori è quello dei giochi: fin dagli anni sessanta, nelle varie università, si utilizzavano i calcolatori per programmi che erano simulazioni molto vicine ai giochi, ma la diffusione a livello di massa inizia nel 1972, quando Norman Bushnel, un ingegnere licenziato dalla NASA, brevetta PONG, il primo videogioco: è uno strumento che utilizza un computer, un televisore e una manopola per simulare una specie di partita a ping-pong.

Il gioco ebbe un successo commerciale immediato e Bushnel fondò una delle ditte di videogiochi più importanti nel mondo; da quel momento essi si sono moltiplicati e hanno invaso i bar e i luoghi di ritrovo fino a portare alla nascita di apposite sale.

I giochi dei bar sono quelli che, in una classificazione introdotta recentemente, rientrano nella categoria degli arcade; all’interno di essa possiamo ulteriormente distinguere i programmi che gestiscono situazioni organizzate unicamente in vista dell’aggressione per l’aggressione, come Space Invaders, e tutta la pletora di battaglie più o meno spaziali, e quelli che invece privilegiano una situazione nella quale viene premiata l’abilità, come ad esempio Pac-Man, Muro, Stix, ecc.

Va sottolineato il fatto che alcuni giochi del tipo “spara-spara” si trovano al confine tra i programmi di gioco e quelli di addestramento. Programmi di questo tipo sono utilizzati dall’aviazione militare degli Stati Uniti, e un impianto grafico-simbolico simile serve per la gestione reale di molte delle moderne armi computerizzate.

Nel 1977 due studenti dell’Università di Stanford creano il primo gioco di adventure, e nello stesso anno viene immesso in commercio un gioco di questo tipo: Dungeon. I giochi di avventura differiscono da quelli [p. 243 modifica]di arcade perché sono spesso privi di grafica e colloquiano con il giocatore visualizzando messaggi sullo schermo, ricevendo le risposte mediante parole scritte alla tastiera; in genere si tratta di labirinti da cui si deve uscire, o di situazioni complicate nelle quali affermarsi raggiungendo un certo obiettivo. Questi giochi richiedono al giocatore una velocità di riflessi molto inferiore, ma una dose di ragionamento cosciente molto superiore.

Intorno al 1974, compaiono gli home-computer, elaboratori dal costo di poche centinaia di migliaia di lire che si diffondono nelle famiglie. Solo in Italia ne sono stati venduti più di due milioni di esemplari.

Uno strumento che, anche se viene utilizzato quasi esclusivamente per il gioco, è comunque in grado di eseguire elaborazioni matematiche e gestionali piuttosto sofisticate. Questo libro, ad esempio, è stato scritto utilizzando un programma di videoscrittura (Word-processor) su un home-computer. Tali macchine, anche se non brillano certo per la loro capacità di calcolo, sono però dotate di facoltà grafiche e sonore piuttosto evolute, ed è proprio per ottenere questi risultati che compaiono le prime forme di parallelismo nell’architettura degli elaboratori. Vengono realizzati coprocessori che si occupano di compiti specifici, come la generazione di suoni, di immagini e così via. Certamente, questo non è ancora la moltiplicazione dell’unità centrale, ma è già un parziale abbandono della concezione seriale di von Neumann.

La nuova architettura si diffonde talmente che si arriva alla realizzazione, per i personal, di coprocessori matematici a cui affidare i calcoli richiesti dalla gestione delle formule del programma.

Altra categoria di giochi che si diffonde verso la fine degli anni Settanta, è quella delle simulazioni. Oltre ai simulatori di volo, di cui abbiamo già parlato, abbiamo anche simulatori di guida automobilistica e di attività sportive; e ancora, simulazioni economiche, [p. 244 modifica]biologiche e così via; è stato anche realizzato un programma che simula il funzionamento di una centrale nucleare: il giocatore deve “condurla” attraverso una serie di eventi come terremoti, guasti, ecc., evitando la fusione del nocciolo.

Come si può vedere, il confine tra i programmi di gioco e quelli di addestramento è estremamente labile, tanto che si potrebbe parlare di un’unica area di programmi con caratterizzazioni d’uso diverse.

A.K. Dewdney, che tiene la rubrica (Ri)Creazioni al calcolatore sulla rivista Le scienze, parla dei rapporti tra programmi di gioco ed educativi con una immagine molto bella, quella di due galassie che stanno entrando in collisione.

Comunque, se si vogliono dedicare due parole alla diffusione esplosiva dei videogiochi, io credo che si debba sottolineare l’aspetto di fiaba che è insito in ognuno di essi; il bisogno, spesso non soddisfatto, di immaginario e di magico, assieme al desiderio di affermazioni, relativamente facili, ottenibili mediante transfert negli eroi dei games, può servire a spiegare il loro imporsi fulmineo, anche se un discorso di tale importanza meriterebbe molto più spazio di quanto sia disponibile qui.

Viene per ultima la categoria dei giochi da tavolo, che si situa al limite con un altro settore molto interessante, quello dell’intelligenza artificiale.

Appena sono stati disponibili gli elaboratori, si è iniziato a produrre programmi per metterli in grado di giocare a scacchi; dopo gli scacchi è stata la volta della dama, del Backgammon, ecc.