Dizionario mitologico ad uso di giovanetti/Mitologia/B

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Baccanali, festa instituita in onor di Bacco, che passò da Egitto in Grecia, e celebravasi con tutte le specie di dissolutezze. Fu anco introdotta in Italia, ove replicavasi tre volte l’anno, e dipoi più spesso ancora. Il Senato di Roma pubblicò un decreto nell’anno 568, che abolì queste infami orgie in tutta la repubblica.

Baccanti, donne, che celebravano i misteri di Bacco. Le prime, che portarono questo nome, furono quelle, che seguirono Bacco alla conquista delle Indie tenendo in mano un tirso coverto di edera e di pampano, ovvero di foglie di viti. Spessissimo nude all’intutto, a riserva di un sottil velo, che volgevansi intorno, e che copriva appena qualche parte del [p. 45 modifica]corpo; col capo cinto di vivi serpenti, cogli occhi infuocati, con lo sguardo spaventevole, correvano qui e là, facendo rimbombar’aria de’ loro urli, e dello strepito de’ loro barbarici strumenti, gridando Evohè; minacciando, e percuotendo gli spettatori; formando delle danze, che consistevano in salti irregolari e convulsivi; lacerando de’ torelli e mangiandone le carni, crude. Andavano a celebrareq uesti odiosi misteri sui monti Citera, Ismaro, Rodope, luoghi ove Bacco era particolarmente onorato.

Negli antichi monumenti pervenuti a nostri tempi, vcdonsi le Baccanti coverte di pelli di tigri, poste in guisa di ciarpe, agitando in aria delle fiaccole accese, pazzeggiando e saltellando al suono di cembali ( ovvero nacchere ), di tamburi, e di clarinetti; accompagnate da uomini travestiti da satiri, e che tirano dietro ad essi de’ caproni ornati di ghirlande e destinati per li sagrifizj. Vi si vede Pan col suo flauto campestre trascinato dai Silvani. Vi si osserva altresì Sileno mezzo ubbriaco, e la di cui testa oppressa dal vino vacilla; assiso talora sopra un asino, sul quale incurvato sostiensj a stento, ed alle volte camminando a piedi appoggiato ad un bastone o tirso, sempre circondato da Baccanti e da Fauni, che lo sostengono, per timore ch’egli non cada. Nota 22. — fig. 13.

Bacco, figlio di Giove e di Semele. Ve ne sono degli altri, che contansi sino a cinque; ma il più famoso è quello di Tebe. La gelosa Giunone, presa un giorno la forma di una vecchia di Epidauro nominata Beroe, e portatasi a visitar Semele, ch’ella sapeva di esser amata da Giove, le insinuò di ottener dal suo [p. 46 modifica]amante, come per una pruova di amore, ch’egli venisse a visitarla in tutta l’ampiezza della stia gloria. Semele allora era incinta. La vanità la determinò a dimandare ciò che doveva cagionar la sua morte. Giovo condiscendendo alle replicate istanze della sua favorita, comparve nel di lei palazzo in mezzo ai fulmini ed ai baleni. All’istante s’incendiò il palazzo, e Semele, vittima della propria imprudenza, perì in mezzo alle fiamme. Giove, per salvar Bacco, di cui ella era gravida, lo pose dentro la sua propria coscia, ove le tenne sino al tempo della sua nascita. Giunto il momento del parto, fu affidato ad Ino, sua zia che n’ebbe cura, mediante l’ajuto delle Iadi, delle Ninfe e delle Ore, finchè giunse in età suscettibile della educazione delle Muse e di Sileno. Divenuto grande, conquistò le Indie alla testa di un’armata composta di uomini e di donne, portando, invece di armi, de’ tirsi e de’ tamburi. Andò in Egitto, ove insegnò l’agricoltura, piantò la vigna e fu adorato come il Dio del vino. Punì severamente tutti coloro che vollero opporsi allo stabilimento del suo culto. Trionfò di tutt’i suoi cimici e di tutt’i pericoli, ai quali la persecuzione di Giunone esponevalo continuamente; poichè lo sdegno di questa Dea non si limitava soltanto contro le favorite di Giove, ma ricadeva benanco sopra i figliuoli che ne nascevano. Bacco trasformossi in lione per divorare i giganti, che scalavano il Cielo, e fu considerato, dopo Giove, come il più potente di tutti gli Dei.

Viene alle volte rappresentato colla testa coverta di corna, perchè ne’ suoi viaggi erasi sempre ammantato di una pelle di becco, animale che gli si offriva in sagrifizio; assiso ora sopra una, botte, ora sopra un [p. 47 modifica]carro, tirato da tigri, e da linci o da pantere; spesso anco tenendo una coppa in una mano, e nell’altra un tirso, di cui erasi servito per fare scaturire delle fonti di vino. Nota 23. — fig. 14.

