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Del veltro allegorico di Dante/VII.

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VII.

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VI. VIII.

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VII. Avidissimo di vendicarsi, Malatesta di Verrucchio si afforzò di novelle amistá. Ei diè in moglie al zoppo suo figlio Giovanni, Francesca, figliuola del ravennate Guido III da Polenta, e sorella di Bernardino (1276). Così Malatesta cercava di allargare la sua possanza in Romagna: cresceva intanto quella di Carlo I suo protettore nel rimanente d’Italia, non ostante l’imperatore Rodolfo d’Austria. Corrado di Palazzo da Brescia, il vecchio si celebrato da Dante (Purg. XVI, 124), reggea Firenze per Carlo; al quale maggiormente propizio fu l’anno, in cui la tiara pontificale, quasi per ludibrio, passò da Gregorio X sul capo d’Innocenzo V, di Adriano V dei conti Fieschi e di Giovanni XXI. Chi avrebbe allora osato di resistere ai guelfi ed a Carlo? Pisa istessa costretta di chieder mercé, vide rientrare armato nelle sue mura il conte Ugolino della Gherardesca. Nondimeno l’arcivescovo di Milano Ottone Visconti, venuto a battaglia coi Torriani, scacciolli dalla cittá, e la ridusse a parte ghibellina (giugno 13, 1277). In Verona, ma per breve ora, trionfarono i guelfi, ucciso Mastino della Scala, che gloriavasi di essere portatore della bandiera dell’imperio in Italia (ottobre 17). Suo fratello Alberto trucidò gli uccisori, ed ebbe in balía la cittá. Questi svantaggi furono compensati agli occhi di Carlo I dalla esaltazione avvenuta di Niccolò III degli Orsini; pontefice cui Rodolfo d’Austria donò la Romagna, e che in principio apparve amico a Carlo di Napoli (1278). Ciò non trattenne Moroello di Corrado Malaspina e i conti Fieschi usciti di Genova dall’assaltar la Liguria e dal travagliarla con prospere armi: a queste avrebbero senza dubbio giovato le private ambizioni, che tosto resero avverso Niccolò III a Carlo di Napoli. Ma la morte ruppe i giorni e le ire del papa; e gli succede Martino IV francese (Purg. XXIV, 23), piú che altri devoto al siciliano monarca (1281).

Per grave delitto in quei tempi fu violata la pubblica fede. Maestro Adamo di Brescia, chiamato in Romena dai conti, vi falsò il fiorino di oro: e giá l’iniqua moneta lordava la Toscana, quando l’incendio della casa degli Anchioni a Borgo San Lorenzo in Mugello fece scoprire grosso numero di quei [p. 19 modifica] fiorini. Conosciuto l’autore, fu arso vivo sulla via che di Firenze conduce a Romena. Ed ivi ancora si scorge il luogo dove si crede che maestro Adamo tollerò il supplizio: ha nome la macia dell’uomo morto: il passaggiero suol gittarvi una pietra, e rammentare i bei versi coi quali a perpetua infamia Dante condannò il monetiere (Inf. XXX).