Della congiura di Catilina/XX

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[p. 16 modifica]Catilina, adunati ch’ebbe i congiurati ch’io dissi, benchè con ciascuno avesse praticato più volte, stimò pure doverli tutti riunitamente esortare. Perciò nel più intimo delle sue case con essi soli ritrattosi, così loro parlò: « Se il valor vostro e la fede non conoscessi per prova, indarno opportuna occasione ed alta speranza di dominio mi si sarebbero appresentate: nè io per dappocaggine o leggerezza il certo abbandonerei per l’incerto. Ma, in molte e grandi occorrenze, avendovi io conosciuti e forti e fedeli, accingermi ardisco alla più grande ed illustre impresa che mai si tentasse: tanto più, ch’io so non aver voi altro utile nè altro danno che il mio, e che il bramare e schifare le cose medesime, pegno egli è d’amicizia il più fermo. Io la mia mente a ciascuno di voi già separatamente dischiusi: ma di giorno in giorno vieppiù mi s’infiamma il coraggio, pensando qual vita ne avanzi, se in libertà non ci torniamo noi stessi. Dacchè la Repubblica è preda dei pochi, ad essi le genti, i Tetrarchi, i popoli, i Re, tributarj obbediscono: noi tutti, ardimentosi, dabbene, nobili, ignobili, noi tutti siam volgo, senza autorità, senza credito; e soggetti siamo a taluni, che, se fosse in vigor la Repubblica, di noi tremerebbero. E favori perciò, e potenza, ed onori, e ricchezze, stan presso loro, o presso cui voglion essi: ripulse, condanne, indigenza, e pericoli, lasciano a noi. Ora, fin quando, o fortissimi, cotal vitupero soffrirem noi? Anzi che una misera obbrobriosa vita, e fatta oramai dell’altrui superbia ludibrio, senza onore si perda; non è egli meglio da forti perire? Ma, gli uomini attesto e gli Dei, ch’ella sta in noi la vittoria: in noi, di gioventù e di valore bollenti; non in costoro, fra le diuturne ricchezze invecchiati, inviliti. A noi basta il por mano; per se medesima l’opra si compie. Qual uomo di virile animo soffrirà, che ricchezze a costoro sopravanzino da fabbricar nei mari, ed i monti appianare, mentre il necessario perfino a noi manca? Due e più palagj a costoro; a noi un tugurio neppure? Statue, vasi, intagli, pitture, essi mercano; edificano, distruggono, riedificano; in ogni modo in somma l’accumulato danaro profondendo, le lor ricchezze pur vincono il lusso. Povertade abbiam noi nelle case, e debiti fuori; cattivo il presente; pessimo dell’avvenire l’aspetto: che altro ci resta oramai, fuorch’una vita infelice? E che? non vi destate per anco? Eccola, eccola, che a voi davanti si para quella cotanto sospirata libertà: e le ricchezze con essa, lo splendore, la gloria. Tanto dà in premio ai vincitori