Della natura delle cose/Libro secondo

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Tito Lucrezio Caro - Della natura delle cose (I secolo a.C.)
Traduzione dal latino di Alessandro Marchetti (1717)
Libro secondo
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DI TITO

LUCREZIO CARO

DELLA NATURA DELLE COSE.

LIBRO SECONDO.

Dolc’è mirar da ben sicuro porto
     L’altrui fatiche all’ampio mare in mezzo,
     Se turbo il turba, o tempestoso nembo;
     Non perchè sia nostro piacer giocondo
     5Il travaglio d’alcun, ma perchè dolce
     È, se contempli il mal, di cui sei privo.
     Nè men dolce è veder schierati in campo
     Fanti, e cavalli, e cavalieri armati
     Far tra lor sanguinose aspre battaglie.
     1OMa nulla mai si può chiamar più dolce,
     Che abitar, che tener ben custoditi
     De’ Saggi i sacri templi, onde tu possa
     Quasi da Rocca eccelsa ad umil piano
     Chinar tal volta il guardo, e d’ogn’intorno
     15Mirar gli altri inquieti, e vagabondi

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     Cercar la via della lor vita, e sempre
     Contender tutti, o per sublime ingegno,
     O per nobile stirpe, e giorno, e notte
     Durare intollerabili fatiche
     20Sol per salir delle ricchezze al sommo,
     E potenza acquistar, scettri, e corone.
Misere umane menti, animi privi
     Del più bel lume di ragione: Oh quanta,
     Quanta ignoranza è quella, che v’offende!
     25Ed oh fra quanti perigliosi affanni
     Passate voi questa volante etade,
     Ciò ch’ella siasi! Or non vedete aperto,
     Che nulla brama la natura, e grida
     Altro giammai, se non che sano il corpo
     30Sia sempre; e che la mente ognor gioisca
     De’ piaceri del senso; e da se lungi
     Cacci ogni noja, ed ogni tema in bando?
     Chiaro dunque n’è pur, che poco è il nostro
     Bisogno, onde la vita si conservi,
     35Onde dal corpo ogni dolor si scacci.
     Che s’entro a regio albergo intagli aurati
     Di vezzosi fanciulli accese faci
     Non tengon nelle destre, onde abbian lume
     Le notturne vivande, emulo al giorno
     40Se non rifulge ampio palagio, e splende
     D’argento, e d’or, se di soffitte aurate
     Tempio non s’orna, e di canore cetre

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     Risonar non si sente; ah! che distesi
     Non lungi al mormorar d’un picciol rio,
     45Che il prato irrighi, i Pastorelli all’ombra
     Di selvatiche piante allegri danno
     Il dovuto ristoro al proprio corpo:
     Massime allor che la stagion novella
     Arride, e l’erbe di bei fior cosperge.
     50Nè piuttosto giammai l’ardente febbre
     Si dilegua da te, se d’oro, e d’ostro,
     E d’arazzi superbi orni il tuo letto,
     Che se in veste plebea le membra involgi.
Onde poscia che nulla al corpo giova
     55Onor, ricchezze, o nobiltade, o regno,
     Creder anco si dee, che nulla importi
     Il rimanente all’animo; se forse,
     Qualor di guerra in simolacro armate
     Miri le squadre tue, non fugge allora
     60Ogni Religion dalla tua mente
     Da tal vista atterrita; e non ti lascia
     Il petto allora il rio timor di morte
     Libero, e sciolto, d’ogni cura scarco.
     Che se tai cose esser veggiam di riso
     65Degne, e di scherno, e che i pensier nojosi
     Degli uomini seguaci, e le paure
     Pallide, e macilenti il suon dell’armi
     Temer non sanno, e delle frecce il rombo:
     Se fra Regi, e Potenti han sempre albergo

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     70Audacemente, e non apprezzan punto
     Nè dell’oro il fulgor, nè l’orgoglioso
     Chiaro splendor delle purpuree vesti,
     Qual dubbio avrai, che tutto questo avvenga
     Sol per mancanza di ragione? essendo
     75Massime tutto quanto il viver nostro
     Nell’ombre involto di profonda notte.
     Poichè siccome i fanciulletti al bujo
     Temon fantasmi insussistenti, e larve;
     Sì noi tal volta paventiamo al Sole
     80Cose, che nulla più son da temersi
     Di quelle, che future i fanciulletti
     Soglion fingersi al bujo, e spaventarsi.
     Or sì vano terror, sì cieche tenebre
     Scuoter bisogna, e via scacciar dall’animo,
     85Non co’ be’ rai del Sol, non già co’ lucidi
     Dardi del giorno a saettar poc’abili
     Fuorchè l’ombre notturne, e i sogni pallidi,
     Ma co ’l mirar della Natura, e intendere
     L’occulte cause, e la velata immagine.
90Su dunque, io prendo a ragionarti, o Memmio
     Come della Materia i primi corpi
     Generin varie cose, e generate
     Che l’hanno, le dissolvano, e da quale
     Violenza a far ciò sforzati sieno;
     95E qual abbiano ancor principio innato
     Di moversi mai sempre, e correr tutti

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     Or qua, or là per lo gran Vano a volo.
     Tu ciò ch’io parlo attentamente ascolta:
     Che certo i primi semi esser non ponno
     100Tutti insieme fra lor stivati affatto
     Veggendo noi diminuirsi ognora,
     E per soverchia età mancar le cose,
     E sottrarle vecchiezza a gli occhi nostri,
     Mentre che pur salva rimane intanto
     105La somma; conciossiachè da qualunque
     Cosa il corpo s’involi, ond’ei si parte,
     Toglie di mole, e dov’ei viene, aggiunge,
     E fa, che questo invecchia, e quel fiorisce;
     Nè punto vi si ferma. In cotal guisa
     110Il mondo si rinova, ed a vicenda
     Vivon sempre tra lor tutti i mortali.
     Se un Popol cresce, un all’incontro scema;
     E si cangian l’etadi in breve spazio
     Degli animali, e della vita accese,
     115Quasi Cursori, han le facelle in mano.
     Se credi poi, che delle cose i semi
     Possan fermarsi, e novi moti dare
     In tal guisa alle cose, erri assai lunge
     Fuor della dritta via della ragione,
     120Poichè vagando per lo spazio vuoto
     Tutti i principj, è pur mestiero al certo,
     Che sian portati, o dal suo proprio peso,
     O forse spinti dall’altrui percosse:

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     Poichè allor che s’incontrano, e di sopra
     125S’urtan veloci l’un con l’altro, avviene,
     Che varj in varie parti si riflettono;
     Nè meraviglia è ciò, poichè durissimi
     Son tutti, e nulla gl’impedisce a tergo.
     Ed acciocchè tu meglio ancor comprenda,
     130Che tutti son della materia i corpi
     Vibrati eternamente, or ti rammenta,
     Che non ha centro il mondo, ove i principj
     Possan fermarsi, ed è lo spazio vuoto
     Senza fin, senza modo intorno sparso
     135Profondissimamente in tratto immenso,
     Conforme innanzi io t’ho mostrato a lungo
     Con vive e gagliardissime ragioni.
     Il che pur noto essendo, alcuna quiete
     Per lo vano profondo i corpi primi
     140Non han giammai; ma più, e più commossi
     Da forza interna, e inquieta, e varia
     Una parte di lor s’urta, e risalta
     Per grande spazio ripercossa, e spinta;
     Un’altra ancor per picciol’intervalli
     145Vien per tal colpo a raggrupparsi insieme,
     E tutti quei, che d’union più densa
     Insieme avviluppati, ed impediti
     Dall’intricate lor figure ponno
     Sol risaltar per breve spazio indietro,
     150Formano i cerri, e le robuste querce,

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     E del ferro feroce i duri corpi,
     E i macigni, e i diaspri, e gli adamanti.
     Quelli, che vagan poi pe ’l Vuoto immenso,
     E saltan lungi assai veloci, e lungi
     155Corron per grande spazio in varie parti,
     Posson l’aere crearne, e l’aureo lume
     Del Sole, e delle stelle erranti, e fisse:
     Ne vanno ancor per lo gran Vano errando
     Senza unirsi giammai, senza potere
     160Accompagnar, non ch’altro, i proprj moti;
     Della qual cosa un simolacro vivo
     Sempre innanzi a’ nostr’occhi esposto abbiamo:
     Posciachè rimirando attento, e fisso
     Allor che il Sol co’ raggi suoi penetra
     165Per picciol foro in una buja stanza,
     Vedrai mischiarsi in luminosa riga
     Molti minimi corpi in molti modi,
     E quasi a schiere esercitar tra loro
     Perpetue guerre: ora aggrupparsi, ed ora
     170L’un dall’altro fuggirsi, e non dar sosta;
     Onde ben puoi congetturar da questo,
     Qual sia l’esser vibrati eternamente
     Per lo spazio profondo i primi semi;
     Se le piccole cose a noi dar ponno
     175Contezza delle grandi, e i lor vestigj
     Quasi additarne la perfetta idea.
Tieni a questo, oltre a ciò, l’animo intento:

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     Cioè che i corpi, che vagar tu miri
     Entro a i raggi del Sol confusi, e misti
     180Mostrano ancor, che la materia prima
     Ha moti impercettibili ed occulti:
     Che molti quivi ne vedrai sovente
     Cangiar viaggio, e risospinti indietro
     Or qua, or là, or su, or giù tornare,
     185E finalmente in ogni parte; e questo
     È sol, perchè i principj, i quai per se
     Movonsi, e quindi poi le cose piccole,
     E quasi accosto alla virtù de’ semi,
     Dagli occulti lor colpi urtate anch’elle
     190Vengon commosse, ed esse stesse poi
     Non cessan d’agitar l’altre più grandi.
     Così da’ primi corpi il moto nasce,
     E chiaro fassi appoco appoco al senso;
     Sicchè si movon quelle cose al fine,
     195Che noi per entro a’ rai del Sol veggiamo;
     Nè per qual causa il fanno, aperto appare.
     Or qual principio da Natura i corpi
     Della prima materia abbian di moto,
     Quind’imparar puoi brevemente, o Memmio.
     200Pria quando l’alba di novella luce
     Orna la terra, e che per l’aer puro
     Varj augelli volando in dolci modi
     D’armoniose voci empion le selve;
     Come ratto allor soglia il Sol nascente

