Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio (1824)/Libro primo/Capitolo 13

Da Wikisource.
../Capitolo 12

../Capitolo 14 IncludiIntestazione 13 settembre 2022 75% Storia

Libro primo - Capitolo 12 Libro primo - Capitolo 14


[p. 67 modifica]

CAPITOLO XIII


Come i Romani si servirono della Religione per ordinare la città, e per seguire le loro imprese, e fermare tumulti.


Ei non mi pare fuor di proposito addurre alcuno esempio, dove i Romani si servirono della Religione per riordinare la città, e per seguire l'imprese loro; e quantunque in Tito Livio ne siano molti, nondimeno voglio essere contento a questi. Avendo creato il Popolo romano i Tribuni di potestà Consolare, e fuorchè uno tutti Plebei, ed essendo occorso quell'anno peste e fame, e venuti certi prodigj, usarono questa occasione i Nobili nella nuova creazione dei Tribuni, dicendo che gli Dii erano adirati per aver Roma male usata la maestà del suo Impero, e che non era altro rimedio a placare gli Dii, che ridurre la elezione dei Tribuni nel luogo suo; di che nacque, che la Plebe sbigottita da questa Religione creò i Tribuni tutti nobili. Vedesi ancora nella espugnazione della città de' Veienti, come i Capitani degli eserciti si valevano della Religione per tenerli disposti ad una impresa. Che essendo il lago Albano quell'anno cresciuto mirabilmente, ed essendo i soldati romani infastiditi per la lunga ossidione, e volendo tornarsene a Roma, trovarono i Romani come Apollo e certi altri responsi dicevano, che quell'anno [p. 68 modifica]si espugnerebbe la città de’ Veienti, che si derivassi il lago Albano; la quale cosa fece ai soldati sopportare i fastidi della ossidione, presi da questa speranza di espugnare la terra: e stettono contenti a seguire la impresa, tanto che Camillo fatto Dittatore espugnò detta città, dopo dieci anni che la era stata assediata. E così la religione, usata bene, giovò e per la espugnazione di quella città, e per la restituzione del Tribunato nella Nobilità che, sanza detto mezzo, difficilmente si sarebbe condotto e l’uno e l’altro. Non voglio mancare di addurre a questo proposito un altro esemplo. Erano nati in Roma assai tumulti per cagione di Terentillo Tribuno, volendo lui proporre certa legge, per le cagioni che di sotto, nel suo luogo, si diranno; e tra i primi rimedi che vi usò la Nobilità, fu la Religione, della quale si servirono in due modi. Nel primo, fecero vedere i libri Sibillini, e rispondere come alla città, mediante la civile sedizione, soprastavano quello anno pericoli di non perdere la libertà: la quale cosa, ancora che fusse scoperta da’ Tribuni, nondimeno messe tanto terrore ne’ petti della plebe, che la raffreddò nel seguirli. L’altro modo fu, che avendo un Appio Erdonio, con una moltitudine di sbanditi e di servi, in numero di quattromila uomini, occupato di notte il Campidoglio, in tanto che si poteva temere che, se gli Equi e i Volsci, perpetui inimici al nome romano, ne fossero venuti a Roma, la arebbono espugnata; e non cessando i Tribuni [p. 69 modifica]per questo d’insistere nella pertinacia loro di promulgare la legge Terentilla; dicendo che quello insulto era fittizio e non vero, uscì fuori del Senato un Publio Rubezio, cittadino grave e di autorità, con parole parte amorevoli, parte minaccianti, mostrandogli i pericoli della città, e la intempestiva domanda loro, tanto che ei costrinse la Plebe a giurare di non si partire dalla voglia del Consolo. Ondechè la Plebe ubbidiente, per forza ricuperò il Campidoglio; ma essendo in tale espugnazione morto Publio Valerio Consolo, subito fu rifatto Consolo Tito Quinzio, il quale per non lasciare riposare la Plebe, nè darle spazio a ripensare alla legge Terentilla, le comandò si uscisse di Roma per andare contra i Volsci, dicendo che per quel giuramento aveva fatto di non abbandonare il Consolo, era obbligata a seguirlo; a che i Tribuni si opponevano, dicendo, come quel giuramento s’era dato al Consolo morto, e non a lui. Nondimeno Tito Livio mostra, come la Plebe per paura della Religione volle più presto ubbidire al Consolo, che credere a’ Tribuni, dicendo in favore della antica Religione queste parole: Nondum haec, quae nunc tenet saeculum, negligentia Derim venerat, nec interpretando sibi quisque jusjurandum et leges aptas faciebat. Per la qual cosa dubitando i Tribuni di non perdere allora tutta la loro libertà sì accordarono col Consolo di stare alla ubbidienza di quello, e che per un anno non sì ragionasse della legge Terentilla, ed i Consoli per un anno [p. 70 modifica]non potessero trarre fuori la Plebe alla guerra. E così la Religione fece al Senato vincere quella difficultà, che senza essa mai non arebbe vinto.