Del veltro allegorico di Dante/XIX.

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XIX.

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[p. 36 modifica]XIX. Mentre si ratti rompevano i bianchi, l’Alighieri coi meno avventati aspettava in Arezzo. Carlo di Valois facea così scarso profitto in Sicilia contro Federigo, che fu costretto a conchiuder pace con esso in nome di Carlo II: per la qual pace l’isola restò in balia del re Federigo finché vivesse. Di [p. 37 modifica] questo fatto, l’Alighieri amaramente derise Carlo di Valois sotto il nome di Totila (De vulg. eloq. lib. II, cap. 6). Grandi odii scoppiarono intanto dei bianchi contro Uguccione della Faggiola: ed ecco, dicevano, il pontefice lo assolve dalle censure, promette anzi al figlio di esso il cappello di cardinale. Messer Corso Donati rivolge il pensiero alla figlia, cui forse conobbe in Massa Trabaria. Giá si veggono raffreddati gli animi del principe dei ghibellini: giá Uguccione sembra farsi ossequioso a Corso Donati, ed avere a vile la causa dei bianchi. Perché non assaltare Firenze? o chi trattiene il suo braccio?

Ma Uguccione altrove mirava che a seguir le voglie dei bianchi; piccol tempo dianzi ardentissimi guelfi, ed ora per contese domestiche sì forte rumoreggianti fra i ghibellini. Ei non amava di corrompere il frutto della recente amicizia col papa e con Malatesta e coi Polentani; giudicando non potersi affrontare a viso aperto messer Corso, il superbo dominator di Firenze. L’Alighieri non piú guelfo dopo le atrocitá quivi commesse, ma non ancor ghibellino, sentiva col Faggiolano; e messer Corso era pur suo parente: né piú Bonifazio, venuto al sommo delle risse contro Filippo il bello per cagioni ch’egli è inutile di qui narrare, odiava coloro i quali aveano tenuto contro Carlo di Valois. A quei primi giorni dell’esilio di Dante vuolsi attribuire la sua lettera latina, oggi perduta (Popule meus, quid feci tibi?), nella quale al suo popolo chiedeva che male gli avesse fatto? Ingenua domanda, che rende manifesto non aver egli fino allora imitato i compagni col dar di piglio a quelle loro sì subite armi contro Firenze. Per questa sua temperanza gravissime ire dei bianchi, non meno che contro Uguccione, si accesero contro il poeta: lunghi anni erano trapassati e rimemorava egli ancora fra le sue maggiori sventure di esser caduto nella valle dell’esilio in compagnia si malvagia e dappoco (Par. XVII, 62): appellando matta ed empia ed ingrata (Parad. XVII, 64) quella gente, che altrove chiamò selvaggia (Inf. VI, 65). Che se vinto sì presto dall’impazienza, egli avesse voluto ciò che i bianchi facevano, in che cosa Lapo Salterelli differiva dall’Alighieri? E bene afferma il poeta di [p. 38 modifica] aver predetto ai suoi le calamitá che seguirono (Parad’. XVII, 66): ma tutto fu niente, né i bianchi ristettero. Dante adunque si tolse da essi, e partìper Verona; questo è ciò ch’egli dice, l’aver fatto parte a sé per sé stesso (Parad. XVII, 69); cercando il primo rifugio ed il primo ostello appo il gran lombardo (Parad. XVII, 70), Bartolommeo della Scala.

Né Uguccione restò in Arezzo; il che fu nuovo stimolo all’andare dell’Alighieri a Verona. Imperciocché i ravennati, per motivi di commercio e di rivalitá fra vicini, aveano intimato a Cesena la guerra; Bernardino da Polenta era capitano degli assalitori: Federigo di Monte Feltro ed Uguccione della Faggiola, non obbliosi delle ingiurie ricevute, il raggiunsero. Cesena, stretta di assedio, non fu soccorsa che da Uberto Malatesta conte di Chiazolo e figlio di Paolo il bello; quasi fosse fatale ai Malatesta ed ai Polentani di offendersi, dopo l’uccisione della coppia di Rimini. Uguccione assaltò furiosamente Cesena cogli aretini (ottobre 22), e s’impadroni dei castelli d’intorno; ma in sul finire dell’anno 1302 i bisogni di Arezzo lo richiamarono, e godè l’animo a Bonifazio VIII di vedere il guerriero temuto allontanarsi dalla Romagna. Federigo di Monte Feltro e Bernardino da Polenta proseguirono l’oppugnazione di Cesena (1303): il Faggiolano, podestá per la settima volta di Arezzo, fu spedito ambasciatore degli aretini al pontefice; che magnificamente il ricevè, confermandolo nella carica. Ignoransi ed il soggetto dell’ambasceria, e quali dritti avesse Bonifazio in Arezzo intorno all’elezione dei magistrati.