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     205Sparger suo lume, e rivestirne il mondo,
     Veggiam, ch’è noto, e manifesto a tutti:
     Ma quel vapor, quello splendor sereno,
     Ch’ei da se vibra, per lo spazio vuoto
     Non passa; ond’è costretto a gir più tardo,
     210Quasi dell’aere allor l’onde percota.
     Non van disgiunti i corpicelli suoi,
     Ma stretti ed ammassati; onde fra loro
     Insieme si ritirano, e di fuori
     Han mille intoppi in guisa tal, che pure
     215Vengon sforzati ad allentare il corso.
     Non così fanno i genitali corpi
     Per lor semplicitade impenetrabili;
     Ma quando volan per lo spazio vuoto,
     Nè fuor di lor impedimento alcuno
     220Trovan, che gli trattenga, e da i lor luoghi
     Tosto che mossi son verso una sola,
     Verso una sola parte il volo indrizzano,
     Debbono allor viepiù veloci, e snelli
     De’ rai del Sol molto maggiore spazio
     225Passar di luogo, in quel medesmo tempo,
     Che i folgori del Sol passano il Cielo;
     Posciachè da consiglio, o da sagace
     Ragione i primi semi esser non ponno
     Impediti giammai, nè ritardati;
     230Nè vanno ad una ad una investigando
     Le cose, per conoscere in che modo

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     Nell’Universo si produca il tutto.
Ma sono alcuni, che di questo ignari
     Si credon, che non possa la natura
     235Della materia per se stessa, e senza
     Divin volere in così fatta guisa
     Con umane ragioni e moderate
     Mutar i tempi, e generar le biade;
     Nè far null’altro, a cui di gire incontro
     240Persuade i mortali, e gli accompagna
     Quel gran piacer, che della vita è guida;
     Acciò le cose i secoli propaghino
     Con veneree lusinghe, e non perisca
     L’umana specie: onde che fosse il tutto
     245Per opra degli Dei fatto dal nulla
     Fingono. Ma, per quanto a me rassembra,
     Essi in tutte le cose han traviato
     Molto dal ver; poichè quantunque ignoti
     Mi sian della materia i primi corpi,
     250Io non per tanto d’affermare ardisco
     Per molte, e molte cause, e per gl’istessi
     Movimenti del ciel, che l’universo,
     Che tanto è difettoso, esser non puote
     Da i Dei creato; e quant’io dico, o Memmio,
     255Dopo a suo luogo mostrerotti a lungo.
Or del moto vo’ dir ciò che mi resta.
     Quì, s’io non erro, di provarti è luogo,
     Che per se stesso nessun corpo mai

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     Non può da terra sormontare in alto.
     260Nè già vorrei, che t’ingannasse il fuoco,
     Che all’in sù si produce, e cibo prende:
     E le nitide biade, e l’erba, e i fiori,
     E gli alberi all’in su crescono anch’essi;
     Benchè, per quanto s’appartiene a loro;
     265Sempre tutti all’in giù caschino i pesi.
     Nè creder dei, che la vorace fiamma,
     Allor che furiosa in alto ascende,
     E dell’umili case, e de’ superbi
     Palagj i tetti in un momento atterra,
     270Opri ciò da se stessa, e senza esterna
     Forza, che l’urti; il che pur anco accade
     Al nostro sangue, se dal corpo spiccia
     Per piccola ferita, e poggia in alto,
     E ’l suolo asperge di vermiglie stille.
     275Forse non vedi ancor, con quanta forza
     Risospinga all’in su l’umor dell’acqua
     Le travi, e gli altri legni? poichè quanto
     Più altamente gli attuffiamo in essa,
     E con gran violenza appena uniti
     280Molti di noi ve gli spingiam pe ’l dritto,
     Ella tanto più ratta, e desiosa
     Da se gli scaccia, e gli rigetta in alto
     In guisa tal, che quasi fuori affatto
     Sorgon dall’onde, ed all’in su risaltano;
     285Nè per ciò dubitiamo, al parer mio,

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     Che per se stesse entro allo spazio vuoto
     Scendan le travi, e gli altri legni al basso.
     Ponno dunque in tal guisa anco le fiamme
     Dall’aria, che le cinge, in alto espresse
     290Girvi, quantunque per se stessi i pesi
     Si sforzin sempre di tirarle al basso.
     E non vedi tu forse al caldo estivo
     Le notturne del Ciel faci volanti
     Correr sublimi, e menar seco un lungo
     295Tratto di luce in qualsivoglia parte?
     Lor natura apre il varco. Il Sole ancora
     Quando al più alto suo meriggio ascende,
     L’ardor diffonde d’ogn’intorno, e sparge
     Di lume il suol: verso la terra dunque
     300Vien per natura anco l’ardor del Sole.
     I fulmini volar vedi a traverso
     Le grandinose piogge; or quindi, or quinci
     Dalle nubi squarciate i lampi strisciano;
     E caggion spesso anco le fiamme in terra.
305Bramo oltre a ciò, che tu conosca, o Memmio,
     Che mentre a volo i genitali corpi
     Drittamente all’in giù vanno pe ’l Vuoto,
     D’uopo è, ch’in tempo incerto, in luogo incerto
     Sian fermamente da’ lor proprj pesi
     310Tutti forzati a declinare alquanto
     Dal lor dritto viaggio: onde tu possa
     Solo affermar, che sia cangiato il nome.

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     Poichè se ciò non fosse, il tutto al certo
     Per lo Vano profondo in giù cadrebbe,
     315Quasi stille di pioggia; e mai non fora
     Nato trà i primi semi urto o percossa:
     Onde nulla giammai l’alma Natura
     Crear potrebbe. Che se pure alcuno
     Si pensa forse, che i più gravi corpi
     320Scendan giù ratti per lo retto spazio,
     E per di sopra ne’ più lievi inciampino,
     Generando in tal guisa urti, e percosse,
     Che possan darne i genitali moti,
     Erra senz’alcun dubbio, e fuor di strada
     325Dalla dritta ragion molto si scosta.
     Poichè ciò che per entro all’aria, e all’acqua
     Cade all’ingiuso, il suo cadere affretta,
     E de’ pesi a ragion ratto discende;
     Perchè il corpo dell’acqua, e la natura
     330Tenue dell’aria trattener non puote
     Ogni cosa egualmente, e viepiù presto
     Convien, che vinta alle più gravi ceda,
     Ma pe ’l contrario in tempo alcun dal vuoto
     In parte alcuna alcuna cosa mai
     335Impedirsi non puote, ond’ella il corso
     Non segua, ove natura la trasporta;
     Onde tutte le cose, ancorchè mosse
     Da pesi disuguali, aver dovranno
     Per lo Vano quieto egual prestezza.

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     340Non ponno dunque ne’ più lievi corpi
     Inciampare i più gravi, e per di sopra
     Colpi crear per se medesmi, i quali
     Faccian moti diversi, onde Natura
     Produca il tutto. Ed è pur forza al certo,
     345Che declinino alquanto i primi semi,
     Nè più, che quasi nulla, acciò non paja,
     Ch’io finga adesso i movimenti obliqui,
     E che ciò poi la verità rifiuti;
     Posciachè a tutti è manifesto, e noto,
     350Che mai non ponno per se stessi i pesi
     Far obliquo viaggio allor che d’alto
     Veder gli puoi precipitare al basso.
     Ma che i principj poi non torcan punto
     Dalla lor dritta via chi veder puote?
     355Se finalmente ogni lor moto sempre
     Insieme si raggruppa, e dall’antico
     Sempre con ordin certo il novo nasce;
     Nè traviando i primi semi fanno
     Di moto un tal principio, il qual poi rompa
     360I decreti del Fato, acciò non segua
     L’una causa dall’altra in infinito;
     Onde han questa (dich’io) dal fato sciolta
     Libera volontà, per cui ciascuno
     Va, dove più gli aggrada? I moti ancora,
     365Si declinan sovente, e non in tempo
     Certo, nè certa region; ma solo

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     Quando, e dove comanda il nostro arbitrio.
     Poichè senza alcun dubbio a queste cose
     Dà sol principio il voler proprio, e quindi
     370Van poi scorrendo per le membra i moti.
     Non vedi ancor, che i barbari cavalli,
     Allorchè disserrata in un sol punto
     È la prigion, non così tosto il corso
     Prendon, come la mente avida brama?
     375Poichè per tutto il corpo ogni materia
     Atta a far ciò dee sollevarsi, e spinta
     Scorrer per ogni membro, acciò con essa
     Della mente il desio possa seguire.
     Onde conoscer puoi, che il moto nasce
     380Dal core; e che ciò pria dal voler nostro
     Procede; e quindi poi per tutto il corpo,
     E per tutte le membra si diffonde.
     Nè ciò avvien, come quando a forza siamo
     Cacciati innanzi, poichè allora è noto,
     385Che rapita è dal corpo ogni materia
     Ad onta nostra, in fin che per le membra
     Un libero voler possa frenarla.
Già veder puoi come, quantunque molti
     Da violenza esterna a lor mal grado
     390Sian forzati sovente a gire innanzi,
     E sospinti, e rapiti a precipizio,
     Noi non pertanto un non so che nel petto
     Nostro portiam, che di pugnarle incontro

