Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio (1824)/Dedicatoria a Zanobi Buondelmonti e Cosimo Rucellai

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NICCOLÒ MACHIAVELLI

A

ZANOBI BUONDELMONTI

E

COSIMO RUCELLAI



salute


Io vi mando un presente, il quale, se non corrisponde agli obblighi che io ho con voi, è tale, senza dubbio, quale ha potuto Niccolò Machiavelli mandarvi maggiore. Perchè in quello io ho espresso quanto io so e quanto io ho imparato per una lunga pratica e continua lezione delle cose del Mondo. E non potendo nè voi nè altri desiderare da me più, non vi potete dolere, se io non vi ho donato più. Bene vi può increscere della povertà dello ingegno mio, quando siano queste mie narrazioni povere; e della fallacia del [p. 4 modifica]giudizio, quando io in molte parti, discorrendo, m’inganni. Il che essendo, non so quale di noi si abbia ad essere meno obbligato all’altro, o io a voi che mi avete forzato a scrivere quello che io mai per me medesimo non arei scritto, o voi a me, quando scrivendo non abbia soddisfatto. Pigliate dunque questo in quel modo che si pigliano tutte le cose degli amici, dove si considera più sempre l’intenzione di chi manda, che la qualità della cosa che è mandata. E crediate che in questo io ho una satisfazione, quando io penso che, sebbene io mi fussi ingannato in molte sue circostanze, in questa sola so ch’io non ho preso errore, di avere eletto voi, ai quali sopra tutti gli altri questi miei Discorsi indirizzi; sì perchè, facendo questo, mi pare aver mostro qualche gratitudine de’ benefizj ricevuti, sì perchè e’ mi pare essere uscito fuora dell’uso comune di coloro che scrivono, i quali sogliono sempre le loro opere a qualche Principe indirizzare; e accecati dall’ambizione e dall’avarizia laudano quello di tutte le virtuose qualitadi, quando di ogni vituperevole parte dovrebbono biasimarlo. Onde io per non incorrere in questo errore ho eletti, non quelli che sono Principi, ma quelli che per le infinite buone parti loro meriterebbono d’essere; nè quelli che potrebbono di [p. 5 modifica]gradi, di onori e di ricchezze riempiermi, ma quelli che, non potendo, vorrebbono farlo. Perchè gli uomini, volendo giudicare dirittamente, hanno a stimare quelli che sono, non quelli che possono essere liberali; e così quelli che sanno, non quelli che senza sapere possono governare un regno. E gli scrittori laudano più Jerone Siracusano quando egli era privato, che Perse Macedone quando egli era Re; perchè a Jerone a esser Principe non mancava altro che il principato, quell’altro non aveva parte alcuna di Re che il regno. Godetevi pertanto quel bene, o quel male che voi medesimi avete voluto; e se voi starete in questo errore che queste mie opinioni vi siano grate, non mancherò di seguire il resto dell'istoria, secondo che nel principio vi promisi. Valete.