Bauci, era una donna povera ed attempata; cne viveva con suo marito Filemone quasi vecchio, com’ella, in una picciola capanna. Giove sotto figura umana, accompagnato da Mercurio, avendo voluto visitare i paesi della Frigia, fu ributtato da tutti gli abitanti del borgo, presso cui abitavano Filemone, e Bauci, che furono i soli ad accoglierlo. Per ricompensarli, questo Dio ordinò loro che lo seguissero fin sulla vetta di un monte. Questi due vecchi sposi avendo ciò eseguito, guardando, verso il loro paese, videro tutto il borgo, ed i contorni sommersi, a riserva della loro picciola capanna, che fu cangiata in un tempio. Giove promise a questi pii e cortesi sposi di accordargli tutto ciò ch’essi avrebbero chiesto. Dimandarono di essere i ministri di quel tempio, e di non sopravvivere l’uno all’altro; e i loro voti furono esauditi. Pervenuti alla più decrepita età, Filemone si accorse che Bauci trasformavasi in tiglio; ma fu maggiore la sorpresa di Bauci, allorquando si avvide che Filemone diveniva quercia. Dieronsi allora, colla maggior tenerezza, gli estremi addio.

Bellerofonte, figlio di Glauco, re di Epiro. Il di lui vero nome era Ipponoo, perchè fu il primo, che abbia insegnato l’arte di guidar cavalli per mezzo della briglia. Avendo disgraziatamente ucciso nell’atto della caccia suo fratello Pirreno, andò a ricoverarsi presso [p. 48 modifica]Preto, o Proclo, re di Argo. Antea (o Stenobea) moglie di Preto, essendosi invaghita del giovane eroe, ed avendolo trovato insensibile all’amor suo, lo accusò presso suo marito di aver tentato di sedurla. Preto, per non violare il dritto di ospitalità,, invio Bellerofonte a Jobata re di Licia, padre di Stenobea, con una lettera, che gli fece credere di essere una commendatizia, ma che in realtà conteneva l’avviso della ingiuria ricevuta, e l’incarico di farne vendetta. Jobata finse di accoglierlo coi più distinti contrassegni di ospitalità. I primi nove giorni, dopo il suo arrivo, passarono in feste e banchetti; ma finalmente, nel decimo, impose al suo ospite di andare a combattere un mostro appellato Chimera. Bellerofonte montò sul Pegaso, vinse il mostro, e l’uccise. Suscitaronsi contro lui una infinità di nimici, de’ quali egualmente trionfò che di tutti i pericoli. Allora fu che Jobata, conoscendo la innocenza di Bellerofonte, e la protezione speciale, colla quale veniva assistito dal Cielo, gli diede sua figlia ( Filonoe ) in isposa, e lo dichiarò suo successore nel regno. Sul termine di sua vita, avendosi concitato lo sdegno degli Dei, si abbandonò alla più tetra malinconia, che lo spinse ad andar errando pei deserti, per fuggire l’incontro degli uomini. Nelle monete antiche si osserva spesso Bellerofonte insieme con Pegaso. Nota 24.

Bellona, Dea della guerra e sorella o sposa di Marte. Era suo incarico attaccare i cavalli al carro di questo Dio, allorchè partiva per la guerra. Aveva un tempio a Roma, ove il Senato dava udienza agli ambasciatori. I poeti la dipingono in mezzo ai [p. 49 modifica]combattimenti; correndo di fila in fila coi capelli scarmigliati, con gli occhi pieni di fuoco, e facendo strepitar per l’aria la sua sferza insanguinata, onde animare i guerrieri al combattimento. Le si dà anco per arme un flagello o bacchetta tinta di sangue. Nel salone della guerra a Versaglies vedesi questa Dea in attitudine di furore, tenendo con una mano la spada, e con l’altra lo scudo, in atto di slanciarsi dal suo carro tirato da cavalli impetuosi, i quali calpestano tutto ciò che incontrano sul passaggio. Vedesi presso di lei la Discordia in atto di bruciare, colle sue torce accese, templi e palazzi; ed in qualche distanza la Carità, che fugge con un bambino tra le braccia. Fig. 15.