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     Ha possanza, e d’ostarle, al cui volere
     395Dell’istessa materia anch’è la copia
     Talor forzata a scorrer per le membra,
     E diffusa si frena, e torna indietro:
     Per la qual cosa confessar t’è forza,
     Che questo istesso a’ primi semi accaggia,
     400E ch’offre a’ pesi, alle percosse, a gli urti
     Abbian qualch’altra causa i moti loro;
     Onde poscia è con noi questa possanza
     Nata, perchè giammai nulla del nulla
     Non poter generarsi è manifesto;
     405Che vieta il peso, che per gli urti il tutto
     Formato sia quasi da forza esterna.
     Ma che la mente poi d’uopo non abbia
     Di parti interiori, ond’ella possa
     Far poi tutte le cose, e vinta sia
     410A soffrire, a patir quasi costretta,
     Ciò puote cagionar de’ primi corpi
     Il picciol deviar dal moto retto.
     Nè mica in luogo certo, o in certo tempo,
     Nè fu giammai della materia prima
     415Più stivata la copia, o da maggiori
     Spazj divisa; poichè quindi nulla
     S’accresce, o scema, onde in quel moto, in cui
     Son ora i primi corpi, in quel medesimo
     Furono ancor nella trascorsa etade,
     420E fien nella futura; e tutto quello,

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     Che fin qui s’è prodotto, è da prodursi
     Anche per l’avvenire, e con l’istesse
     Condizioni, e nell’istessa guisa
     Esser, e crescer debbe, e tanta possa
     425Avere in se medesmo appunto, quanta
     Per naturale invariabil legge
     Gli fu sempre concessa; nè la somma
     Variar delle cose alcuna forza
     Non può giammai; perchè nè dove alcuna
     430Spezie di semi a ricovrar sen vada
     Lungi dal tutto non si trova al mondo;
     Nè meno ond’altra violenza esterna
     Crear si possa; e penetrar nel tutto
     Impetuosamente, e la Natura
     435Mutarne, e volger sottosopra i moti.
Nè creder poi, che meraviglia apporti,
     Ch’essendo tutti i primi semi in moto,
     La somma non pertanto in somma quiete
     Paja di star, se non se forse alcuno
     440Mostra del proprio corpo i movimenti;
     Posciachè de principj ogni natura
     Lungi da’ nostri sensi occulta giace:
     Onde se quelli mai veder non puoi,
     Ti fien anco nascosti i moti loro;
     445Massime perchè spesso accader suole,
     Che quelle cose, che veder si ponno,
     Celan mirate da lontana parte

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     Anch’elle i proprj moti a gli occhi nostri.
     Poichè sovente in un bel colle aprico
     450Le pecore lanute a passi lenti
     Van bramose tosando i lieti paschi,
     Ciascuna ove la chiama, ove l’invita
     La di fresca rugiada erba gemmante;
     E vi scherzan lascivi i grassi agnelli
     455Vezzosamente saltellando a gara:
     E pur tai cose, se da lungi il guardo
     Vi s’affissa da noi, sembran confuse,
     E ferme, quasi allor s’adorni, e veli
     Di bianca sopravveste il verde colle.
     460In oltre allor che poderose, e grandi
     Schiere di guerra in simolacro armate
     Van con rapido corso i campi empiendo,
     E su prodi cavalli i cavalieri
     Volan lungi dagli altri, e furibondi
     465Scuoton con urto impetuoso il campo;
     Quivi splende la terra, e l’aria intorno
     Arde tutta, e lampeggia, e sotto i piedi
     De’ valorosi Eroi s’eccita un suono,
     Che misto con le strida, e ripercosso
     470Da’ monti in un balen s’erge alle stelle:
     E pur luogo è ne’ monti, onde ci sembra
     Starsi nel campo un tal fulgore immoto.
Or via da quinci innanzi intendi omai,
     Quali fian delle cose i primi semi,

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     475E quanto l’un dall’altro abbian diverse,
     E difformi le forme, e le figure:
     Non perchè sian di poco simil forma
     Molti di lor; ma perchè tutti eguali
     D’ogn’intorno non han tutte le cose.
     480Nè meraviglia è ciò, posciachè essendo
     Tanta la copia lor, che fine, e somma,
     Come già dimostrammo, aver non puote,
     Ben creder dessi, che non tutti in tutto
     Possan tutte le parti aver dotate
     485D’egual profilo, o di simil figura.
Oltre a ciò l’uman germe, e i muti armenti
     Degli squamosi pesci, e i lieti arbusti,
     E le fiere selvagge, e i vari augelli,
     O sian quei, che dell’acque i luoghi ameni
     490Amano, e vanno spaziando intorno
     Alle rive de’ fiumi, a i fonti, a i laghi,
     O quei, che delle selve abitatori
     Volan di ramo in ramo, or tu di questi
     Segui pure a pigliar qual più t’aggrada
     495Generalmente, e troverai, che tutti
     Han figure diverse, e forme varie.
     Nè potrebbero i figli in altra guisa
     Raffigurar le madri, nè le madri
     Riconoscere i figli: e pur veggiamo,
     500Che ciò far ponno, e senza error, non meno
     Che gli uomini fra lor si raffigurano.

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     Poichè sovente innanzi a’ venerandi
     Templi de’ sommi Dei cade il vitello
     Presso a fumante Altar d’arabo incenso,
     505E dal petto piagato un caldo fiume
     Sparge di sangue; ma l’afflitta ed orba
     Madre pe’ boschi errando in terra lascia
     Del bipartito piede impresse l’orme:
     Cerca co’ gli occhi ogni riposto luogo
     510S’ella veder pur una volta possa
     Il perduto suo parto, e ferma spesso
     Di queruli mugiti empie le selve;
     E spesso torna dal desio trafitta
     Del caro figlio a riveder la stalla;
     515Nè rugiadose erbette, o salci teneri,
     Mormoranti ruscelli: o fiumi placidi
     Non posson dilettarla, o sviar punto
     L’animo suo dalla nojosa cura;
     Nè degli altri giovenchi altrove trarla
     520Le mal note bellezze, o i grassi paschi
     Alleviarle il duol, che la tormenta:
     Sì va cercando un certo che di proprio,
     Ed a lei manifesto. I tenerelli
     Capretti in oltre alle lor voci tremule,
     525Ed al rauco belar gli agni lascivi
     Riconoscono pur l’irsute madri,
     E le lanose: in cotal guisa ognuno,
     Qual Natura richiede, il dolce latte

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     Dalle proprie sue mamme a sugger corre.
530Di grano al fin qualunque specie osserva;
     E vedrai nondimen, ch’ei non ha tanta
     Somiglianza fra se, che ancor non abbia
     Qualche difformitade: e per la stessa
     Ragion vedrai, che della terra il grembo
     535Dipingon le conchiglie in varie guise
     Là dove bagna il mar con l’onde molli
     Del curvo lido l’assetata arena;
     Onde senza alcun dubbio è pur mestiero,
     Che per la causa stessa i primi corpi,
     540Posciachè son dalla Natura anch’essi,
     E non per opra manual formati,
     Abbian varie fra lor molte figure.
Già scior possiamo agevolmente il dubbio,
     Per qual cagione i fulmini cadenti
     545Molto più penetrante abbiano il foco
     Di quel, che nasce da terrestre face.
     Conciossiachè può dirsi, che il celeste
     Ardor del fulmin più sottile essendo
     Composto sia di picciole figure;
     550Onde penetri agevolmente i fori,
     Che non può penetrare il foco nostro
     Generato da’ legni. In oltre il lume
     Passa pe ’l corno, ma la pioggia indietro
     Ne vien respinta: or per qual causa è questo?
     555Se non perchè del lume assai minori

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     Gli atomi son di quelli, onde si forma
     L’almo liquor dell’acque. E perchè tosto
     Veggiam colarsi il vino, ed il restio
     Oglio all’incontro trattenersi un pezzo?
     560O perch’egli ha maggiori i primi semi,
     O più curvi, o l’un l’altro in varj modi
     A foggia d’ami avviluppati insieme;
     Onde avvien poi, che non sì presto ponno
     L’un dall’altro strigarsi, e penetrare
     565I fori ad uno ad uno, e fuori uscirne.
S’arroge a ciò, che con soave, e dolce
     Senso gusta la lingua il biondo mele,
     E il bianco latte; ed all’incontro il tetro
     Amarissimo assenzio, e ’l fier centauro
     570Con orribil sapor crucia il palato:
     Onde apprender tu possa agevolmente,
     Che son composti di rotondi, e lisci
     Corpi quei cibi, che da noi gustati
     Posson toccar soavemente il senso;
     575Ma quelle cose poi, che acerbe, ed aspre
     Ci sembrano, i lor semi hanno all’incontro
     Viepiù adunchi, e l’un l’altro a foggia d’ami
     Strettamente intrigati, onde le vie
     Sogliono risecar de’ sensi nostri,
     580E con l’entrata lor stracciarne il corpo.
Al fin tutte le cose al senso grate,
     E l’ingrate al toccar, pugnan fra loro

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     Per le varie figure, onde son fatte:
     Acciò tu forse non pensassi, o Memmio,
     585Che l’aspr’orror della stridente sega
     Formato fosse di rotondi, e lisci
     Principj anch’egli, in quella guisa stessa
     Che la soave melodia si forma
     Da Musico gentile, allor che sveglia
     590Con dotta man l’armoniose corde
     Di canoro strumento; e non pensassi,
     Che con la stessa forma i primi corpi
     Possano penetrar nelle narici
     Dell’uomo, allor che i puzzolenti, e tetri
     595Cadaveri s’abbruciano, ed allora
     Che tutta è sparsa di Cilicio croco
     La nova scena, e di Panchei profumi
     Arde di Giove il sacrosanto altare;
     E non credessi, che i color leggiadri,
     600E le nostre pupille a pascer atti
     Abbian simili i proprj semi a quelli,
     Che pungon gli occhi a lagrimar forzando,
     E pajon brutti, e spaventosi in vista:
     Poichè ogni causa, che diletta, e molce
     605I sensi, ha lisci i suoi principj al certo:
     Ma ciò ch’è pe ’l contrario aspro, e molesto,
     Ha la materia sua scabrosa, e rozza.
Son poscia alcuni corpi, i quali affatto
     Non debbono a ragion lisci stimarsi,

