Discorso sul testo della Commedia di Dante/XXVIII

Da Wikisource.
XXVIII

../XXVII ../XXIX IncludiIntestazione 2 dicembre 2022 75% Da definire

XXVII XXIX

[p. 161 modifica]XXVIII. Che se il Boccaccio, e il discepolo, e i figliuoli di Dante congiurarono ad ingannare i posteri, per che privilegio avrebbero essi potuto mentire impudentemente a’ loro coetanei? a che pro le circostanze mirabili intorno a un fatto conosciuto falso da tutti? Se la Divina Commedia fosse stata pubblicata dall’autore, la apparizione sarebbe stata impostura patentissima ad uomini interessati a non perdonarla. Nè i persecutori di Dante, nè i Fiorentini, piagati da lui nella fama, erano tutti morti; i figliuoli di lui si speravano di riavere parte, non foss’altro, del loro patrimonio; nè la Repubblica incominciò a dare segni di compassione per la famiglia raminga degli Alighieri, se non venti e più anni dopo che era già orfana ed impotente. Al Boccaccio non mancavano emuli e riprensori accaniti1. Andando a Ravenna, ottenne dal Comune, forse in via d’elemosina, che si soccorresse la figlia del poeta, monaca in quella città*; e dove non è da credere che niuno de’ suoi concittadini vi fosse mai stato, o ch’ei non temesse di essere smentito da essi quando affermava di narrare cose udite da quanti erano stati intorno al letto dell’esule morente2. Forse Piero Giardino e Piero di Dante furono illusi da Jacopo: o Jacopo s’illudeva da sè: o forse, come talvolta incontra, il sogno e il caso si sono combaciati alla cieca. L’esame de’ fatti nel processo di questo Discorso farà trasparire per avventura le origini vere dei sogno; nè a’ discepoli, nè a’ figliuoli, nè allo storico rincresceva che l’opera acquistasse più fama dall’ombra dell’autore apparsa a preservarla intera, e far fede ch’ei non era morto dannato: e questo potrebbe fors’anche attribuirsi a pia frode, a proteggere la sua memoria da coloro che gli [p. 162 modifica]negavano di giacere fra’ cadaveri in luogo sacro3. Comunque si fosse, quanto le circostanze del miracolo avevano meno del verosimile, tanto più richiedevano d’essere adonestate dalla occasione che le produsse; e che ogni uomo sapesse, e niuno potesse negare che il Poema fu pubblicato più tempo dopo che l’autore morì. E se fosse stato conosciuto prima, chi mai non l’avrebbe inteso a que’ giorni? e perchè mai gli amici e i figliuoli di Dante e il Boccaccio avrebbero provocato, e come scansato, il titolo d’impostori? Ma se la Commedia fu letta più tardi dagli uomini, la visione di Jacopo, quand’anche non fosse stata creduta da molti, non poteva essere contraddetta. Anche i preti ne predicavano così fatte; e le scuole, a provare l’incorporea essenza dell’anima, affermavano la dottrina della divinazione per ajuto di sogni4.


Note

  1. Decamerone, prologo alla Gior. IV; e la sua lettera latina pubblicata dal Tiraboschi, Storia ecc., vol. V, pag. 564, ediz. Pisana.
  2. «Nel 135?, in un libro di Entrata e Uscita dell’Archivio di Or San Michele di questa Patria, sotto il mese di decembre si pagarono a lui (Boccaccio) da’ Capitani di Or San Michele lire dieci di moneta, perchè le desse a Suor Beatrire figliuola di Dante Alighieri, monaca nel convento di Santo Stefano di Ravenna, ove per avventura era Giovanni per portarsi.» Presso il Manni, Illustr. del Decamerone, part. I, cap. 12 ult.
  3. Vedi dietro, sez. XIII.
  4. Convito, pag. 120.