Berenice, moglie di Tolomeo Evergete ch’ella amò teneramente. Fece voto di farsi tagliare i capelli, e di offrirgli in sagrifizio agli Dei, se suo marito ritornasse vittorioso dall’Asia. Il voto fu esaudito. Tolomeo, dopo aver soggiogato una parte della Persia, della Media e della Babilonia, ritornò trionfante in Egitto; e Berenice, fedele al voto, appese la propria chioma nel tempio di Marte. Tolomeo fu molto sensibile a questa pruova di tenerezza di sua consorte; ma la chioma fu involata la notte seguente. Il re, avutone l’avviso, montò in gran collera. Conone astronomo ed abile cortigiano, lo assicurò, che Zefiro, per ordine di Venere, l’aveva asportata nel Cielo. Così fu creduto; ed è rimasto tuttavia a questa costellazione il nome della chioma di Berenice, che lo stesso astronomo diede alle sette stelle presso la coda del lione. [p. 50 modifica]Borea, vento del Nord, ed uno de’ quattro principali, era figlio di Astreo e dell’Aurora o di Eribea. Rapì Orithia figlia di Ericteo, e n’ebbe due figli Calai o Calaide, e Zete - Gli abitanti di Megalopoli gli rendevano grandi onori. Viene rappresentato in sembianza di fanciullo alato e con gli stivaletti, per esprimere la sua velocità, e talvolta coverto di un mantello. Ovidio lo dipinge con una fisonomia severa ed irritata perchè egli indurisce la neve e sparge la grandine, ed è la principal cagione de’ fulmini, de baleni e de’ tremuoti; inviluppato da nebbie, alloraquando attraversa il Cielo, e da polvere, allorchè percorre la Terra.

Boschi sagri. I boschi sono stati i primi luogi destinati al culto degli Dei. In seguito vi si fabbricarono delle piccole cappelle, e finalmente de’ tempj; e per richiamarsi alla memoria la primitiva usanza, piantavansi sempre intorno ai tempj, per quanto era possibile, de’ boschi, egualmente sagri che gli stessi tempj. Vi si facevano delle adunanze e de’ pubblici pasti, accompagnati da danze e da tutt’i contrassegni possibili di allegrezza. Vi si appendeva una gran quantità di ricche obblazioni, ed il troncarne gli alberi era un enorme sacrilegio.

Briareo, o Egeone, figlio di Titano e della Terra. Era un gigante di statura straordinaria, che aveva cento braccia e cinquanta teste. La sua forza rendevalo terribile agli stessi Dei. Per aver avuto parte nella guerra de’ Titani, fu egli oppresso sotto il peso del monte Etna, ed in seguito posto in libertà. Giunone, Minerva, Nettuno, avendo cospirato contro Giove, questo gigante [p. 51 modifica]a preghiera di Teti, salì fino al Cielo per soccorrere il sovrano dell’Olimpo, presso cui essendosi assiso, si mostrò ai congiurati in aria così fiera e terribile, che costoro, presi da spavento, rinunziarono alla impresa. Giove, riconoscente a tal servigio, lo reintegrò nella sua amicizia, e gli perdonò tutto ciò che avea fatto per l’addietro in unione de’ giganti.

Briseide, figlia di Brise, gran-sacerdote di Giove. Nella partizione degli schiavi toccò ad Achille, per aver egli assediata e presa la città di Limessa, ov’ella cadde in suo potere. La sua età giovanile e la sua bellezza le fecero guadagnare il cuore di Achille, che l’amò teneramente, ed ella corrispose fedelmente al di lui amore. Agamennone la rapì. Achille indispettito per tale affronto, si ritirò nella sua tenda e non volle più combattere. La morte di Patroclo, suo intimo amico, lo determinò a ripigliare le armi contro i Trojani, sempre vittoriosi dopo il di lui ritiro. Agamennone di poi gli restituì la sua bella prigioniera, carica di alcuni ricchi doni.

Buona Dea. Così era appellata Cibele; altri credono Cerere ed altri la Terra. Pare che il suo vero nome non fosse conosciuto che dalle donne, le sole che potevano celebrarne i misteri. La festa della Buona Dea ricorreva in ciascun anno nel primo giorno di maggio. Destinavasi la notte per questa cerimonia. Le vestali portavansi, nel palazzo del sommo pontefice, o di uno de’ primi magistrati, nè vi si ammettevano che le sole donne. Se ne facevano uscire non solamente gli uomini, ma benanco gli animali maschi. La superstizione [p. 52 modifica]era giunta fino a credersi che un uomo, il quale fesse stato spettatore di tali misteri, ancorchè senza alcun fine, sarebbe stato punito colla cecità. Un sol uomo nominato Clodio, che, travestitosi da donna, s’introdusse in casa di Cesare, ove celebravansi allora questi misteri, ed osservò impunemente tutto ciò che vi si faceva, disingannò tutto il popolo sulla vanità della loro credenza.