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     610Nè con punte ritorte affatto adunchi;
     Poichè più tosto han gli angoletti loro
     In fuori alquanto, e che più tosto ponno
     Solleticar, che lacerare il senso:
     Qual può dirsi la feccia, ed i sapori
     615Dell’Enula campana: e finalmente
     Che la gelida brina, o ’l caldo foco
     Tentati in varie guise, in varie guise
     Pongono il senso, a l’un, e l’altro tatto
     Chiaro ne porge, e manifesto indizio;
     620Posciachè il tatto, il tatto, oh Santi Numi!
     Senso è del corpo, o quando alcuna cosa
     Esterna lo penetra, o quando nuoce
     A quel, che gli è nativo, o fuori uscendo
     Ne dà Venereo genital diletto;
     625O quando offesi entro a lui stesso i semi,
     Ed insieme commossi ed agitati
     Turbano i nostri sensi, e gli confondono,
     Come potrai sperimentar tu stesso,
     Se talor con la man percoti a caso
     630Del proprio corpo qualsivoglia parte:
     Ond’è mestier, che de’ principj primi
     Sian pur molto fra lor varie le forme,
     Che varj sensi han di produr possanza.
     Al fin le cose, che più dure, e dense
     635Sembrano a gli occhi nostri, è d’uopo al certo,
     Ch’abbiano adunchi i proprj semi, e quasi

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     Ramosi, e l’un con l’altro uniti, e stretti;
     Tra le quai senza dubbio il primo luogo
     Hanno i diamanti a disprezzare avvezzi
     640Ogni urto esterno, e le robuste selci,
     E il duro ferro, e il bronzo, il qual percosso
     Suole altamente rimbombar ne’ chiostri.
     Ma quel, ch’è poi di liquida sostanza,
     Convien che fatto di rotondi, e lisci
     645Principj sia; poichè tra lor frenarsi
     Non ponno i suoi viluppi, e verso il chino
     Han volubile il corso. In somma tutte
     Le cose, che fuggirsi in un momento
     Vedi, e svanir, come le fiamme, e ’l fumo
     650Le nebbie, e le caligini, se tutte
     Non hanno i semi lor lisci e rotondi,
     D’uop’è almen, che ritorti, e l’un con l’altro
     Non gli abbiano intrigati, acciò sian atti
     A punger gli occhi, e penetrar ne’ sassi,
     655Senza che sieno avviticchiati insieme;
     Il che vede ciascuno esser concesso
     Di conoscer a’ sensi, onde tu possa
     Facilmente imparar, ch’elle non sono
     Fatte d’adunchi, ma d’acuti semi.
     660Ma che amari tu poi conosca i corpi,
     Che son liquidi, e molli, appunto come
     È del mare il sudor, non dei per certo
     Meraviglia stimar; poichè quantunque

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     Sia ciò, ch’è molle, di rotondi, e lisci
     665Semi composto, nondimen fra loro
     Doloriferi corpi anco son misti,
     Nè per ciò fa mestier, che siano adunchi,
     E l’un l’altro intrigati, ma piuttosto
     Debbon, benchè scabrosi, esser rotondi;
     670Acciò che insieme agevolmente scorrere
     Possano al basso, e lacerarne i sensi.
     Ma perchè tu più chiaramente intenda
     Esser misti co’ lisci i rozzi, e gli aspri
     Principj, ond’ha Nettuno amato il corpo;
     675Sappi, che dolce aver da noi si puote
     L’acqua del mar, purchè per lungo tratto
     Di terra sia colata, e caggia a stille
     In qualche pozza, e placida diventi;
     Posciacchè a poco a poco ella depone
     680Del suo tetto veleno i semi acerbi;
     Come quelli, che ponno agevolmente,
     Stante l’asprezza lor, fermarsi in terra.
Or ciò mostrato avendo, io vo’ seguire
     A congiunger con questo un’altra cosa,
     685Che quindi acquista fede; ed è, che i corpi:
     Di lor materia variar non ponno
     Mai le figure in infinite guise:
     Che se questo non fosse, alcuni semi
     Già dovrebbon di novo a’ corpi misti
     690Apportar infinito accrescimento.

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     Poichè non in qualunque angusta mole
     Si posson molto variare insieme
     Le lor figure; conciossiachè fingi,
     Che sian pur quanto vuoi minuti, e piccioli
     695I primi semi, indi di tre gli accresci,
     O di poc’altri, e troverai per certo,
     Che se tu piglierai tutte le parti
     Di qualche corpo, e variando i luoghi
     Sommi co’ gl’imi, e co’ sinistri i destri,
     700Dopo che in ogni guisa avrai provato,
     Qual dia specie difforme a tutto il corpo
     Ciascun ordine lor; nel rimanente
     Se tu forse vorrai cangiar figure,
     Anche altre parti converratti aggiungere:
     705Quindi avverrà, che l’ordine ricerchi
     Per la stessa ragion nuove altre parti,
     Se tu forme vorrai cangiar di novo.
     Dunque co ’l variar delle figure
     S’augumentano i corpi, onde non devi
     710Creder, che i semi abbian tra lor le forme
     Difformi in infinito, acciò non forzi
     Ad esser cose smisurate al mondo;
     Il che già falso ti provai di sopra.
Già le barbare vesti, e le superbe
     715Lane di Melibea tre volte intinte
     Nel sangue di Tessaliche conchiglie,
     E dell’aureo Pavon l’occhiute piume

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     Di ridente lepor cosperse intorno,
     Da novelli colori oppresse, e vinte
     720Giacerebbero omai; nè della mirra
     Saria grato l’odor, nè del soave
     Mele il sapore; e l’armonia de’ Cigni,
     Ed i carmi Febei sposati al suono
     Di cetra tocca da Dedalea mano
     725Foran già muti; conciossiachè sempre
     Nascer potriano alcune cose al mondo
     Più dell’antiche preziose e care,
     Ed alcun’altre più neglette e vili
     Al palato, a gli orecchi, al naso, a gli occhi;
     730Il che falso è per certo, ed ha la somma
     E dell’une, e dell’altre un fin prescritto:
     Ond’è pur forza confessar, che i semi
     Forme infinite variar non ponno.
     Dal caldo al fine alle pruine algenti
     735È finito passaggio; ed all’incontro
     Per la stessa ragion dal gelo al foco;
     Poichè finisce e l’uno, e l’altro; e posti
     Sono il tiepido, e il fresco a loro in mezzo
     Adempiendo per ordine la somma.
     740Distanti dunque le create cose
     Per infinito spazio esser non ponno;
     Perchè hanno d’ogni banda acute punte,
     Quind’infeste alle fiamme, e quinci al ghiaccio.
Il che mostrato avendo, io vo’ seguire

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     745A congiunger con questo un’altra cosa,
     Che quindi acquista fede; ed è, che i semi,
     C’han da Natura una figura stessa,
     Son infiniti; conciossiachè essendo
     Finita delle forme ogni distanza,
     750Forza egli è pur, che simili fra loro
     Sian infinite, o sia finita almeno
     La somma; il che già falso esser provammo.
Or poichè ciò t’è noto, io vo’ mostrarti
     In pochi, ma soavi, e dolci versi,
     755Che de’ primi principj i corpicciuoli
     Sono infiniti in qualsivoglia specie
     Di forme; e sol così posson la somma
     Delle cose occupar, continuando
     D’ogn’intorno il tenor delle percosse.
     760Poichè sebben tu vedi esser più rari
     Certi animali, e men feconda in essi
     La natura ti par; ben puote un’altra
     O terra, o luogo, o region lontana
     Esserne più ferace, ed adempirne
     765In cotal guisa il numero: siccome
     Veggiam, che tra i quadrupedi succede,
     Specialmente a gli anguimani Elefanti,
     De’ quai l’India è sì fertile, che cinta
     Sembra d’eburneo impenetrabil vallo:
     770Tal di quei Bruti immani ivi è la copia;
     Benchè fra noi se ne rimiri appena

[p. 87 modifica]

     Qualch’esempio rarissimo. Ma posto
     Che fosse al mondo per natura un corpo
     Cotanto singolar, ch’a lui simile
     775Null’altro sia nell’universo intero;
     Se non per tanto de’ principj suoi
     Non fia la moltitudine infinita,
     Ond’ella concepirsi, o generarsi
     Possa, non potrà mai nascere al mondo;
     780Nè, benchè nata, alimentarsi, e crescere.
     Poichè fingi co’ gli occhi, che finiti
     Semi d’una sol cosa in varie parti
     Vadan pe ’l Vano immenso a volo errando:
     Onde, dove, in che guisa, e con qual forza
     785In così vasto pelago, e fra tanta
     Moltitudine altrui potranno insieme
     Accozzarsi giammai? Per quanto io credo,
     Ciò non faranno in nessun modo al certo.
     Ma qual se nasce in mezzo all’onde insane
     790Qualche grave naufragio, il mar cruccioso
     Sparger sovente in varie parti suole
     Banchi, antenne, timoni, alberi, e sarte,
     Poppe, e prore, e trinchetti, e remi a nuoto
     In guisa che mirar puote ogni spiaggia
     795Delle navi sommerse i fluttuanti
     Arredi, che avvertir dovrian ciascuno
     Mortale ad ischivar del mare infido
     E l’insidie, e le forze, e i tradimenti;

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     Nè mai fidarsi, ancorchè alletti, e rida
     800L’ingannatrice sua calma incostante:
     Tal se tu fingi in qualche specie i semi
     Da numero compresi, essi dovranno
     Per lo Vano profondo esser dispersi
     In varie parti, e da diversi flutti
     805Della prima materia in guisa tale,
     Che non potran congiungersi, o congiunti
     Trattenersi un sol punto in un sol gruppo
     Nè per novo concorso augumentarsi;
     E pur, che l’uno, e l’altro apertamente
     810Si faccia, il fatto stesso a noi ben noto
     Ne mostra, e che formarsi, e che formate
     Posson crescer le cose. È chiaro adunque,
     Che sono in ogni specie innumerabili
     Semi, onde vien somministrato il tutto.
     815Nè superare eternamente ponno
     I moti a lor mortiferi, nè meno
     Seppellir la salute eternamente;
     Ne di sempre servar da morte intatte
     Le cose una sol volta al mondo nate
     820Gli accrescitivi corpi hanno possanza:
     Tal con pari certame insieme fanno
     Battaglia i semi infra di lor contratta
     Fin da tempo infinito. Or quinci, or quindi
     Vince la vita, ed all’incontro è vinta;
     825Mista al rogo è la cuna, ed al vagito

