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Divina Commedia (Guerri)/Purgatorio/Canto I

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Canto I

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Purgatorio Purgatorio - Canto II
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CANTO I

     Per correr miglior acqua alza le vele
omai la navicella del mio ingegno,
3che lascia dietro a sé mar sí crudele;
     e canterò di quel secondo regno
dove l’umano spirito si purga
6e di salire al ciel diventa degno.
     Ma qui la morta poesí resurga,
o sante Muse, poi che vostro sono;
9e qui Calliopè alquanto surga,
     seguitando il mio canto con quel suono
di cui le Piche misere sentiro
12lo colpo tal, che disperar perdono.
     Dolce color d’oriental zaffiro,
che s’accoglieva nel sereno aspetto
15del mezzo, puro insino al primo giro,
     a li occhi miei ricominciò diletto,
tosto ch’io usci’ fuor de l’aura morta
18che m’avea contristati li occhi e ’l petto.
     Lo bel pianeta che d’amar conforta
faceva tutto rider l’oriente,
21velando i Pesci, ch’erano in sua scorta.
     I’ mi volsi a man destra, e posi mente
a l’altro polo, e vidi quattro stelle
24non viste mai fuor ch’a la prima gente.
     Goder pareva il ciel di lor fiammelle:
oh settentrional vedovo sito,
27poi che privato se’ di mirar quelle!

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     Com’io da loro sguardo fui partito,
un poco me volgendo a l’altro polo,
30lá onde il Carro giá era sparito,
     vidi presso di me un veglio solo,
degno di tanta reverenza in vista,
33che piú non dée a padre alcun figliuolo.
     Lunga la barba e di pel bianco mista
portava, a’ suoi capelli simigliante,
36de’ quai cadeva al petto doppia lista.
     Li raggi de le quattro luci sante
fregiavan sí la sua faccia di lume,
39ch’io ’l vedea come il sol fosse davante.
     «Chi siete voi che contro al cieco fiume
fuggita avete la pregione eterna?»
42diss’el, movendo quelle oneste piume.
     «Chi v’ha guidati, o che vi fu lucerna,
uscendo fuor de la profonda notte
45che sempre nera fa la valle inferna?
     Son le leggi d’abisso cosí rotte?
o è mutato in ciel novo consiglio,
48che, dannati, venite a le mie grotte?»
     Lo duca mio allor mi diè di piglio,
e con parole e con mani e con cenni
51reverenti mi fe’ le gambe e ’l ciglio.
     Poscia rispose lui: «Da me non venni;
donna scese dal ciel, per li cui prieghi
54de la mia compagnia costui sovvenni.
     Ma da ch’è tuo voler che piú si spieghi
di nostra condizion com’ell’è vera,
57esser non puote il mio che a te si nieghi.
     Questi non vide mai l’ultima sera;
ma per la sua follia le fu sí presso,
60che molto poco tempo a volger era.
     Sí com’io dissi, fui mandato ad esso
per lui campare; e non li era altra via
63che questa, per la quale i’ mi son messo.

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     Mostrata ho lui tutta la gente ria;
e ora intendo mostrar quelli spirti
66che purgan sé sotto la tua balía.
     Com’io l’ho tratto, saría lungo a dirti;
de l’alto scende virtú che m’aiuta
69conducerlo a vederti e a udirti.
     Or ti piaccia gradir la sua venuta;
libertá va cercando, ch’è sí cara,
72come sa chi per lei vita rifiuta:
     tu ’l sai, che non ti fu per lei amara
in Utica la morte, ove lasciasti
75la vesta ch’ai gran dí sará sí chiara.
     Non son li editti eterni per noi guasti:
ché questi vive, e Minòs me non lega,
78ma son del cerchio ove son li occhi casti
     di Marzia tua, che ’n vista ancor ti prega,
o santo petto, che per tua la tegni:
81per lo suo amore adunque a noi ti piega.
     Lasciane andar per li tuoi sette regni;
grazie riporterò di te a lei,
84se d’esser mentovato lá giú degni».
     «Marzia piacque tanto a li occhi miei
mentre ch’i’ fui di lá,» diss’elli allora
87«che quante grazie volse da me, fei.
     Or che di lá dal mal fiume dimora,
piú muover non mi può, per quella legge
90che fatta fu quando me n’usci’ fuora.
     Ma se donna del ciel ti move e regge,
come tu di’, non c’è mestier lusinghe:
93bastisi ben che per lei mi richegge.
     Va dunque, e fa che tu costui ricinghe
d’un giunco schietto, e che li lavi ’l viso
96sí ch’ogni sucidume quindi stinghe;
     ché non si converría, l’occhio sorpriso
d’alcuna nebbia, andar dinanzi al primo
99ministro, ch’è di quei di paradiso.

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     Questa isoletta intorno ad imo ad imo,
lá giú colá dove la batte l’onda,
102porta de’ giunchi sovra ’l molle limo;
     null’altra pianta che facesse fronda
o indurasse, vi puote aver vita,
105però ch’a le percosse non seconda.
     Poscia non sia di qua vostra reddita;
lo sol vi mostrerá, che surge omai,
108prendere il monte a piú lieve salita».
     Cosí sparí; e io su mi levai
senza parlare, e tutto mi ritrassi
111al duca mio, e li occhi a lui drizzai.
     El cominciò: «Seguisci li miei passi:
volgiamci in dietro, ché di qua dichina
114questa pianura a’ suoi termini bassi».
     L’alba vinceva l’ora mattutina
che fuggía innanzi, sí che di lontano
117conobbi il tremolar de la marina.
     Noi andavam per lo solingo piano
com’uom che torna a la perduta strada,
120che ’nfino ad essa li pare ire invano.
     Quando noi fummo lá ’ve la rugiada
pugna col sole, per essere in parte
123dove, ad orezza, poco si dirada,
     ambo le mani in su l’erbetta sparte
soavemente ’l mio maestro pose;
126ond’io, che fui accorto di sua arte,
     pòrsi ver lui le guance lacrimose:
ivi mi fece tutto discoverto
129quel color che l’inferno mi nascose.
     Venimmo poi in sul lito diserto,
che mai non vide navicar sue acque
132uomo che di tornar sia poscia esperto.
     Quivi mi cinse sí com’altrui piacque:
oh maraviglia! ché qual elli scelse
135l’umile pianta, cotal si rinacque
     subitamente lá onde l’avelse.