Delle speranze d'Italia/Capo I

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Capo I

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Occasione di questo scritto Capo II
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CAPO PRIMO.

l’ordinamento politico presente dell’italia non è buono


1. Io parto dal fatto che l’Italia non è politicamente ben ordinata, posciachè ella non gode tutt’intiera di quello, che è primo ed essenziale fra gli ordini politici, quello che anche solo procaccia tutti gli altri buoni necessarii, quello senza cui tutti gli altri buoni son nulli o si perdono, la indipendenza nazionale. Se tal fosse fra’ miei leggitori, a cui l’arguzia dell’ingegno, l’abito soverchio del distinguere, o qualunque altro più o men sincero motivo persuadesse che l’Italia ha quest’indipendenza politica; ovvero che senz’averla ella possa essere e dirsi ben ordina[p. 10 modifica]ta, tant’è ch’ei non continui. Questo scritto s’appoggia tutto sulla incontrastabilità e sulla importanza di quel fatto; non si rivolge se non a coloro che prendendo la parola d’indipendenza nel senso comune, accettato dentro e fuori, credono che una gran parte d’Italia non l’ha; e che una nazione, di cui gran parte non l’ha, non è nè può dirsi politicamente ben ordinata.

2. E continuando dunque con questi, osserverò soprabbondantemente: che la dipendenza di una provincia nostra dallo straniero, non solamente distrugge ogni bontà, ogni dignità dell’ordinamento in quella provincia; ma guasta, fa men degni gli ordini dell’altre provincie; non lascia compiutamente indipendenti nemmeno i veri Stati, i principati italiani. Gli esempi di ciò sarebbero facili a darsi, e moltiplici; ma forse noiosi ed odiosi. Ed io me ne rimetto a tutti gli Italiani, empiii ai più informati, a quelli che son più su ne’ segreti e nelle pratiche de’ nostri governi. Niuno di essi negherà, che nei disegni, nei fatti, sovente nelle massime, talor nelle minime azioni governative, si senta, sia grave, sia più grave che qualunque altra potenza straniera, quella che signoreggia una provincia italiana. Non parlo di forme, e nemmeno di trattati; i quali so che riconoscono le nostre indipendenze come assolute. Ma non son eglino altri trattati che le [p. 11 modifica]infermino? E dove non sien questi, non è egli il fatto, l’abito, la prepotenza inevitabile nelle discussioni tra più e men forti? Ma, non che contraddirmi, io credo che questi uomini di governo sorrideranno, e fors’anco si sdegneranno, che facciasi questione di ciò che è difficoltà: scusa loro quotidiana e grande; che non si tenga conto di lor condizione, la quale implica scusa di ciò che non fanno, lode di ciò che riescono a fare, ingiustizia in chiunque li giudica senza tenere tal conto. In tutti i paesi, in tutte le età del mondo, noi governati parlammo, giudicammo de’ governanti; or tanto più che se ne parla e giudica pubblicamente in molti paesi; e molto più male ne’ paesi dove non se ne parla così. Se fosse una pubblica tribuna in Italia, il primo che vi salisse, vi salirebbe probabilmente ad accusare i nostri governi; ma il secondo a scusarli colla dipendenza, in mezzo a cui essi vivono. Ed ho fede nel senno italiano, che ammessa in generale tale scusa, non si disputerebbe d’altro se non del sapere se sia sufficiente in ogni caso particolare. Finché non è discussione pubblica, è naturale che si passi da molti il segno della critica; è naturale, dico, nel volgo; ma non ne’ mediocremente informati e che vogliano esser retti. Questi non hanno scusa mai, di non ammettere, di non cercare essi stessi le scuse altrui. [p. 12 modifica]

3. Nè voglio entrare nell’altra trista e lunga enumerazione di quegli impedimenti a’ nostri commercii, alle nostre industrie, alle nostre arti, alle nostre lettere, a tutte le operosità anche private, che vengono dalla dipendenza diretta d’una gran provincia, dalla indiretta de’ principati d’Italia. Non è peggior impegno che volere spiegare a chi non vuole intendere, o a chi intende e non conviene; e chi intende ed è sincero sa molto bene che nelle nazioni come negli uomini non suole esser compiuta operosità, senza compiuta indipendenza. — Non darò dei danni della dipendenza se non un esempio. Il papa è papa, e sarà papa non solamente durante la preponderanza austriaca presente, ma quand’anche questa. s’accrescesse e diventasse usurpazione universale, come furono quelle di Napoleone e di alcuni imperadori del medio evo. Ma finchè dura quella preponderanza, finchè il papa principe italiano è sotto la dipendenza dell’Austria più che di Francia, Spagna, Portogallo o Baviera, grandi potenze cattoliche, e più che d’Inghilterra, di Prussia o d’altre potenze non cattoliche, non è dubbio ohe il papa non può fare il papa così bene, come farebbe se avesse nome ed effettività di principe del tutto indipendente) non è dubbio che non può fare il capo spirituale effettivo della Cattolicità, il capo in [p. 13 modifica]isperanza dell’intiera Cristianità, così felicemente, come farebbe se ogni governo cattolico o non cattolico, fosse persuaso della compiuta indipendenza, della probabile imparzialità di tal capo. Certo in ogni caso, quali che sieno i decreti della Provvidenza, ogni buon cattolico tiene il papa per papa; non può essere questione di ciò. Ma può essere: quanti buoni cattolici saranno in tale o tal caso? E posta la questione, se sien probabili più numerosi cattolici nel caso del papa tenuto per indipendente, o del papa tenuto per dipendente, non panni che lo scioglimento sia dubbio; ognuno risponderà: certo più nel caso che il papa sia indipendente.

4. Ma io mi vergogno di trattenermi in siffatte generalità; d’aver fatto un capitolo quantunque breve sur una proposizione così ovvia e in che convengono tutti. Ed io dico che in essa convengono non solamente i governati che criticano bene o male, e i governanti ingiustamente o giustamente criticati dei principati italiani, e tanto più i sudditi degli stranieri; ma dico che vi convengono pure gli stessi stranieri signoreggianti, quanti sono fra essi di qualche buona fede, di qualche buon giudizio; e più i più alti, anche qui. Questi stranieri di alto affare, questi uomini di stato dell’impero austriaco sono nella medesima condizione che quegli uomini di stato France[p. 14 modifica]si ed Inglesi, i quali continuamente e dalle loro pubbliche tribune professano di attendere agli interessi loro nazionali sopra tutti gli altri, ma che pur mostrano d’intendere molto bene anche quelli dell’altre nazioni, e scusano od anzi approvano ciascuna di promuovere i proprii. Gli uomini di stato Austriaci professano il medesimo, benché non da una pubblica tribuna che non hanno; il professano come possono privatamente; veggono quant’ogni altro, più forse che ogni altro il non buono ordinamento della penisola italiana; ma, ministri dello Stato austriaco, tengono primi i loro doveri austriaci, e provvedono al mantenimento della grandezza, della potenza austriaca. E, siamo giusti se vogliamo essere utili: essi hanno ragione; può esser questione del modo di adempiere tal dovere, non, che sia dover loro. Ma insomma anch’essi, a modo loro, convengono nella proposizione troppo ribattuta oramai: che l’ordinamento politico dell’Italia non è buono per l’Italia.