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     De’ nascenti fanciulli il funerale;
     Nè mai notte seguìo giorno, nè giorno
     Notte, che non sentisse in un confuso
     Col vagir di chi nasce il pianto amaro,
     830Della morte compagno, e del feretro.
Abbi in oltre per fermo, e tieni a mente,
     Che nulla al Mondo ritrovar si puote,
     Che d’un genere sol di genitali
     Corpi sia generato, e che non abbia
     835Misti più semi entro se stesso; e quanto
     Più varie forze, e facoltà possiede,
     Tanto in se stesso esser più specie insegna
     D’atomi differenti, e varie forme.
     Pria, la terra contiene i corpi primi,
     840Onde con moto assiduo il mare immenso
     Si rinova da i fonti, i quai sossopra
     Volgono i fiumi: ha, donde nasce il foco,
     Perchè acceso in più luoghi il suol terrestre
     Arde; ma più d’ogni altro è furibondo
     845L’incendio d’Etna: ha poi, donde le biade,
     E i lieti arbusti erga per l’uomo, e donde
     Porga alle fiere per le selve erranti
     E le tenere frondi, e i grassi paschi;
     Ond’ella sol fu degli Dei gran Madre
     850Detta, e madre de’ bruti, e genitrice
     De’ nostri corpi; e ne cantaro a prova

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     Degli antichi Poeti i più sovrani,
     Ch’Argo ne desse; e finser, che sublime
     Sovra un carro a seder sempre agitasse
     855Due Leon domi, ed accoppiati al giogo;
     Affermando oltre a ciò, che pende in aria
     La gran macchina sua, nè può la terra
     Fermarsi in terra: aggiunsero i Leoni
     Sol per mostrar, ch’ogni più crudo germe
     860Dee, la natìa sua ferita deposta,
     Rendersi a’ Genitori obbediente,
     Vinto da’ loro officj: al fin le ornaro
     La sacra testa di mural corona,
     Perch’ella regge le Città munite
     865Di luogh’illustri. Or di sì fatta insegna
     Cinta per le gran Terre orrevolmente
     Si porta ognor della divina Madre
     L’Immagin santa. Ella da genti varie
     Per antico costume è nominata
     870Ne’ sacrifizj la gran Madre Idea:
     Le aggiungon poscia le Trojane turbe
     Per sue fide seguaci; essendo fama,
     Che pria da’ que’ confini incominciasse
     A generarsi, a propagarsi il grano:
     875Le danno i Galli, per mostrar, che quelli,
     Ch’avranno offeso di lor Madre il Nume,
     O fieno ingrati a’ Genitor, non sono
     Degni d’esporre a’ dolci rai del giorno

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     Delle viscere lor prole vivente:
     880Dalle palme percossi in suon terribile
     Tuonan timpani tesi, e cavi cembali,
     E con rauco cantar corni minacciano,
     E la concava tibia in frigio numero
     Tuona, e le menti altrui risveglia, e stimola;
     885E le portano innanzi orrendi fulmini
     In segno di furore, acciò bastevoli
     Siano a frenar con la paura gli animi
     Ingrati della plebe, e i petti perfidi,
     Di cotal Dea la maestà mostrando,
     890Or tosto ch’ella entro le gran Cittadi
     Vien portata, di tacita salute
     Muta arricchisce gli uomini mortali:
     Lastricando il sentier d’argento, e rame,
     Dan larghe offerte, e navigando un nembo
     895Di rose, fanno alla gran Madre, ed anco
     De’ seguaci alle Turbe ombra cortese.
     Qui di Frigj Coreti armata squadra
     (Sì li chiamano i Greci) insieme a sorte
     Suonan catene, ed a tal suon concordi
     900Movon saltando i passi ebri di sangue;
     E percotendo, con divina forza
     De’ lor elmi i terribili cimieri.
     Rappresentan di Creta i Coribanti,
     Che sincome la fama al Mondo suona,
     905Già di Giove il vagito ivi celaro,

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     Allorchè intorno ad un fanciullo armato
     Menar gli alti fanciulli in cerchio un ballo
     Co’ bronzi a tempo percotendo i bronzi,
     Acciò dal proprio genitor sentito
     910Divorato non fosse, e trafiggesse
     Con piaga eterna della Madre il petto.
     Quindi accompagnan la gran Madre armati,
     O fosse per mostrar, ch’ella ne avverte
     A difender co ’l senno, e con la spada
     915La patria terra, ed a portar mai sempre
     E decoro, e presidio a i Genitori.
     Tutte le quali cose, ancorchè dette
     Con ordin vago a meraviglia, e bello,
     Son però false senza dubbio alcuno;
     920Che d’uopo è pur, che in somma eterna pace
     Vivan gli Dei per lor natura, e lungi
     Sian dal governo delle cose umane,
     Scevri d’ogni dolor, d’ogni periglio,
     Ricchi sol di se stessi, e di lor fuori
     925Di nulla bisognosi, e che nè merto
     Nostro gli alletti, o colpa accenda ad ira.
     Ma la terra di senso in ogni tempo
     Manca senz’alcun dubbio; e perchè tiene
     Di molte cose entro il suo grembo i semi,
     930Molti ancor ne produce in molti modi.
     Qui se alcun vuol chiamar Nettuno il mare,
     Cerere il grano, ed abusar più tosto

[p. 93 modifica]

     Di Bacco il nome, che la propria voce
     Pronunziar del più salubre umore,
     935Concediamogli pur, ch’egli a sua voglia
     Dica gran madre degli Dei la Terra;
     Purchè ciò sia veracemente falso.
Sovente adunque ancor che pascan l’erba
     D’un prato stesso sotto un cielo stesso
     94OE pecore lanose, e di cavalli
     Prole guerriera, ed aratori armenti,
     E bevan l’acqua d’un medesmo fiume.
     Vivon però sotto diversa specie,
     E de’ lor genitori in se ritengono
     945Generalmente la natura, e sanno
     Imitarne i costumi. Or tanto varj
     I corpi son della materia prima
     In ogni specie d’erba, in ogni fiume;
     Anzi oltre a questo ogni animal si forma
     95ODi tutte queste cose umido sangue,
     Ossa, vene, calor, viscere, e nervi,
     Le quai son pur fra lor diverse, e nate
     Da principj difformi: e similmente
     Ciò ch’arde il foco, se null’altro, almeno
     955Sol di se stesso somministra i corpi,
     Che vibrar il calor, sparger la luce,
     Agitar le scintille, e largarnente
     Possono intorno seminar le ceneri.
     E se tu con la mente in simil guisa

[p. 94 modifica]

     960L’altre cose contempli ad una ad una;
     Senz’alcun dubbio troverai, che tutte
     Celan nel proprio corpo, e v’han ristretti
     Molti semi diversi, e varie forme.
Al fin tu vedi in molte cose unito
     965Con l’odore il sapor: dunque è pur d’uopo,
     Che queste abbian dissimili figure;
     Poichè l’odor penetra in quelle membra,
     Ove non entra il succo; e similmente
     Penetra i sensi separato il succo
     970Dal sapor delle cose, onde s’apprenda,
     Ch’ei le prime figure ha differenti.
     Dunque forme difformi in un sol gruppo
     Certamente s’uniscono, e si forma
     Di misto seme il tutto: anzi tu stesso
     975Puoi sovente veder ne’ versi nostri;
     Esser comuni a molte voci, e molte
     Molti elementi; e non per tanto è d’uopo
     Dir, che d’altri elementi altre parole
     Sian pur composte: non perchè comuni
     980Si trovin poche lettere, e non possano
     Formarsi mai delle medesme appunto
     Due voci varie; ma perchè non tutte
     Hann’ogni cosa in ogni parte eguale.
     Or similmente all’altre cose accade,
     985Che sebben molte hanno comuni i semi;
     Possono ancor di molto vario gruppo

[p. 95 modifica]

     Formarsi al certo; onde a ragion si dica,
     Che d’atomi diversi ognor si creino
     Gli uomini, gli animai, l’erbe, e le piante.
     990Nè creder dei, che non per tanto unirsi
     Possan tutti i principj in tutti i modi;
     Perchè nascer vedresti in ogni parte
     Ognor novi portenti: umane forme
     Miste a forme di fiere; e rami altissimi
     995Spuntar tal volta da vivente corpo;
     E molte membra d’animai terrestri
     Con quelle degli acquatici congiungersi;
     E le Chimere, con l’orribil bocca
     Fiamma spirando, partorire al mondo
     1000Il tutto, e pascer la natura appieno
     Del che nulla esser vero, aperto appare;
     Mentre veggiam da genitrice certa
     Nascer tutte le cose, e crescer poi
     Da certi semi, e conservar la specie.
     1005E d’uopo è pur, che tutto questo accaggia
     Per non dubbia ragion; poichè a ciascuno
     Scendon da tutti i cibi entro alle membra
     I proprj corpi, onde congiunti fanno
     Convenevoli moti; ed all’incontro
     1010Veggiam gli altrui dalla natura in terra
     Ributtarsi ben tosto; e molti ancora
     Fuggon cacciati da percosse occulte
     Per meati insensibili del corpo,

[p. 96 modifica]

     I quai nè unirsi ad alcun membro, o quivi
     1015Produr moti vitali, ed animarsi
     Non poteron giammai. Ma perchè forse
     Tu non credessi a queste leggi astretti
     Solo i viventi, una ragione stessa
     Decide il tutto: che siccome in tutta
     1020L’essenza lor le generate cose
     Son tra lor varie; in cotal guisa appunto
     Forz’è, che di dissimili figure
     Abbiano i semi lor, non perchè molte
     Sian di forma fra lor poco simili;
     1025Ma sol perchè non tutte in ogni parte
     Hanno eguale ogni cosa: o varj essendo
     I semi, è di mestier, che differenti
     Sian le percosse, l’unioni, i pesi,
     I concorsi, le vie, gli spazj, i moti;
     1030I quai non pur degli animali i corpi
     Disgiungon, ma la terra, e ’l mar profondo,
     E ’l Cielo immenso dal terrestre Globo.
Or porgi in oltre a questi versi orecchio
     Da me con soavissima fatica
     1035Composti, acciò tu non pensassi, o Memmio,
     Che nate sian da candidi principj
     Le bianche cose, o che di nero seme
     Si producan le nere; o pur che quelle,
     Che son gialle, e vermiglie, azzurre, o perse,
     1040O rancie, o di qualunque altro colore,

