Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio (1824)/Libro primo/Capitolo 49

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Libro primo

Capitolo 49

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Se quelle cittadi che hanno avuto
il principio libero, come Roma,
hanno difficultà a trovare legge
che le mantenghino: quelle che lo hanno
immediate servo, ne hanno quasi
una impossibilità.

Quanto sia difficile, nello ordinare una republica, provedere a tutte quelle leggi che la mantengono libera, lo dimostra assai bene il processo della Republica romana: dove, non ostante che fussono ordinate di molte leggi da Romolo prima, dipoi da Numa, da Tullo Ostilio e Servio, ed ultimamente dai dieci cittadini creati a simile opera; nondimeno sempre nel maneggiare quella città si scoprivono nuove necessità, ed era necessario creare nuovi ordini: come intervenne quando crearono i Censori i quali furono uno di quegli provvedimenti che aiutarono tenere Roma libera, quel tempo che la visse in libertà. Perché, diventati arbitri de’ costumi di Roma, furono cagione potissima che i Romani differissono più a corrompersi. Feciono bene nel principio della creazione di tale magistrato uno errore, creando quello per cinque anni; ma, dipoi non molto tempo, fu corretto dalla prudenza di Mamerco dittatore, il quale per nuova legge ridusse detto magistrato a diciotto mesi. Il che i Censori, che vegghiavano ebbero tanto per [p. 166 modifica]male, che privarono Mamerco del Senato: la quale cosa e dalla Plebe e dai Padri fu assai biasimata. E perché la istoria non mostra che Mamerco se ne potessi difendere, conviene o che lo istorico sia difettivo, o gli ordini di Roma in questa parte non buoni: perché e’ non è bene che una republica sia in modo ordinata, che uno cittadino per promulgare una legge conforme al vivere libero, ne possa essere, sanza alcuno rimedio, offeso. Ma tornando al principio di questo discorso, dico che si debbe, per la creazione di questo nuovo magistrato, considerare che, se quelle città che hanno avuto il principio loro libero, e che per sé medesimo si è retto, come Roma, hanno difficultà grande a trovare leggi buone per mantenerle libere; non è maraviglia che quelle città che hanno avuto il principio loro immediate servo, abbino, non che difficultà, ma impossibilità a ordinarsi mai in modo che le possino vivere civilmente e quietamente. Come si vede che è intervenuto alla città di Firenze; la quale, per avere avuto il principio suo sottoposto allo Imperio romano, ed essendo vivuta sempre sotto il governo d’altrui, stette un tempo abietta, e sanza pensare a sé medesima: dipoi, venuta la occasione di respirare, cominciò a fare suoi ordini; i quali sendo mescolati con gli antichi, che erano cattivi, non poterono essere buoni: e così è ita maneggiandosi, per dugento anni che si ha di vera memoria, sanza avere mai avuto stato, per il quale la possa veramente essere chiamata republica. E queste [p. 167 modifica]difficultà, che sono state in lei, sono state sempre in tutte quelle città che hanno avuto i principii simili a lei. E, benché molte volte, per suffragi pubblici e liberi, si sia data ampla autorità a pochi cittadini di potere riformarla; non pertanto non mai l’hanno ordinata a comune utilità, ma sempre a proposito della parte loro: il che ha fatto, non ordine, ma maggiore disordine in quella città. E per venire a qualche esemplo particulare, dico come, intra le altre cose che si hanno a considerare da uno ordinatore d’una republica è esaminare nelle mani di quali uomini ei ponga l’autorità del sangue contro de’ suoi cittadini. Questo era bene ordinato in Roma, perché e’ si poteva appellare al Popolo ordinariamente: e se pure fosse occorso cosa importante, dove il differire la esecuzione mediante l’appellagione fusse pericoloso, avevano il refugio del Dittatore, il quale eseguiva immediate; al quale rimedio non refuggivano mai, se non per necessità. Ma Firenze, e le altre città nate nel modo di lei, sendo serve, avevano questa autorità collocata in uno forestiero, il quale, mandato dal principe, faceva tale ufficio. Quando dipoi vennono in libertà, mantennono questa autorità in uno forestiero, il quale chiamavono capitano: il che, per potere essere facilmente corrotto da’ cittadini potenti, era cosa perniziosissima. Ma dipoi, mutandosi per la mutazione degli stati questo ordine, crearono otto cittadini che facessino l’uffizio di quel capitano. El quale ordine, di cattivo, diventò [p. 168 modifica]pessimo, per le ragioni che altre volte sono dette; che i pochi furono sempre ministri de’ pochi, e de’ più potenti. Da che si è guardata la città di Vinegia; la quale ha dieci cittadini, che, sanza appello, possono punire ogni cittadino. E perché e’ non basterebbono a punire i potenti, ancora che ne avessino autorità, vi hanno constituito la Quarantia: e di più, hanno voluto che il Consiglio de’ Pregai, che è il Consiglio maggiore, possa gastigargli; in modo che, non vi mancando lo accusatore, non vi manca il giudice a tenere gli uomini potenti a freno. Non è adunque maraviglia, veggendo come in Roma, ordinata da sé medesima e da tanti uomini prudenti, surgevano ogni dì nuove cagioni per le quali si aveva a fare nuovi ordini in favore del viver libero; se nell’altre città, che hanno più disordinato principio, vi surgano tante difficultà, che le non si possino riordinarsi mai.


Non debba uno consiglio
o uno magistrato potere fermare le azioni
delle città.

Erano consoli in Roma Tito Quinzio Cincinnato e Gneo Giulio Mento, i quali, sendo disuniti, avevono ferme tutte le azioni di quella Republica. Il che veggendo il Senato, gli confortava a creare il Dittatore, per fare quello che per le discordie loro non potevon fare. Ma i Consoli, discordando