Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio (1824)/Libro primo/Capitolo 14

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CAPITOLO XIV


I Romani interpretavano gli auspizj secondo la necessità, e con la prudenza mostravano di osservare la Religione, quando forzati non l’osservavano, e se alcuno temerariamente la dispregiava, lo punivano.


Non solamente gli augurj, come di sopra si è discorso, erano il fondamento in buona parte dell’antica Religione de’ Gentili, ma ancora erano quelli, ch’erano cagione del bene essere della Repubblica romana. Donde i Romani ne avevano più cura che di alcuno altro ordine di quella, ed usavangli ne’ Comizj consolari, nel principiare le imprese, nel trar fuori gli eserciti, nel fare le giornate, e in ogni azione loro importante o civile o militare; nè mai sarebbono iti ad una espedizione, che non avessero persuaso ai soldati che gli Dii promettevano loro la vittoria. E fra gli altri aruspizj, avevano negli eserciti certi ordini di auspizj che e’ chiamavano Pollarj. E qualunque volta eglino ordinavano di fare la giornata col nimico, volevano che i Pollarj facessero i loro auspizj; e beccando i polli, combattevano con buono augurio, non beccando, si astenevano dalla zuffa. [p. 71 modifica]Nondimeno quando la ragione mostrava loro una cosa doversi fare, non ostante che gli auspizj fussero avversi, la facevano in ogni modo; ma rivoltavanla con termini e modi tanto attentamente, che non paresse che la facessero con dispregio della Religione: il quale termine fu usato da Papirio Consolo in una zuffa che fece importantissima coi Sanniti, dopo la quale restorno in tutto deboli ed afflitti. Perchè sendo Papirio in su i campi rincontro ai Sanniti, e parendogli avere nella zuffa la vittoria certa, e volendo per questo fare la giornata, comandò ai Pollarj che facessero i loro auspizj; ma non beccando i polli, e veggendo il Principe de’ Pollarj la gran disposizione dello esercito di combattere, e la opinione ch’era nel Capitano e in tutt’ i soldati di vincere, per non torre occasione di bene operare a quello esercito, riferì al Consolo come gli auspizj procedevano bene; talchè Papirio ordinando le squadre, ed essendo da alcuno de’ Pollarj detto a certi soldati i polli non avere beccato, quelli lo dissono a Spurio Papirio nipote del Consolo, e quello riferendolo al Consolo, rispose subito ch’egli attendesse a fare l’ufficio suo bene, e che quanto a lui e allo esercito gli auspizj erano retti, e se il Pollario aveva detto le bugie, ritornerebbono in pregiudizio suo. E perchè lo effetto corrispondesse al pronostico, comandò ai legati che costituissero i Pollarj nella prima fronte della zuffa. Onde nacque che andando contro ai nemici, sendo da un soldato romano tratto [p. 72 modifica]un dardo, a caso ammazzò il Principe de’ Pollarj; la qual cosa udita il Consolo, disse come ogni cosa procedeva bene, e col favore degli Dii, perchè lo esercito con la morte di quel bugiardo si era purgato da ogni colpa, e da ogni ira che quelli avessero preso contro di lui. E così col sapere bene accomodare i disegni suoi agli auspizj, prese partito di azzuffarsi, senza che quello esercito si avvedesse, che in alcuna parte quello avesse negletti gli ordini della loro Religione. Al contrario fece Appio Pulcro in Sicilia nella prima guerra Punica, che volendo azzuffarsi con l’esercito Cartaginese, fece fare gli auspizj a’ Pollari, e riferendogli quelli come i Polli non beccavano, disse, veggiamo se volessero bere, e gli fece gittare in mare, dondechè azzuffandosi perdette la giornata, di che egli ne fu a Roma condannato, e Papirio onorato, non tanto per aver l’uno perduto e l’altro vinto, quanto per aver l’uno fatto contro agli auspizj prudentemente, e l’altro temerariamente. Nè ad altro fine tendeva questo modo dello auspicare, che di fare i soldati confidentemente ire alla zuffa, dalla qual confidenza quasi sempre nasce la vittoria. La qual cosa fu non solamente usata dai Romani, ma dagli esterni; di che mi pare di addurre uno esempio nel seguente capitolo.