[p. 97 modifica]

     Sol tali sian, perchè il color medesmo
     Della prima materia abbiano i corpi;
     Posciachè i primi semi affatto privi
     Son di tutti i colori; e non può dirsi,
     1045Che in ciò le cose a lor principj sieno
     Simili, nè dissimili: e se forse
     Paresse a te, che l’animo non possa
     Veder corpi cotali, erri per certo
     Lungi dal ver; poichè se i ciechi nati,
     1050Che mai del Sol non rimirar la luce,
     Conoscon pur sol con toccare i corpi,
     Benchè sin da fanciulli alcun colore
     Non abbian visto, è da saper, che ponno
     Anco le nostre menti aver notizia
     1055De’ corpi affatto d’ogni liscio privi.
     Al fin ciò che da noi nel bujo oscuro
     Si tocca, al senso dimostrar non puote
     Colore alcuno. Or perchè io già convinco,
     Che ciò succede, io vo’ mostrarlo adesso.
     1060Posciachè ogni color del tutto in tutti
     Si cangia, il che per certo a patto alcuno
     Far mai non ponno i genitali corpi,
     Che forza è pur, che invariabil resti
     Di chi muor qualche parte, acciò le cose
     1065Non tornin tutte finalmente al nulla;
     Poichè qualunque corpo il termin passa
     Da natura prescritto all’esser suo,

[p. 98 modifica]

     Questo è sua morte, e non è più quel desso:
     Per la qual cosa attribuir non devi
     1070Colore a i semi, acciò per se non torni
     Il tutto in tutto finalmente al nulla.
Se in oltre i primi corpi alcun colore
     Non hanno, hanno però forme diverse
     Atte a produrli, e variarli tutti;
     1075Poichè senz’alcun dubbio importa molto,
     Con quai sian misti tutti i semi, e come
     Posti, e quai dian fra lor moti, e ricevano;
     Acciò tu possa agevolmente addurre
     Pronte ragioni: ond’è, che molti corpi,
     1080Che poc’anzi eran neri, in un momento
     Di marmoreo candor se stessi adornino;
     Come il mar, se talvolta irato, il turba
     Vento, che spiri dall’arene Maure,
     Cangia in bianco alabastro i suoi zaffiri.
     1085Posciachè dir potrai, che spesso il nero
     Tosto che internamente agita, e mesce
     La sua prima materia, e varia alquanto
     L’ordine de’ principj, e ch’altri aggiunti
     Corpi gli sono, altri da lui sottratti,
     1090Puote a gli occhi apparir candido, e bianco.
     Che se dell’Ocean l’onde tranquille
     Fosser composte di cerulei semi,
     Non potrebber giammai cangiarsi in bianche:
     Poichè comunque si commova un corpo

[p. 99 modifica]

     1095Di ceruleo color, non puote al certo
     Di candidezza alabastrina ornarsi.
     Che se dipinti di color diverso
     Fossero i semi, onde si forma un solo
     Puro, e chiaro nitor nel sen di Teti;
     1100Come sovente di diverse forme
     Fassi un solo quadrato, era pur d’uopo,
     Che siccome da noi veggonsi in questo
     Forme difformi, anco del mar tranquillo
     Si vedesser nell’onde, ed in qualunque.
     1105Altro puro nitor varj colori.
Le figure oltre a ciò, benchè diverse,
     Non ponno ostar, che per di fuori il tutto
     Quadro non sia; ma posson bene i varj
     Colori delle cose oprar, che nulla
     1110D’un sol chiaro nitor s’orni e risplenda;
     Senzachè ogni ragion, che induce altrui
     Ad assegnare alla materia prima
     Differenti colori, è vana affatto.
     Poichè di bianchi semi i bianchi corpi
     1115Non si vedon crear, nè men di neri
     I neri; ma di varj, e differenti.
     Conciossiach’è più facile a capirsi,
     E più agevole a farsi, che da seme
     Privo d’ogni color nascan le cose
     1120Candide, che da nero, o da qualunque
     Altro, che incontro lor combatta ed osti.

[p. 100 modifica]

Perchè in oltre i colori esser non ponno
     Senza luce, e la luce unqua non mostra
     La materia svelata a gli occhi nostri;
     1125Quindi lice imparar, che i primi semi
     Non son velati da nessun colore.
     E qual colore esser potrà giammai
     Nelle tenebre cieche, il qual si cangi
     Nel lume stesso, se percosso splende
     1130Con retta luce, o con obliqua, o mista?
     Così piuma, che il collo, o la cervice
     Di vezzosa colomba orni, e coroni,
     Or d’acceso rubin fiammeggia, ed ora
     Fra cerulei smeraldi i verdi mesce;
     1135E così di pavone occhiuta coda,
     Qualor pomposo ei si vagheggia al Sole,
     Cangiando va mille colori anch’ella,
     I quai, posciachè pur son generati
     Solo allor che la luce urta ne’ corpi,
     1140Non dei stimar, che senza questo possa
     Ciò farsi, e perchè l’occhio in se riceve
     Una tal sorta di percosse allora
     Ch’ei vede il bianco, e senza dubbio un’altra
     Da quella assai diversa, allorch’ei mira
     1145Il nero, e qualsivoglia altro colore.
     Nè quale abbian color punto rileva
     I corpi, che si toccano; ma solo
     Qual più atta figura: onde ne lice

[p. 101 modifica]

     Saper, che nulla han di mestieri i semi
     1150D’alcun colore, e che producon solo
     Con varie forme toccamenti varj.
Perchè incerta, oltre a questo, è del colore
     L’essenza, e pende da figure incerte,
     E tutte posson de’ principj primi
     1155In qualunque chiarezza esser le forme,
     Ond’è, che ciò che d’esse è poi formato,
     Anch’ei non è nel modo stesso asperso
     D’ogni sorte color? poichè sovente
     Esser potrà, ch’anco i volanti corvi
     1160Vantin con bianche penne il color bianco;
     E di nera materia i cigni neri
     Sian fatti, o di qualunque altro colore,
     O puro e schietto, o fra se vario, e misto.
     Anzichè quanto in più minute parti
     1165Si stritolan le cose, allor succede,
     Che tu meglio veder possa i colori
     Svanire appoco appoco, ed annullarsi:
     Qual se in piccioli pezzi o l’oro, o l’ostro
     Si frange, e il sovra ogni altro illustre, e chiaro
     1170Color cartaginese a filo a filo
     Si straccia, e tutto si disperde in nulla;
     Onde tu possa argumentar, che prima
     Spiran le parti sue tutto il colore,
     Che scendan delle cose a i primi semi.
1175Perchè al fin non concedi, che ogni corpo

[p. 102 modifica]

     Mandi alle nari odor, voce all’orecchie,
     Quindi avvien poi, che non assegni a tutti
     Odori, e suono. Or in tal guisa appunto,
     Perchè non tutte puoi veder co’ gli occhi
     1180Le cose, è da saper, che sono alcune
     Tanto d’ogni color spogliate affatto,
     Quanto alcune di suon prive, e d’odore;
     E che non men può l’animo sagace
     Intender ciò, ch’ei l’altre cose intende
     1185Prive d’altri accidenti, e note a’ sensi.
Ma perchè forse tu non creda ignudi
     Sol di colore i primi semi, avverti,
     Che son disgiunti dal colore in tutto,
     E dal freddo, e dal tiepido vapore;
     1190E sterili di suon, magri di succo
     Corron per lo gran Vano, e non esalano
     Dalla propria sostanza odore alcuno;
     Come suole esalarne alle narici
     Il soave liquor dell’Amaraco,
     1195Della Mirra l’unguento, è il fior del Nardo.
     Che se di questo esperienza brami,
     Pria convienti cercar ciò che ti lice;
     E ben puoi ritrovar l’interna essenza
     Dell’oglio inodorifero, che alcuna
     1200Alle nostre narici aura non manda;
     Acciò mischiando, e digerendo in esso
     Molti odori diversi, egli non possa

[p. 103 modifica]

     Rendergli poi del suo veleno infetti.
     Per questo in somma i genitali corpi
     1205Nel generar le cose il proprio odore
     Lor compartir non denno, o il proprio suono,
     Perchè nulla da lor puote esalare.
     Nè il sapor finalmente, o il freddo, o il caldo
     Per la stessa ragion, nè similmente
     1210Il tiepido vapor, nè gli altri corpi,
     Che son mortali, e per ciò tutti a questa
     Legge soggetti, che di molle i teneri,
     Di rozza gli aspri, e i porosi in somma
     Sian di rara sostanza, è d’uopo al certo,
     1215Che tutti sian da’ lor principj primi
     Diversi; se pur brami ad ogni cosa
     Assegnar fondamenti incorruttibili,
     Ove possa appoggiarsi ogni salute;
     Acciò per se tutte le cose al fine
     1220Non sian costrette a dissiparsi in nulla.
Or ciò che senti, nondimeno è d’uopo
     Che di semi insensibili formato
     Si confessi da te; nè pugna il senso
     Contro questo, ch’io dico: anzi egli stesso
     1225Quasi per mano ad affermar ne guida;
     Che vero è pur, che gli animai non ponno,
     Se non che d’insensibili principj
     Nascer giammai; poichè veder ne lice
     Sorger dal tetro sterco i vermi vivi,

[p. 104 modifica]

     1230Allorchè per tempeste intempestive
     Umido il suolo imputridisce; ed anco
     Tutte le cose trasmutar se stesse:
     Si trasmutan le frondi, i paschi, i fiumi
     In gregge, il gregge si trasmuta anch’egli
     1235In uomini, e degli uomini sovente,
     Dell’indomite fiere, e de’ pennuti
     Cresce il corpo, e la forza: adunque i cibi
     Tutti per lor natura in vivi corpi
     Si cangiano, e di qui nasce ogni senso
     1240Degli animai, quasi nel modo stesso,
     Che spiega il foco un secco legno in fiamma,
     E ciò che tocca in cenere rivolta.
     Vedi tu dunque omai, di qual momento
     Sia l’ordine de’ semi, e la mistura,
     1245E i moti, che fra lor danno, e ricevono
In oltre ancor, che cosa esser può quella,
     Che percote dell’Uom l’animo, e il move,
     E lo sforza a produr sensi diversi;
     Se pur non credi i sensitivi corpi
     1250Di materia insensibile formarsi?
     Certamente la terra, i legni, i sassi,
     Ancorchè sian in un confusi, e misti,
     Non producon però senso vitale.
     Fia dicevole dunque il rammentarsi
     1255Di questa lega de’ principj primi;
     Cioè che non di tutti in tutto a un tratto

[p. 105 modifica]

     Fassi ’l corpo sensibile, ed il senso;
     Ma che molto rileva in primo luogo
     Quanto piccoli sian, qual abbian forma,
     1260Ordini, moti, e positure al fine
     Gli atomi, che crear denno il sensibile;
     Delle quai cose tutte alcun non vede
     Nulla ne’ rotti legni, e nell’infranto
     Terreno: e pur se queste cose sono,
     1265Quasi per pioggia putrefatte, e guaste,
     Generan vermi; perchè mossi essendo
     Della materia i corpi dall’antico
     Ordine lor per l’accidente novo,
     S’uniscon poscia in tal maniera insieme,
     1270Che d’uopo è pur, che gli animai si formino.
     In somma allor che di sensibil seme
     Dicon crearsi il sensitivo, in vero
     Dall’altre cose a giudicare avvezzi
     Fanno allor molle la materia prima,
     1275Perchè ogni senso è certamente unito
     Alle viscere, a i nervi, ed alle vene,
     Che pur son molli, e di mortal sostanza
     Tutte create. Ma sia vero omai,
     Che possan queste cose eternamente
     1280Restare in vita; non pertanto è forza,
     Ch’elle abbian pure, come parti, il senso,
     O sian simili a gli animali interi.
     Ma non san per se stesse esser le parti,

[p. 106 modifica]

     Non che sentir; nè può la mano, od altra
     1285Parte del corpo esser da lui divisa,
     E per se stessa conservare il senso;
     Poichè tosto ogni senso ella rifiuta
     Dell’altre membra: onde riman, che solo
     A gl’interi animali abbian simile
     1290L’essenza, acciò che d’ogn’intorno possano
     Sentir con vital senso. Or come adunque
     Potran chiamarsi genitali corpi,
     E la morte fuggir, mentre pur sono
     Animali ancor essi, e co’ mortali
     1295Viventi una sol cosa: il che se pure
     Esser potesse, non farian giammai
     Dall’union divisi altro che un volgo,
     Ed una turba d’animai nel mondo;
     Come certo non ponno alcuna cosa
     1300Gli uomini generar, le fiere, i greggi,
     Quando uniti fra lor piglian sollazzo
     Venereo, altro che fiere, uomini, e greggi.
     Che se forse del corpo il proprio senso
     Perdendo, altro ne acquistano, a che fine
     1305Dessi loro assegnar ciò ch’è lor tolto?
     In oltre ancora, il che scansammo avanti,
     Perchè veggiam, che de’ crestati augelli
     Si cangian l’ova in animati polli,
     E di piccioli vermi il suol ribolle,
     1310Allorchè per tempeste intempestive

[p. 107 modifica]

     Divien putrido, e marcio, indi ne lice
     Saper, che fassi di non senso il senso.
Ma se forse dirai crearsi i sensi
     Sol da non senso, purchè pria che nasca,
     1315Abbia di moto un tal principio il parto,
     Sol basterà, ch’io ti dimostri aperto,
     Che mai senza union de’ corpi primi
     Non si genera il parto, e non si muta
     Nulla senza lor gruppo innanzi fatto.
     1320Poichè per certo la materia è sparta
     Pe’ fiumi, in aria, in terra, e nelle cose
     Già di terra create, e non s’accozza
     In convenevol modo, onde comparta
     Fra se moto vital, per cui s’accenda
     1325Senso, che guardi ’l tutto, e gli animali
     Difender possa de’ contrarj insulti.
In oltre ogni animal, se più gran colpo,
     Che la natura sua soffrir non puote,
     Il fere, in un momento anco l’atterra,
     1330E s’avaccia a turbar tutti, e scomporre
     E del corpo, e dell’alma i sentimenti;
     Poichè si sciolgon de’ principj primi
     Le positure, ed impediti affatto
     Sono i moti vitali, infino a tanto
     1335Che squassata, e scomposta ogni materia
     Per ogni membro il vital nodo scioglie
     Dell’anima dal corpo, e fuor dispersa

[p. 108 modifica]

     D’ogni proprio ricetto al fin la scaccia.
     Poichè qual altra cosa oprar può mai
     1340Negli animali un violento colpo,
     Se non crollargli, e dissipargli in tutto?
     Succede ancor, che per minor percossa
     Pon del moto vital gli ultimi avanzi
     Vincer sovente; vincere, e del colpo
     1345Acquietare i grandissimi tumulti,
     E di novo chiamar ne’ proprj alberghi
     Ciò che partissi, e nell’afflitto corpo
     Moti produr signoreggianti omai
     Di morte, e dentro rivocarvi i sensi
     1350Quasi smarriti: che per qual cagione
     Posson più tosto ripigliar vigore,
     E dallo stesso limitar di morte
     Tornare in vita, che partirsi, ed ire
     Là dove già quasi è finito il corso?
1355Perchè il duolo, oltre a questo, allor si genera,
     Che per le membra, e per le vive viscere
     Da qualche violenza i primi corpi
     Vengono stimolati, e nelle proprie
     Lor sedi interamente si conturbano;
     1360Ma quando poscia alla lor propria stanza
     Tornano, il lusinghevole piacere
     Tosto si crea, quindi saper ne lice,
     Che mai non posson da dolore alcuno
     Essere afflitti i genitali corpi,

[p. 109 modifica]

     1365Nè pigliar per se stessi alcun diletto.
     Conciossiachè non son d’altri principj
     Fatti, per lo cui moto aver travaglio
     Debbano, o pur qualche soave frutto
     Di dolcezza gustar. Non ponno adunque
     1370Esser dotati d’alcun senso i semi.
Se in somma, acciocchè senta ogni animale,
     Senso a’ principj suoi deve assegnarsi,
     Dimmi, che ne avverrà? fia d’uopo al certo,
     Che i semi, onde si crea l’umano germe,
     1375Si sganascin di risa, e di stillanti
     Lagrime amare ambe le gote aspergano;
     E ne sappian ridir, come sian miste,
     Le cose, e possan domandar l’un l’altro
     Le qualità de’ lor principj, e l’essere.
     1380Posciachè essendo assomigliati a tutti
     I corpi corruttibili, dovranno
     D’altri Elementi esser formati anch’essi,
     E quindi d’altri in infinito gli altri;
     E converrà, che ciò che ride, o parla,
     1385O sa, creato sia d’altri principj,
     Che ridan essi ancor, parlino, e sappiano,
     Che se tai cose esser delire, e pazze
     Ognun confessa, e rider puote al certo
     Chi fatto è pur di non ridenti semi;
     1390Ed esser saggio, e nel parlar facondo
     Chi nato è pur di non facondi, e saggi,

[p. 110 modifica]

     Dimmi, per qual cagion ciocchè si mira
     Aver senso vital, non può formarsi
     D’atomi affatto d’ogni senso ignudi?
1395Al fin ciascuno ha da celeste seme
     L’origine primiera: a tutti è padre
     Quello stesso; onde allor che se riceve
     L’alma gran Madre Terra il molle umore
     Della pioggia cadente, i lieti arbusti
     1400Gravida figlia, il gran, le biade, e gli uomini,
     Ed ogni specie d’animai silvestri,
     Mentr’ella a tutti somministra i paschi,
     Onde nutrirsi, onde menar tranquilla
     Possan la vita, e propagar la prole,
     1405Onde a ragione ebbe di madre il nome.
     Similmente ritorna indietro in terra
     Ciocchè di terra fu creato innanzi;
     E quel, che fu dalle celesti, e belle
     Regioni superne in giù mandato,
     1410Di nuovo anch’egli riportato in Cielo
     Trova ne’ templi suoi dolce ricetto:
     Nè sì la morte uccider può le cose,
     Che le annichili affatto. Ella discioglie
     Solo il gruppo de’ semi, e quindi un altro
     1415D’altri poi ne congiunge, e fa, che tutte
     Cangio forma le cose, e acquistin senso
     Tal volta, ed anco in un sol punto il perdano:
     Onde apprender si può, che molto importa,

[p. 111 modifica]

     Come sian misti i primi semi, e posti,
     1420E quai moti fra lor diano, e ricevano;
     Poichè forman gl’istessi il Cielo, il Sole;
     Gl’istessi ancor la terra, i fiumi, il mare,
     Gli uomini, gli animai; l’erbe, e le piante;
     E se non tutti, una gran parte almeno
     1425Son tai corpi tra lor molto simili,
     E solo han vario, e differente il sito:
     Tal se dentro alle cose in varie guise
     Cangiansi de’ principj i colpi, i pesi,
     I concorsi, le vie, gli spazj, i gruppi,
     1430Gli ordini, i moti, e le figure, i siti,
     Debbon le cose variarsi anch’elle,
Or mentre il vero io ti ragiono, o Memmio,
     Sta con l’animo attento a’ detti nostri;
     Perchè novi concetti entro all’orecchie
     1435Tentan di penetrarti, e nuove forme
     Di cose a gli occhi tuoi se stesse svelano,
     Ma nulla è di sì facile credenza,
     Che di molto difficile non paja
     Al primo tratto; e similmente nulla
     1440Per sì grande e mirabile s’addita
     Mai da principio, che volgare e vile
     Appoco appoco non diventi anch’egli:
     Come il chiaro, e purissimo colore
     Del Cielo, e quel, che le vaganti e fisse
     1445Stelle in se stesse d’ogn’intorno accolgono,
     

[p. 112 modifica]

     E della Luna or mezza, or piena, or scema
     L’argenteo lume, e i vivi rai del Sole.
     Che s’or primieramente all’improvviso
     Rifulgessero a noi quasi ad un tratto
     1450Post’innanzi a’ nostr’occhi, e qual potrebbe
     Cosa mai più mirabile chiamarsi
     Di queste? o che giammai la gente innanzi
     Men di credere osasse? A quel, ch’io stimo,
     A nessun, più che a te, parsa sarebbe
     1455Degna di maraviglia una tal vista.
     E pur già sazio, non che stanco, ognuno
     Del soverchio mirar, non degna a i templi
     Risplendenti del Cielo alzar più gli occhi.
     Onde non voler tu, solo atterrito
     1460Dalla sua novità, la mia ragione
     Correr veloce a disprezzar; ma prendi
     Con più fino giudizio a ponderarla;
     E se vera ti par, consenti, e taci:
     Se no, t’accingi a disputarle incontro,
     1465Poichè sol di ragion l’animo è pago.
     Essendo fuor di questo nostro mondo
     Spazio infinito, l’animo ricerca
     Ciò ch’egli sia, fin dove può la mente
     Penetrare a veder; dove lo stesso
     1470Animo può spiegar libero il volo.
Pria, se ben ti rammenta, in ogni parte,
     A destra, ed a sinistra, e sotto, e sopra

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     Per tutto è sparso un infinito spazio,
     Com’io già t’insegnai, come vocifera
     1475Per se medesmo il fatto; e del profondo
     A ciascun la natura è manifesta.
     Dunque pensar già non si dee, ch’essendo
     Sparso a noi d’ogn’intorno un infinito
     Spazio, nel quale in mille guise, e mille
     1480Numero innumerabile di semi
     Profondi immensamente, irrequieti
     Volan mai sempre, ed a crear bastanti
     Fur questa terra, e questo Ciel, che miri,
     Nulla fuori di lui faccian quei tanti
     1485Principj; essendo massime anche questo
     Fatto dalla Natura; e delle cose
     Gl’istessi semi in molti modi a caso
     Urtandosi l’un l’altro indarno uniti
     Avendo pur fatto quei gruppi al fine,
     1490Che repentinamente in varie parti
     Lanciati, fosser poi sempre principj
     E di terra, e di mar, di cieli, e stelle,
     D’uomini, d’animai, di piante, e d’erbe.
     Onde voglia, o non voglia, è pur mestiero,
     1495Che tu confessi esser da noi lontani
     Molti altri gruppi di materia prima;
     Quale appunto stim’io questo, che stringe
     L’Etere con tenace abbracciamento.
     In oltre allor che la materia è pronta,

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     1500Il luogo apparecchiato, e nulla manca,
     Debbon le cose generarsi al certo.
     Or se dunque de’ semi è tanto grande
     La copia, quanto a numerar bastevole
     Non è degli animai l’etade intera,
     1505E la forza medesma, e la natura
     Ritengono i principj atta a lanciarli
     In tutti i luoghi nell’istessa guisa
     Che fur lanciati; in questo egli è pur d’uopo
     Confessar, ch’altre terre in altre parti
     1510Trovinsi, ch’altre genti, ed altra specie
     D’uomini, e d’animai vivano in esse.
S’arroge a ciò, che non è cosa al Mondo,
     Che si generi sola, e sola cresca;
     Il che principalmente in ogni specie
     1515D’animai può veder chiunque volge
     La mente a contemplarle ad una ad una.
     Posciachè sempre troverà, che molti
     Son simili tra loro, e d’una razza.
     Così veder potrai, che son le fere
     1520Che van pe’ i monti, e per le selve errando:
     Così l’umana, prole; e finalmente
     Così de’ pesci gli squamosi greggi,
     E tutt’i corpi de’ rostrati augelli.
     Ond’è pur forza confessar, che il Cielo,
     1525Per la stessa ragion, la terra, il Sole,
     La Luna, il mare, e tutte l’altre cose

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     Non sian nell’universo uniche e sole;
     Ma piuttosto di numero infinito.
     Poichè tanto altamente è della vita
     1530Il termine prefisso a queste cose,
     E tanto han queste naturale il corpo,
     Quante ogni altra sostanza, ond’esse abbondano
     Generalmente; il che, se bene intendi,
     Tosto libera e sciolta, e di superbi
     1535Tiranni priva, e senza Dei parratti
     La natura per se creare il tutto.
     Conciossiachè, sia detto pur con pace
     De’ sommi Dei, che placida, e tranquilla
     Vivon sempre un’età chiara, e serena,
     1540Chi dell’Immenso regger può la Somma?
     Chi del Profondo moderare il freno?
     Chi dare il moto ad ogni Cielo, e tutte
     Di fuochi eterei riscaldar le terre,
     E pronto in ogni tempo, in ogni luogo
     1545Trovarsi? ond’egli tenebrosi renda
     D’atre nuvole i giorni, e le serene
     Regioni del Ciel con tuono orrendo
     Squassi, e vibri talor fulmini ardenti,
     E spesso atterri i proprj templi, e spesso
     1550Contro i deserti incrudelisca, ed opri
     Irato il telo, onde sovente illesi
     Restano gli empj, è gl’innocenti oppressi?
     In somma allor che fu creato il mondo,

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     Il mar, la terra, e generato il Sole,
     1555Gli furo esternamente intorno aggiunti
     Molti altri primi corpi ivi lanciati
     Dal tutto immenso; onde la terra, e ’l mare
     Crescer potesse, ed adattar lo spazio
     Il gran tempio del cielo, e gli alti tetti
     1560Erger lungi da terra, e nascer l’aria.
     Posciachè tutti i corpi a’ proprj luoghi
     Concorron d’ogni banda, e si ritira
     Ciascuno alla sua specie: all’acqua l’acqua,
     Alla terra la terra, al foco il foco,
     1565Il Cielo al Ciel, finchè all’estremo termine
     Di sua perfezion giunga ogni cosa:
     Ciò Natura operando, appunto come
     Suole allora accader, che nulla omai
     Più di quel, che spirando ognor se n’esce,
     1570Nelle vene vitali entrar non puote.
     Che debbe pur di queste cose allora
     L’età fermarsi, e con le proprie forze
     La natura frenarne ogni augumento:
     Poichè ciò che si mira appoco appoco
     1575Farsi più grande, e dell’adulta etade
     Tutt’i gradi salir, più corpi al certo
     Piglia per se, che fuor di se non caccia;
     Mentre che per le vene agevolmente
     Può tutto il cibo dispensarsi, ed esse
     1580Non son diffuse in guisa tal che molto

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     Ne rimandino indietro, e sia maggiore
     Dell’acquisto la perdita. Che certo
     Forza è pur confessar, che dalle cose
     Spirin corpi, e si partano; ma denno
     1585Correrv’in maggior copia, infino a tanto
     Ch’elle possan toccar l’ultima, meta
     Del crescer loro; indi la forza adulta
     Si snerva appocco appoco, e sempre in peggio
     L’età declina; conciossiachè quanto
     1590Una cosa è più grande, ella per certo,
     Toltone l’augumento, ognor discaccia
     Da se tanti più corpi; e per le vene
     Sparger non puossi in sì gran copia il cibo,
     Che quanto è d’uopo somministri al corpo
     1595E ciò, che ad or ad or langue, e vien meno,
     Sia per natura a rinovar bastante.
     Dunque a ragion ciascuna cosa in tutto
     Perisce, allor che rarefatta scorre,
     E che soggiace alle percosse esterne;
     1600Poichè per lunga etade il cibo, al fine
     Manca senz’alcun dubbio, e mai non cessano
     Di martellar, di tormentar le cose
     Esternamente i lor nemici corpi,
     Finchè non l’hanno dissipate affatto.
     1605Così della gran macchina del mondo
     Le mura eccelse al fin crollate e scosse
     Cadranno un giorno imputridite e marcie,

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     Posciachè il cibo dee rinovellando
     Reintegrar tutte le cose indarno;
     1610Perchè nè sopportar posson le vene
     Ciocchè d’uopo saria, nè la natura
     Ciocchè d’uopo saria somministrare.
     E già manca l’etade, e già la terra
     Quasi del tutto isterilita appena
     1615Genera alcuni piccioli animali:
     Ella, che un tempo generar poteo
     Tutte le specie, e smisurati corpi
     Dare alle fiere; poichè le mortali
     Specie, così cred’io, dal Ciel superno
     1620Per qualche fune d’or calate al certo
     Non furo in terra, e ’l mar, le fonti, e i fiumi
     Non si crear da lagrimanti sassi;
     Ma quel terren, che gli nutrica e pasce
     Or di se stesso, di se stesso ancora
     1625Generogli a principio. Egli a’ Mortali
     Fu bastante a produrre il grano, e l’uva:
     Egli i frutti soavi, egli i fecondi
     Paschi ne diè, che in questa etade appena
     Con fatiche, e travagli aver si ponno.
     1630E benchè noi degli aratori armenti
     Snerviam le forze, e le robuste braccia
     Affatichiam de’ contadini industri,
     E ferree zappe, e vomeri, e bipenti
     Logoriam per la terra, ella ne porge

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     1635Appena i cibi necessarj al vitto:
     Talmente il suolo appoco appoco scema
     Di frutto, e sempre le fatiche accresce;
     E già l’afflitto agricoltor sospira
     D’aver più volte consumati indarno
     1640I suoi gravi travagli; e quando insieme
     I secoli trascorsi all’età nostra
     Piglia a paragonar, loda sovente
     Le fortune del padre, e s’ange, e duole;
     Che gli uomini primieri agevolmente
     1645Fra gli angusti confini, allorchè molto
     La misura de’ campi era minore,
     Vissero la lor vita; e non sovviengli,
     Che appoco appoco s’infiacchisce il tutto,
     E stanco al fin per le soverchia etade
     1650Va di morte allo scoglio, e vi si spezza.